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Redazione

La città della pace

<bR><bR>La nebbia risale lungo Aker Brygge, il quartiere di Oslo che si affaccia sul porto cittadino. Addentrarsi in questa foschia che tutto avvolge, riporta alla mente la storia di questa città. La bruma del tempo offusca i natali di Oslo: nessuna data precisa puntella l’inizio della sua origine, nessuno studio etimologico fissa il significato del nome. Persino l’anno in cui divenne capitale della Norvegia, è motivo di dibattito: per alcuni è il “Syttende Mai”, il 17 maggio 1814, giorno in cui, dopo la secessione dalla Danimarca, venne emanata la costituzione. Ma lo scettro regale passò solo di mano senza fermarsi ad Oslo: dai danesi scivolò agli svedesi, per cui la capitale dell’impero continuò a restare fuori dai confini nazionali. Per altri, invece, la data dell’investitura di Oslo come capitale della Norvegia, è il 1905, anno in cui la nazione si staccò dalla Svezia per divenire uno stato finalmente indipendente. La nemesi definitiva avvenne nel 1925 quando la città abbandonò il nome di Christiania affibbiatole dal re danese Cristiano IV nel lontano 1624, per riprendere quello originario, Oslo. <Br><Br><Br><B>Quattro secoli di occupazione straniera non avevano certo favorito lo sviluppo della città</B>, così all’indomani dell’indipendenza la capitale della Norvegia rischiava di sfigurare di fronte alla regalità di Stoccolma, alla bellezza trasgressiva di Copenhagen o all’elegante neoclassicità di Helsinki. La Oslo degli anni Sessanta, era ancora la città angosciante descritta da Munch sul finire del XIX secolo e dal cui sentimento nacque il celebre “Urlo”: “Camminavo con due amici; quando il sole cominciò a tramontare il cielo si tinse improvvisamente di rosso sangue. Mi fermai esausto, sporgendomi sulla balaustra. Sopra il fiordo blu scuro e la città, c’erano lingue di fuoco e di sangue mentre i miei amici continuavano a camminare; restai là, tremando di ansia e sentii un urlo infinito passare attraverso la natura”. Il lavoro di recupero architettonico voluto dall’amministrazione comunale a partire dagli anni Ottanta, ha però contribuito a cambiare completamente il volto della città. <Br><BR><Br><B>Sebbene Oslo non possa competere con le altri capitali scandinave sul piano dell’interesse storico</B>, il genio degli architetti e degli urbanisti norvegesi qui si è espresso al meglio, ridando slancio al turismo. I contrasti storici, anziché disturbare, sono valorizzati così da formare una sorta di simbiosi. E’ il caso della fortezza Akershus, uno dei pochi lasciti medioevali di Oslo, che domina il modernissimo quartiere Aker Brygge, ricavato dalla parte industriale Ottocentesca della città. I coinvolgenti e variegati musei, primo fra tutti quello delle navi vichinghe, il parco delle sculture di Vigeland, e la magnifica Opera House garantiscono un livello culturale di tutto rispetto accompagnato da una delicata gradevolezza fotografica. Ma ciò di cui Oslo può andar veramente fiera, è il fatto di essere una città ospitale e multiculturale. Qui convivono una ventina di nazionalità differenti, qui hanno avuto luogo alcuni dei più importanti incontri internazionali che hanno contribuito a smussare attriti e conflitti. <Br><BR><BR><B>Una caratteristica che neppure Anders Breivik</B>, l’attentatore che nel 2011 ha seminato morte e sgomento in tutta la Norvegia, è riuscito ad intaccare. E non è certo un caso che dal 1901 la capitale norvegese sia sede del più importante riconoscimento alla pace: il Premio Nobel. Non tutti i vincitori si sono dimostrati all’altezza dell’onore ricevuto, ma il 16 di giugno, Oslo attende con trepidazione una figura che questo premio lo ha veramente meritato e sofferto sulla propria pelle: Aung San Suu Kyi, libera, finalmente, di ricevere un premio che le era stato assegnato nel 1991, ma che il regime militare birmano non le aveva mai permesso di ritirare di persona. <Br><I>di Piergiorgio Pescali</i>

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