Il pensiero di Papa Francesco sulla deontologia dell’informazione
L’INFORMAZIONE, LA CHIESA, E IL MONDO D’OGGI
di Antonio Tarallo
Prima puntata
Il pensiero di Papa Francesco sulla deontologia dell’informazione.
Gli ultimi, le persone, le storie delle periferie al centro.
Il contatto con la realtà dei fatti. E, soprattutto, verità. E se i “fatti” provengono dalle “periferie” è ancor meglio. Sintesi estrema – ma proprio estrema – delle parole del Pontefice riservate aimembri della delegazione del Premio internazionale “Biagio Agnes”, ricevuti in udienza pochi giorni fa. L’importante premio si svolgerà, prossimamente, a Sorrento il 23 giugno e quest’ultima edizione annovera dietro alle spalle ben nove edizioni. Papa Francesco ha parlato chiaro e non considera bene che l'informazione sia ultimamente eccessivamente “eterodiretta”, definiamola così. Papa Francesco la definisce “lontana dalla realtà e dalla gente”. Durante l'udienza, ha raccontato troppo spesso gli capita di vedere, in occasione di viaggi apostolici o di altri incontri, una differenza di modalità produttive delle notizie. “Dalle classiche troupe televisive fino ai ragazzi e ragazze che con un telefonino sanno confezionare una notizia per qualche portale. O anche dalle radio tradizionali a vere e proprie interviste fatte sempre con il cellulare. Tutto questo dice che davvero stiamo vivendo una trasformazione pressante delle forme e dei linguaggi dell’informazione. È faticoso entrare in tale processo di trasformazione, ma è sempre più necessario se vogliamo continuare ad essere educatori delle nuove generazioni. Dicevo che è faticoso, e aggiungerei che è necessaria una vigilanza sapiente”. E il compito dell’informazione – in questo particolare momento storico dove il confine tra verità/realtà dei fatti e quelle che comunemente vengono chiamate “fake news” (notizie false, importante la traduzione) diviene sempre più labile, espressione di una società assai divisa sotto l’aspetto antropologico – è quello di “anteporre la verità agli interessi personali o di corporazioni. (…) Essere giornalista ha a che fare con la formazione delle persone, della loro visione del mondo e dei loro atteggiamenti davanti agli eventi”.
Allora cerchiamo di entrare meglio nelle tre parole chiave che Papa Francesco ha voluto sottolineare: periferie, verità e speranza.
Periferie: “Molto spesso, i luoghi nevralgici della produzione delle notizie si trovano nei grandi centri. Questo però non deve farci mai dimenticare le storie delle persone che vivono distanti, lontane, nelle periferie. Sono storie a volte di sofferenza e di degrado; altre volte sono storie di grande solidarietà che possono aiutare tutti a guardare in modo rinnovato la realtà”.
Verità: “Tutti sappiamo che un giornalista è chiamato a scrivere ciò che pensa, ciò che corrisponde alla sua consapevole e responsabile comprensione di un evento. E’ necessario essere molto esigenti con sé stessi per non cadere nella trappola delle logiche di contrapposizione per interessi o per ideologie. Oggi, in un mondo dove tutto è veloce, è sempre più urgente fare appello alla sofferta e faticosa legge della ricerca approfondita, del confronto e, se necessario, anche del tacere piuttosto che ferire una persona o un gruppo di persone o delegittimare un evento. So che è difficile, ma la storia di una vita si comprende alla fine, e questo deve aiutarci a diventare coraggiosi e anche, direi, profetici”.
Speranza: “Non si tratta di raccontare un mondo senza problemi: sarebbe un’illusione. Si tratta di aprire spazi di speranza mentre si denunciano situazioni di degrado e di disperazione. Un giornalista non dovrebbe sentirsi a posto per il solo fatto di aver raccontato, secondo la propria libera e consapevole responsabilità, un evento. E’ chiamato a tenere aperto uno spazio di uscita, di senso, di speranza”.
Ma non è la prima volta che il Pontefice sente l’esigenza di esprimere il proprio parere sull’informazione. E, allora, facciamo un salto indietro. Nel gennaio di quest’anno il Papa si era già soffermato sul rischio della “non verità”. Era stato in occasione della 52esima giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
L’analisi di Papa Francesco in merito alle false notizie è da considerarsi un esame davvero ben dettagliato e anche di indubbia critica sociologica:
“L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni”.
E, in altra occasione – questa volta si tratta di una lettera al quotidiano “La stampa” che usciva in una veste grafica nuova, nel maggio appena trascorso – il discorso si concentra ulteriormente sull’importanza soprattutto delle vite delle persone:
“Un’informazione che non cada nelle contrapposizioni sterili, nella superficialità, nel chiacchiericcio. Un’informazione che non si accontenti di descrivere solo ciò che è già sotto i riflettori, che non dimentichi le situazioni drammatiche delle quali nessuno parla, e che non si stanchi di raccontare con delicatezza e umanità le storie delle persone, con particolare attenzione agli indifesi, agli ultimi, agli scartati, a quelli che non hanno potere”.
Visione francescana, potremmo sicuramente definirla. Quell’accento ogni presente, quell’attenzione agli ultimi sembra proprio che sia un leitmotiv delle esternazioni di Papa Francesco quando si parla di informazione, e non solo. La pubblicità dei grandi eventi, alla fine, non deve oscurare l’informazione sulle biografie delle “piccole persone” perché proprio queste compongono l’Umanità. E, in particolare rilievo, dare voce a “chi non ha potere”. E’ la linea generale, questa, del Pontificato e che, quindi non può riflettersi, anche nel campo dell’informazione, luogo privilegiato dove passano le notizie, dove passa la comunicazione dei contenuti. In fondo, sembra quasi, che a Papa Francesco interessi non solo il contenuto, ma la forma, o meglio il veicolo con cui il contenuto stesso venga trasmesso.
Antonio Tarallo
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