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L'accoglienza nella Bibbia

Abbiamo bisogno di accoglienza

di Fra Domenico Paoletti

L’accoglienza (attiva e passiva) è ciò che rende umano il nostro esistere nel mondo. Tutti viviamo grazie al fatto di essere stati accolti, amati, chiamati ad accogliere; siamo ospitati prima, per poter poi diventare ospitanti e ospitali. Si può dire che l’accoglienza è la forma originaria dell’humanum, più che un contenuto fra gli altri; e sulla capacità di accoglienza si gioca la nostra condizione di esseri umani.  L’accoglienza è centrale nella Bibbia; anzi la stessa Bibbia è accoglienza, è il dono della Rivelazione di Dio che per agire ha bisogno di essere accolta dalla persona a cui si rivolge; il dono esprime amore se si realizza in una reciproca ‘ospitalità’ tra chi lo fa e chi lo riceve, ed è autentico nella misura in cui l’accoglienza è aperta, disposta a includere altri nella dinamica dell’amore che rinnova.  

È l’accoglienza della grazia a rendere possibile la stessa decisione di fede nella Rivelazione; in questa accoglienza la persona realizza pienamente se stessa, insieme agli altri ‘accolti’ e ‘accoglienti’.  Intesa come Parola di Dio, la Bibbia ha bisogno di accoglienza. Come ogni altra parola pronunciata da un io per un tu, raggiunge il suo compimento, il senso pieno, nel momento in cui viene accolta dall’interlocutore per cui è stata pensata e detta. E l’accoglienza è nel cuore della tradizione biblica. Considerare sacro l’ospite è qualcosa che il popolo di Israele condivide con le altre culture del mondo antico, ma con una visione originale data dalla memoria storica dell’essere stato straniero e ospite in Egitto. L’accoglienza è “via sacra” per incontrare e ospitare Dio. 

La Bibbia si presenta già come libro ‘ospitale’ perché i 73 libri di cui si compone provengono da contesti religiosi e culturali diversi, non di rado presentano anche prospettive diverse sugli stessi eventi (come le due narrazioni della creazione in Gen 1 e Gen 2-3, o la diversa prospettiva dei quattro vangeli a riguardo di Gesù), si avvalgono di conoscenze di diversa origine, “ospitano” e assimilano dati culturali provenienti dall’Egitto e dalla Mesopotamia, si interessano di quanto avviene non solo al popolo di Israele, ma anche agli altri popoli. Agiscono, si potrebbe dire, in modo accogliente ed inclusivo rispetto a culture sociali e religiose “altre”. L’ospitalità/accoglienza nella Bibbia - come altre categorie centrali: l’alleanza, la salvezza, la risurrezione… - hanno uno sviluppo, condizionato dalla cultura del tempo, verso un’apertura decisiva nella novità di Gesù di Nazareth, centro e compimento della Rivelazione biblica per i cristiani.

Leggendo la Bibbia si scopre che l’accoglienza non sempre significa accogliere, far entrare gli altri: è presente, per determinati motivi storici, anche un bisogno di prendere le distanze da questi “altri”, fino a prospettare la loro eliminazione: come nel caso delle popolazioni cananee già residenti, o nel caso di popoli stranieri che opprimono e schiavizzano gli ebrei. Perciò, accanto al tema dell’ospitalità - che rimane prevalente -, esiste pure quello dell’in-ospitalità, del rifiuto dell’altro perché la sua alterità potrebbe minacciare l’integrità della fede e la stessa identità etnica del popolo di Dio. L’AT riflette un atteggiamento ambivalente: da una parte vi è l’accoglienza cordiale e premurosa dell’ospite «perché amato da Yhwh e “memoria vivente” della singolare identità di Israele; dall’altra, ancora timore e diffidenza e talvolta ostilità nei confronti dei popoli stranieri e della loro religione» (G. Scaglioni).

