Sant’Antonio Abate, l’arte di essere eremita
Solitudine e preghiera
di Antonio TaralloSolitudine e preghiera: un connubio che ha sempre accompagnato i padri del deserto; verso l’alto è rivolto lo sguardo di chi si eleva nel silenzio della contemplazione, anche se - necessario ricordarlo - l’eremita non vuole sfuggire dalla realtà, ma desidera viverla nella sua essenza e in piena relazione con essa. Alla fine del III secolo, in Egitto, comincia con sant’Antonio Abate la grande epopea degli eremiti cristiani: nello scrivere sua biografia, Atanasio, vescovo di Alessandria, Atanasio sottolineava proprio questa relazione - o meglio correlazione - con il santo monaco, eremita, e la realtà circostante; scriverà della solitudine di Antonio Abate che “viveva sì nel deserto separato dal mondo, ma con esso in costante relazione”, così nella Vita Antonii del vescovo di Alessandria.
Antonio Abate è sicuramente uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Ma come nasce quella che potrebbe definirsi la vera e propria intuizione di Antonio di vivere lontano dal mondo, in solitudine, nel deserto? “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”: è la radicalità del Vangelo. Antonio sceglie questa strada, affidando la sorella a una comunità di vergini e dedicandosi alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese.
Segue Cristo, in tutto e per tutto, privandosi di tutto. Certamente, Franceso d’Assisi non può esser certo definito eremita - seppur non mancheranno nella sua vita le esperienze di eremitaggio - ma in questa radicalità del Vangelo, di vicinanza al prossimo bisognoso, è possibile scorgere un punto di contatto di non poco conto. “I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia”, così è scritto nella Regola bollata (del 1223) dell’Ordine al sesto capitolo. Francesco sa di essere su questa terra solo per dare gloria a Dio e così farà; così Antonio Abate che con Dio ha un rapporto intimo, solitario, silenzioso nella natura, o meglio, del Creato.
Il Creato, altro punto di contatto. Antonio Abate è nel suo immergersi totalmente in questo che trova una via di ascesi in Dio; Francesco vive il Creato trovando in questo la bellezza del Creatore, e - a sua volta - la via per l’ascesi verso il Signore, creatore del cielo e della terra e di tutte le sue creature.
Nei primi anni di vita eremitica, Antonio Abate fu molto tormentato da tentazioni fortissime; allo stesso modo, conosciamo bene quanto Francesco d’Assisi abbia vissuto questa condizione: a volte scontrandosi con il demonio, a volte sentendosi indegno nel cammino percorso, a volte - nei momenti di debolezza spirituale - colpito dalla tentazione di abbandonare il cammino intrapreso. Ed è in questi casi, sia in san’Antonio Abate che in san Francesco che viene in aiuto la forza della preghiera, la grande eredità dei due santi.
Antonio Tarallo
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