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Tutti i santi che fecero l'Italia

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In pressoché totale controten­denza con l'attuale main­stream, mi sembra fondato so­stenere che le devozioni e le nuove santità sociali e mistiche italiane, a partire dalla fine dell'Ottocento, a­limentino il significativo contribu­to del cattolicesimo alla costruzio­ne dell'identità nazionale italiana. Intorno alla figura di papa Pio IX, alla sua immagine di prigioniero in Vaticano, si incrementò una ve­ra e propria devozione, composta di un corredo ricco e fantasioso, fatto di reliquie, come i pezzettini di paglia del suo giaciglio, di im­magini che lo ritraevano in catene, riproduzione materiale di quei «vincoli» che ne rappresentavano la condizione di carcerato, al pari di quel san Pietro in Vincoli che e­ra modello e icona di tutti i ponte­fici assediati dalla modernità. L'au­ra di santità dei pontefici, che era molto sentita per i primi nove se­coli, quando si identificava con il martirio stesso o con la sua rappresentazione metaforica, viene lasciata sempre più in ombra in e­poca post-tridentina, per rinascere prepotentemente nello scontro con la modernità a cavallo tra Set­te e Ottocento.


La contrapposizio­ne papa-mondo mette il successo­re di Pietro in una costante, ende­mica condizioni di prigionia, di vera e propria vessazione corpora­le. È un martirio simbolico e anche fisico a opera dei nuovi pagani, fi­gli della filiazione luciferina che dalla ribellione di Lutero origina la Rivoluzione francese, quello che vivono i papi Pio VI e Pio VII; ma è con Pio IX che la devozione al Pa­pa raggiunge una incontenibile dedizione popolare. Se ne riscopre la fisicità, umiliata e mortificata, quando la Repubblica romana co­stringe Pio IX a fuggire a Gaeta o quando la sua salma verrà traslata tra disordini e tumulti. Il corpo fat­to prigioniero, ridotto in catene, 'vincoli' che, sulle orme di Pietro, diventano già in vita metonimici della santità del pontefice e di tutti i pontefici in lotta contro il nemico esterno più temibile: la modernità. Le minacce della modernità attua­lizzano il martirio della Chiesa del­le origini.


Nella seconda metà del XIX secolo, gran parte della lettera­tura apologetica cattolica compiva un parallelo tra le persecuzioni dei governi liberali e quella dei marti­ri, vittime degli imperatori romani. La riproduzione della statua me­dievale di un san Pietro bronzeo che i pellegrini francesi riportava­no come souvenir, diventa nella seconda metà dell'Ottocento, il simbolo di una devozione al primo Papa martire, antesignano di tutte le future prigionie pontificie. Nel 1877 Pio IX dispose una speciale indulgenza a chi la conservasse nella propria casa, ne baciasse il piede all'uso dei pellegrini a Ro­ma, così come i 'vincoli' e le cate­ne in tutte le possibili varianti e ri­produzioni, diventano oggetti di culto 'contro' i nemici del Papa che lo costringono in prigionia. Le catene a loro volta sono usate an­che dalla propaganda avversa per dipingere i papalini che incatena­no l'Italia.


Pio IX associerà sempre la sua figura al culto delle catene, riprodotte nelle più efficaci varian­ti: il pontefice è ritratto in preghie­ra dietro le sbarre e nel lucchetto che sigilla le catene è evidente lo stemma araldico della dinastia dei Savoia. un culto che supera i confini dello Stato pontificio e del­l'Europa per diventare un ac­corato appello mondiale che si e­stende fin alle Americhe, anche se la nazione che più sentirà vivo e vicino il suo martirio fino a farne un culto veramente strutturato è naturalmente la Francia: un feno­meno che lo storico Marcel Lau­nay definì con la fortunata espr­es­È sione papolatrie. Non certo speci­ficatamente italiana, quella al pa­pa prigioniero e martire è una de­vozione che nasce quando, con la fine dell'intesa trono-altare, le chiese e i fedeli europei non si sen­tono più protetti dagli imperi, so­no alla ricerca di una protezione che plachi l'insicurezza di cattoli­cesimi differentemente segnati dal Kulturkampf, dal giuseppinismo, dall'ultramontanismo. E rivolgono gli occhi e il cuore a Roma e al pontefice. Un culto che non si li­mita a manifestazioni esteriori di forza e di appartenenza ma che fa appello, e con successo, a un senti­to coinvolgimento affettivo che tocca il cuore dei fedeli. La Civiltà cattolica parla di «tenerezza di de­vozione».


