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I ragazzi dentro sono i mister di domani

Al carcere di Nisida arriva il progetto Zona Luce

«Nisida è un'isola e nessuno lo sa», canta Edoardo Bennato. I quaranta ragazzi detenuti del Carcere minorile sanno benissimo che Nisida è la loro isola di rieducazione, la ringhiera da cui osservano un orizzonte napoletano che è carico di mille colori, compreso il nero di una cronaca quotidianamente aggiornata dalla mano armata della criminalità. Per sfuggire a quella longa manus, a volte può tornare utile un pallone. Nel campetto in erba sintetica, riadattato per il Calcio a 5, ogni settimana questi scugnizzi in cerca di un centro di gravità permanente si allenano e giocano partite che rappresentano una sfida a un presente che non basta mai e un futuro che, là fuori, presenta interrogativi foschi, violenti. Nel buio in cui sono caduti, in piena pandemia è arrivato l'assist illuminante di "Zona luce". Tradotto per i non calciofili: «zona luce» indica quella zona di campo in cui muoversi per ricevere palla dal compagno di squadra. «E qui è la squadra la vera novità, lodata dall'Alta Scuola di Psicologia dell'Università Cattolica di Milano per il grado di inclusione raggiunto tra i giovani detenuti e gli operatori del Carcere», spiega Mario Del Verme responsabile della Fondazione Scholas Occurrentes Sport che con il Settore Giovanile Scolastico della Figc ha portato il vero calcio inclusivo a Nisida. 

«"Zona Luce" è un progetto di grande valore etico-sportivo e che conferma l'attenzione della Federcalcio nei confronti delle problematiche dei ragazzi, specialmente quelli che vivono in realtà difficili e a rischio come quelle dei quartieri napoletani», spiega il presidente del Settore Giovanile Scolastico della Figc, Vito Tisci. Sotto gli occhi del direttore del carcere di Nisida, Gianluca Guida, ogni settimana scende in campo questa formazione, in cui, come spiega un agente della Polizia Penitenziaria «la squadra è quella al di là del ruolo che uno ricopre come poliziotto o come detenuto, senza nessuna distinzione». Il ragazzo dentro, il Ciro di turno, gli fa eco ribadendo il concetto che «con un pallone ai piedi siamo tutti uguali». È la democrazia calcistica che nella città devota a Diego Armando Maradona fa sentire tutti un po' speciali, dei potenziali n."10". Ma "Zona Luce" non è nato per creare falsi illusioni o per dare la possibilità a minorenni condannati di pensare a un futuro da professionista del pallone. Meglio puntare su utopie concrete, come quelle di un futuro da «Mistèr» (l'accento sulla e), come dice Peppe che attraverso il calcio ha smesso di colpevolizzarsi al di là del reato commesso. Ma quell'ora di calcio serve anche a spazzare in tribuna il pregiudizio esterno e fargli dire: «Io non sono il mio reato». Per riprendersi in mano la propria vita e dribblare i tanti ostacoli che si presenteranno ai ragazzi fuori, prima bisogna imparare le regole del gioco.

Magari diventare loro stessi formatori di altri giovani che aspettano di trovare una «zona luce», un mister della loro età. «Il corso di formazione ha formato tra i detenuti e gli agenti dei nuovi allenatori con tanto di attestato della Figc», sottolinea Tisci. E il ruolo nuovo del «Mistèr» ha insegnato a tutti loro che «bisogna credere sempre nell'allenatore e non dire mai che questo ha sbagliato». Consapevolezza della figura autorevole del tecnico. Con il patentino in mano, adesso Ciro sogna di andare dal magistrato di sorveglianza e chiedergli il permesso per andare ad aiutare qualche società sportiva, mettendo in campo un'esperienza che non è più circoscritta al campo di Nisida. «I risultati ottenuti - continua Del Verme - ci hanno indotto a proseguire, così dopo i progetti di Nisida abbiamo avviato "Zona Luce" agli istituti minorili di Casal di Marmo (Roma) e il Ferranti ( Torino)». Qualcuno dei ragazzi di Nisida magari riuscirà a coronare il sogno di poter entrare in qualche società sportiva affiliata alla Scholas Occurrentes Sport, come la Scuola Kodogan o la Calcio Arci Uisp Scampia. Ciro domani potrebbe andare ad allenare i piccoli calciatori di Scampia del "Campo Scugnizzi" di Piazzetta San Gennaro. Qui, da sempre opera un "Mi- stèr" con la M maiuscola che da questi campi, un tempo sgarrupati, ha visto sbocciare il talento del difensore del Torino Armando Izzo («scugnizzo cresciuto nel Lotto G»).

A Scampia sI sa, non si vive di solo calcio, ma la vera cattedrale nel deserto napoletano è la Palestra "Judo Star" di Gianni Maddaloni. Il "Percorso Maddaloni" è la risposta dal tatami alla società civile: «Possiamo salvare i nostri ragazzi solo attraverso lo sport e la legalità».  È il mantra di "O' Maè", il vero oro di Scampia assieme a quella medaglia conquistata alle Olimpiadi di Sydney 2000 dal figlio Pino Maddaloni. «Alla Palestra sono passati diversi ragazzi arrivati dal carcere di Nisida: su quattro due si sono "salvati" grazie al judo. Mariano oggi fa il gommista e Emanuele il pasticciere ». La ciliegina sulla torta però è «Antonio, 20 anni, cintura nera. Dopo il servizio civile sarà pronto per entrare nei gruppi sportivi militari»- dice "O' Maè". «Suo padre era stato condannato a 26 anni di carcere, tre li ha scontati qui al "Percorso Maddaloni" e adesso che è tornato in libertà ha un lavoro regolare: gira per Scampia con un furgoncino, vende panini». Vanno a fare merenda lì i cinque judoka di Scampia appena rientrati dai Mondiali di Olbia. Susi Scutto, oro nella categoria 48 kg, si prepara per le qualificazioni alle Olimpiadi di Parigi 2024. Quella è anche la meta del campione italiano, categoria 81 kg, Bright Maddaloni, 18 anni - appena entrato in Polizia - arrivato a casa di "O' Maè" «che era un bambino che sapeva appena camminare. Sua mamma è nigeriana e il padre della Costa d'Avorio. Bright è mio figlio adottivo. Il judo gli ha insegnato a difendersi contro quei bulli che lo chiamavano "sporco negro" e la legalità l'ha appresa da ragazzino in Palestra». A Scampia aspettano ancora la realizzazione della Cittadella dello Sport. Il progetto c'è, ma è fermo da anni, e Maddaloni si appella ancora a papa Francesco visto che la politica è sorda ai suoi reiterati appelli. Intanto in Vaticano è arrivata la maglia dei ragazzi di Nisida e in questo tempo di reclusione che devono ancora scontare, almeno si sono riappropriati del gusto del gioco del calcio che papa Francesco ricorda nella semplicità senza tempo della «palla di stracci, la rappresentazione di una gratuità che, se la dimentichiamo, perdiamo la partita». (Avvenire)



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