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Cipro - Il dialogo religioso speranza per una futura riunificazione

Le onde si infrangono spumeggianti contro lo scoglio di Petra tou Romiou, a Cipro. Qui Afrodite, la dea della bellezza e dell’amore, emerse dal mare trasportata su una conchiglia e fece di Cipro la sua dimora. E fu sempre in quest’isola che la dea si coricò con Ares, il dio della guerra. Amore e guerra, bellezza e devastazione; due aggettivi contrastanti che a Cipro, sin dagli albori mitologici della sua storia, hanno convissuto per millenni e continuano ancora oggi a struggere l’animo dei suoi abitanti e di chi la visita. Testa di ponte tra Europa e Vicino Oriente e, in seguito, tra Cristianesimo e Islamismo, la posizione geografica di Cipro ha sempre allettato gli eserciti di ogni tempo che non hanno esitato a sfruttare anche la religione per raggiungere i loro progetti di conquista. Greci, fenici, assiri, egiziani, arabi, francesi, veneziani, turco-ottomani, inglesi si sono succeduti nel corso dei millenni nel dominio dell’isola lasciando, ognuno, tracce della loro presenza. Storia e religione, a Cipro, si sono sempre avvinghiate; sin dal 45 d.C., quando San Paolo, dopo essere stato sferzato a Pafos con 39 colpi di frusta ad una colonna che ancora oggi è meta di pellegrinaggi, convinse il governatore romano Sergio Paolo ad abbracciare la fede di Cristo. Prima nazione cristiana, Cipro fu anche il luogo dove si consumarono efferati delitti nel nome dei Vangeli. <br><br><br>I Crociati, sull’onda dello Scisma d’Oriente del 1054, trattarono l’ortodossa Cipro alla stregua dei territori musulmani suscitando sommosse da parte dei fedeli locali. Sono, questi, secoli di oscurantismo, durante i quali non solo si consuma l’odio per i rispettivi fratelli, ma si delineano i confini linguistici e religiosi che, più di quelli politici e ideologici, segneranno l’Europa del XXI secolo. La caduta e la profanazione di Costantinopoli nel 1204 ad opera della Quarta Crociata, è una piaga che ancora oggi, a distanza di otto secoli, fa fatica a rimarginarsi. Con queste premesse non sorprende che la cacciata dei Veneziani da parte dei Turchi nel 1571 venne salutata con sollievo dalla maggioranza dei greco ortodossi, tanto più che la secolarizzazione dell’amministrazione ottomana favorì il rifiorire della Chiesa Ortodossa. La contrapposizione al cattolicesimo, più che all’islamismo, ha portato i ciprioti di etnia greca a coagulare il sentimento panellenico sino ad identificare la propria identità nel nazionalismo e nella religione. <br><br><br>L’enosis, cioè la volontà di unione con la Grecia, e la fedeltà alla religione greco-ortodossa, sono le due principali idee attorno a cui ha rotato l’EOKA, il movimento antibritannico greco cipriota che il 16 agosto 1960 ha portato l’Arcivescovo Makarios III ad essere il primo presidente di Cipro indipendente. Le successive epurazioni etniche ai danni dei cittadini di etnia turca negli anni Sessanta e l’invasione dell’esercito di Ankara della parte settentrionale di Cipro in risposta al tentativo di colpo di stato organizzato dal governo dei Colonnelli di Atene nel 1974, hanno portato alla divisione dell’isola lungo la Linea Verde. Questa avrebbe potuto essere l’occasione, per le chiese cristiane, di aprire un dialogo, rivedere i propri arroccamenti, ma a quanto sembra l’opportunità è stata sprecata. Per trovare la vera anima ortodossa mi arrampico sino al Monastero Stavrovouni, dove alle donne è vietato l’ingresso. Qui vive, quasi in eremitaggio, padre Kallinikos, il più famoso monaco-pittore di icone. «Dovremmo iniziare a parlarci iniziando dalle cose che abbiamo in comune» dice mostrandomi un’icona della Madonna col Bambino dipinta da lui. <br><br><br>Mi ricordo queste parole quando, al Monastero di Kykkos, il più importante dell’isola, uno dei monaci spiega: «Cipro potrebbe essere un grande esempio ecumenico per tutta l’umanità e rappresentare il futuro dell’Europa: qui vivono latini, maroniti, greco-ortodossi, islamici, anglicani. La sua divisione, politica e religiosa, rappresenta il vero dramma dell’incomunicabilità del nostro tempo». Nella parte settentrionale dell’isola, incontro Sheik Nazim Kibrisi, capo spirituale di un movimento sufi internazionale sparso nei cinque continenti, «La Comunità Europea – mi dice – è un club cristiano» Se da una parte Sheik Nazim Kibrisi non accetta l’idea di inserimento in un’Europa che non considera parte integrante del suo essere, dall’altra si dice disposto a collaborare con le comunità cristiane dell’isola per riportare Cipro unita. «Il dialogo tra Islam e Cristianesimo, che a Cipro potrebbe svilupparsi pacificamente, aiuterebbe a far capire agli integralisti delle due parti che la convivenza non solo è possibile, ma anche proficua. In tutto il mondo.» <i>di Piergiorgio Pescali</i>

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