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Il volto di Rufino, segno di speranza per Assisi

L'affresco con la sua effigie è il primo a riemergere dopo il sisma del 1997

di Antonio Tarallo

26 settembre 1997, una data che Assisi non dimenticherà mai più: due scosse - una nel cuore della notte, alle 2 e 33 di magnitudo 5,6 e l'altra alle 11 e 40 di 5,8 - fecero piombare nel dramma la popolazione umbra, con un bilancio di 33 mila edifici danneggiati, tra cui la Basilica di San Francesco, con il crollo di parte della volta che provocò quattro morti. Tutti abbiamo nella memoria la nuvola di polvere che si sollevò in aria: un immenso nuvolone bianco cenere, colmo di detriti, ricopre la maestosa Basilica di San Francesco; le campate crollano; gli affreschi enormemente danneggiati. E’ l’inferno: il simbolo della Cristianità, il simbolo della Basilica dedicata al “Poverello di Assisi”, il simbolo dell’arte giottesca nel mondo è ormai enormemente danneggiato. Il buio cala sulla città del santo cavaliere e sulla basilica che lo rappresenta.

Eppure, in questa “notte oscura” - come la definirebbe San Giovanni della Croce - c’è spazio per una luce, una piccola luce che illuminerà il nuovo cammino di Assisi e della sua Basilica. È luce di speranza, di rinascita: prima fioca, poi sempre più grande e maestosa. Eccolo, il volto di San Rufino, vescovo di Assisi, emergere dalle rovine. Un segno forte, metafora che la ricostruzione non è poi così lontana come potrebbe sembrare. Quel volto diviene, così, il simbolo di una città che non si arrende e che è pronta a risorgere assieme al suo vescovo che non abbandona la sua città. E’ un po’ come se Rufino non avesse finito il suo mandato di vescovo nel 200: il suo patronato continua e grazie a lui, alla sua protezione, la città di San Francesco potrà risorgere. L’affresco è - inoltre - il primo ad essere restaurato: la scuola giottesca, con l’inconfondibile blu topazio, lo ritrae con una barba bianca, segno di saggezza e di rigore; l’aureola dorata dietro il capo; in una mano, il Vangelo e nell’altra il pastorale. E, in quel momento così doloroso per la città, proprio quel pastorale sembra ricordare il famoso salmo 23: “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. È il salmo che la città di Assisi eleva al Signore, in quel frangente storico che la vede soggiacere all’intemperia del terremoto: il vincastro del suo vescovo saprà guidare il suo popolo alla rinascita perché riesce a dargli sicurezza, anche “nella valle oscura”. Così come il suo volto che - al momento del ritrovamento - sembra quasi sorridere e dare speranza. I tratti somatici del viso, tra polvere e detriti, cominciano a emergere. L’emozione è indescrivibile perchè - molte volte - la bellezza o ciò che è troppo grande, non può essere raccontato. Il viso del vescovo si posa sulla città, incoraggia i cittadini, i frati e i religiosi a sperare nella ricostruzione. In fondo, non si sbagliava proprio Rufino: Assisi, infatti, con la sua Basilica risorgerà soli due anni dopo dal tragico evento.

Il legame tra Assisi e Rufino si perde - come siamo soliti dire - “nella notte dei tempi”. Da un'antica “passio” del IX secolo, sappiamo che Rufino, già vescovo di Amasya, dopo aver convertito il proconsole del Ponto (l'attuale Turchia), giunse, assieme suo figlio Cesidio, nella regione dei Marsi, in Abruzzo. In questa zona, avrebbe consacrato una chiesa, lasciata poi in custodia proprio a Cesidio. Successivamente, il vescovo Rufino, proseguì per predicare il Vangelo ad Assisi. Fu proprio qui, ad Assisi, che venne scoperto dal proconsole Aspasio che, dopo averlo sottoposto a diverse torture, lo condannò a morte perché cristiano. Rufino morì gettato nelle acque di un fiume con una pietra legata al collo.

Il Vangelo, dunque, abbiamo compreso da questa “passio”, Rufino lo predica ad Assisi. E, si sa, il Vangelo è parola di speranza e di pace. Nel momento in cui riemerse il suo volto, dopo il terremoto, un altro vangelo si stava scrivendo per la città umbra: quello della rinascita dalle macerie, quello della Resurrezione dal sepolcro.


Antonio Tarallo

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