Una pietà che comun­que ammorbidisce lo spirito batta­gliero della sua difesa, trasforma­tasi nel compassionevole accom­pagnamento alla morte, nel biso­gno di consolazione e benedizio­ne. La dévotion au pape degli ul­tramontani si veicola prevalente­mente nei pellegrinaggi che, favo­riti dallo sviluppo delle ferrovie, vengono vissuti come la «nuova crociata», volta non tanto a libera­re la Roma papale quale nuova Ge­rusalemme, quanto il corpo stesso del Papa. Nel percorso che porta alla caduta del potere temporale è sempre meno Roma «la città sa­cra » da salvare e sempre più la fi­gura del pontefice, il suo corpo prigioniero, le sue doti miracolisti­che, le sue sofferenze, la sua mate­rialità soprannaturale. Una vera e I propria devozione strutturata ep­pure non facilmente governabile dall'alto, come si vide dall'impatto simbolico fortissimo che ebbe la vicenda della processione che ac­compagnò la salma di Pio IX, nello sfondo di una Roma attonita, lun­go quelle vie nelle quali dal 1876 il governo aveva vietato si svolgesse­ro processioni pubbliche. pellegrinaggi e anche più semplicemente le processioni si confermano come gli strumenti ancora più preziosi per quel nuovo movimento cattolico che con il pontificato di Leone XIII si esprime nelle forme politico­sociali.

Le manifestazioni devozionali pubbliche, nel suo pontificato, assumono un carattere meno difensivo, meno oppositivo verso le idee patriottiche e laiche. Il piano sociale è piuttosto palestra per sperimentare nuove e inventive forme caritative, il riferimento costante a san Vincenzo de' Paoli si accompagna alle devozioni dei «santi sociali» e alle opere, quella della società di mutuo soccorso, delle casse rurali, dei patronati e infine delle leghe operaie. «I pellegrinaggi – scriveva sul bollettino dell'Opera dei Congressi Enrico Massara, esponente dell'ala più decisa dell'intransigentismo in Lombardia – giovano per tante ragioni; ebbene si facciano, si ripetano, si esaltino, si dirigano a vantaggio dell'Opera, e ai framassoni che ci vogliono morti, mostriamoci vivi non solo, ma in fazione al nostro posto, colle nostre armi spirituali, la croce e la Corona, al grido di 'Viva il papa! Viva l'Italia Cattolica!'».


Il sacro, esibito pubblicamente, divide i cattolici perché entra direttamente in concorrenza con i riti civili, le commemorazioni dei miti risorgimentali. Si ingaggia così un vero e proprio conflitto sulle lapidi, i monumenti, i nomi delle strade: uno scontro sui simboli della religione civile che si ricomporrà solo con i monumenti al milite ignoto, i sacrari e gli ossari delle guerre mondiali che diventeranno forme di santuari laici e religiosi insieme. L'edificio religioso dei «Caduti della patria» diventerà – scrive Mario Isnenghi – «una forma di mutua convalida fra autorità ecclesiastica e laica che non aveva potuto avere corso dopo le divisioni e i radicali contrasti tra la Chiesa di Pio IX e il Risorgimento scomunicato… Il presidio in comune di uno spazio sacro che dall'edificio parrocchiale si protende verso quella sorta di altare all'aperto che i riti, la celebrazione della messa faranno diventare monumento ai caduti, è un passo successivo che le autorità civili e religiose compiono con naturalezza».(Avvenire)

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