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Dio oggi: Presenza Assenza

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Un filosofo francese, Emmanuel Levinas, si domandava: «In che modo Dio viene all'idea?». A nostra volta possiamo chiederci, analogamente: «In che modo, oggi, Dio appare sui media?». Qual è, in altre parole, l'immagine di Dio che essi veicolano? I media sono infatti il luogo in cui le idee vengono non solo condivise e diffuse, ma anche elaborate e orientate. A ben vedere, d'altronde, Dio non è affatto scomparso dall'orizzonte del dibattito pubblico: a dispetto di quanti, anche di recente, ne avevano decretato l'eclissi. Dio è presente nell'opinione pubblica, a riprova di quanto siano radicate le immagini religiose nel nostro linguaggio e nel nostro immaginario. Solo che questa presenza di Dio nei media si verifica oggi in forme ben precise. Ciò accade anche in conseguenza di quel che gli strumenti di comunicazione sono in grado di offrire, interagendo nel contempo con le nostre idee. Cerchiamo brevemente di capire queste dinamiche prendendo in esame alcuni esempi di comunicazione riguardante il divino: quella su carta stampata, quella audiovisiva e quella in rete.
Per i giornali, Dio è indubbiamente oggetto d'interesse. Ma lo è, soprattutto, in quanto il rapporto con il divino incide sui comportamenti degli uomini. E lo è, in particolare, nella misura in cui questi comportamenti possono dare scandalo o esprimere violenza. Il Dio dei giornali è un Dio politico: non è un caso che, nel nostro Paese, i cosiddetti vaticanisti – i giornalisti che seguono le vicende del Vaticano – fanno parte della redazione politica.

In realtà c'è, alla base di tutto ciò, un equivoco di fondo. I giornalisti cercano notizie, i giornali le offrono. Le notizie sono però qualcosa che oggi, nella società dello spettacolo, devono colpire l'attenzione. Ciò riesce, nel modo migliore, quando le notizie sono cattive. Ed è qui che sta il problema: Dio, il Dio vero, in quest'ottica non fa notizia. Agisce sottotraccia. E lo stesso fanno i tanti uomini e donne che quotidianamente, nel suo nome, operano per il bene. Se dunque i giornali aumentano la tiratura solo con notizie disastrose, non c'è da stupirsi se Dio non è in prima pagina. La stessa propensione per lo spettacolo, gonfiata a dismisura, contraddistingue pure l'odierna comunicazione audiovisiva. In essa Dio è presente – né potrebbe essere altrimenti – in forma d'immagine. A dispetto di ogni tendenza iconoclasta l'immagine del divino, in tv, s'incontra diffusamente. Pensiamo a certe pubblicità, nelle quali l'uso di un chewing-gum viene collocato in Eden o in cui una determinata marca di caffè viene gustata nel Paradiso.

Ma il problema vero non sta nell'uso, a volte poco rispettoso, dell'immagine di Dio. La questione di fondo riguarda il fatto che lo schermo non sembra adatto, per sua struttura, all'espressione del divino. In esso, nell'appiattimento che esso comporta, non trova spazio la trascendenza del simbolo. Mi spiego meglio. La tv, con la sua sequenza d'immagini, è in grado di riportare tutto su di un unico piano, a un unico orizzonte: l'orizzonte dello spettatore. Ciò che trascende il suo sguardo può essere semmai alluso, non già espresso. E così sul medesimo schermo piatto scorrono sacro e profano, intrattenimento e insegnamento. Ecco perché, qui, il rimando che è proprio del simbolo non funziona. L'immagine televisiva non offre un'icona, a dispetto di quanto si dice comunemente a proposito di attrici e cantanti: presenta un idolo. E, poiché non è un idolo, Dio in tv non viene bene.

Resta allora internet. In Rete, luogo di proliferazione esponenziale di siti, assistiamo a un analogo proliferare di immagini del divino, funzionali a vecchi e nuovi culti. In rete possiamo incontrare religioni tradizionali, religioni tecnologiche – quelle la cui comunità esiste virtualmente solo in Internet – addirittura tecnologie che s'ammantano di religiosità e sono funzionali alla creazione di nuovi culti. In tutti questi casi è un Dio plurale quello che s'incontra: sia per le immagini che ne vengono proposte, sia – soprattutto – per le infinite connessioni da cui queste immagini vengono attraversate. In questo variegato panorama, in questa molteplice presenza di Dio nei media, dobbiamo allora chiederci quale spazio rimanga per l'esperienza religiosa: non solo per le sue manifestazioni, ma anche per i suoi vissuti. Molto spesso, infatti, è l'espressione di essa a venir enfatizzata dai media. Ma non bisogna confondere l'espressione con il contenuto. Almeno in ambito religioso non vale affatto l'identificazione di mezzo e messaggio compiuta da McLuhan. Perché, nel caso dell'esperienza di Dio e della sua espressione, il contenuto del messaggio trascende il mezzo.

Ecco allora che, accanto a un uso intelligente dei media, resta un'ulteriore possibilità: la possibilità del silenzio. Il Dio sperimentato in silenzio è infatti al di là del Dio politico, del Dio che fa notizia, del Dio icona, del Dio idolo, del Dio plurale, quali vengono all'idea attraverso i media. Ce lo mostra la sapienza cristiana. Perché a manifestarsi, prima ancora che un'idea possa essere espressa, è proprio quella «Parola silenziosa» – il Cristo procedente dal Padre – di cui parla Agostino nell'XI libro delle «Confessioni». di Adriano Fabris

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