Nella Bibbia l’ospite è Dio. Innanzitutto in senso attivo, perché è Colui che ospita: dapprima la coppia umana nel Giardino delle origini, e poi il popolo d’Israele, suo figlio primogenito, nella sua terra perciò detta “terra promessa”; è Colui che crea condizioni di ospitalità sia all’interno (con il perdono) che all’esterno (con la liberazione).  In questa esperienza si trova il fondamento teologico dell’essere-ospitale del popolo ebraico, come più volte è richiamato soprattutto nel Deuteronomio (10,18; 24,17-18) e nel Levitico (19,33-34). Essendo Israele “figura rappresentativa dell’umano” (C. Di Sante), possiamo comprendere il senso più profondo e universale sia delle narrazioni veterotestamentarie, sia di quelle del Nuovo Testamento in cui è la comunità cristiana a diventare figura rappresentativa.  Ma Dio è pure ospite in senso passivo: è Colui che vuole essere accolto, che chiede l’ascolto quale prima forma di ospitalità nei suoi confronti (cf Dt 6,4ss), un ascolto continuamente in pericolo quando vengono “dimenticate” le proprie origini come creature, chiamate alla vita da Dio, e come credenti, liberati-perdonati da lui.

“Dimenticare” è la radice dell’esperienza che nella Bibbia si chiama peccato, inteso non solo come negazione o eliminazione di Dio, ma anche dell’altro, in cui Dio stesso si identifica, e che è ‘ogni’ altro, ma in primo luogo lo straniero, il diverso.  Con la Bibbia, è possibile educarsi all’ospitalità: chi fa esperienza di essere ospitato sotto la tenda dal proprio Dio (cf Sal 23,5) può intraprendere un cammino di formazione all’ospitalità, nel segno del «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Non si tratta tanto di sviluppare la propria sensibilità umana, quanto di incarnare il gesto gratuito ricevuto in dono da Dio, che libera i suoi dalla schiavitù d’Egitto (AT) e dalla “schiavitù del peccato che reca morte” (NT). L’ospitalità appare nella Bibbia come tipica del patriarca Abramo (Gen 18,1-15), e contrasta con l’empia inospitalità espressa subito dopo dagli abitanti di Sodoma (Gen 18,16-19,29).

L’accoglienza che Dio chiede di mostrare verso tutti, anche verso i peccatori o verso i nemici a qualunque titolo, è ben descritta nel libretto di Giona, soprattutto in 4,1-11;  La solidarietà è narrata con speciale affettuosa vivezza nel libro di Rut, la giovane moabita che arriva a dire alla suocera ebrea Noemi: «Il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio» (1,16).  Nel NT, lo stesso Gesù vive questi valori: si auto-invita a mensa in casa di Zaccheo (Lc 19,1-10), è accogliente con i samaritani (cf Gv 4), incarna la solidarietà con i peccatori facendosi integralmente uomo (Gv 1,1-18; Fil 2,5-11). 

La Bibbia può essere considerata una mappa di “buone pratiche” di ospitalità. In tutti i casi, il sapere è in primo luogo fare e praticare l’ospitalità, cioè educarsi a uno stile ospitale/accogliente nelle situazioni specifiche dell’esistenza. Ciò viene richiamato in Mt 25,31-46 (che per papa Francesco è la traduzione pratica delle Beatitudini, cf Gaudete et exsultate 95-109), ed è testimoniato dall’esempio di Maria di Nazareth che, visitata da Dio (Lc 1,26ss), va a visitare Elisabetta per condividere la propria esperienza, cioè per portare Dio (Lc 1,39ss), per ritrovare anche in lei lo stesso Signore. Mostra il suo cuore attento e solidale alle nozze di Cana, invitando i servi a imitare lo stile ospitale del suo Figlio: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Vedremo in seguito come Francesco d’Assisi vive in prima persona questo umanesimo ospitale, accentuando la consapevolezza del nostro essere “stranieri e pellegrini” su questa terra che ci ospita.


Fra Domenico Paoletti

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