Le vetrate della Basilica superiore
Sotto il pontificato di Alessandro IV, il ministro generale Bonaventura da Bagnoregio presentò al Capitolo dei frati riunito I'anno 1260 a Narbona una serie di regolamenti sulla vita interna dell'ordine. Tra i capoversi dedicati all'osservanza della povertà, si vietava l'uso nelle chiese di coperture con volte in muratura, eccetto nella cappella maggiore; inoltre, erano da evitare negli edifici curiosità eccessive con dipinti, sculture, finestre e colonne, mentre per lunghezza, larghezza e altezza le chiese dovevano rispettare la consuetudine del luogo. L'unico ornamento consentito era I'uso di finestroni figurati nel coro dietro I'altare maggiore, dove potevano essere esposte vetrate con le immagini del Crocifisso, di Maria Vergine e dei santi Giovanni, Francesco e Antonio.
La chiesa superiore nacque per ospitare il primo in ordine di tempo e il più esteso, per superficie, complesso di vetrate figurate in Italia. L'assenza di precedenti nella lavorazione del vetro dipinto fu ovviata ad Assisi grazie al ricorso a maestranze d'oltralpe capaci di impiantarvi fornaci per la fusione e la colorazione del vetro, istituendo un legame con i cantieri delle grandi cattedrali del gotico europeo e con i costruttori delle chiese francescane oltremontane, per trarne artisti, spunti iconografici e soluzioni formali.
L'esecuzione delle vetrate spetta a due maestranze principali. Nella quadrifora del transetto meridionale, con la Genesi e I' Ordo virginum, e in due vetrate apostoliche della navata - quelle dei santi Giacomo maggiore e Andrea, Giovanni e Tommaso - prevalgono soluzioni figurative di origine francese, comuni alle sensibili forme del gotico rayonnant introdotto nella miniatura parigina al tempo di Luigi IX il Santo, intorno alla meta del Duecento.
Il tesoro del Sacro Convento
Nel tesoro del Sacro Convento, si conserva ancora uno splendido calice in argento dorato, col nome del pontefice e la firma dell’orafo Guccio di Mannaia da Siena. E’ questa un’oreficeria di straordinaria importanza per l’utilizzo dello smalto traslucido - l’esempio più antico che si conosca al di sotto delle Alpi – e per la conoscenza dei più moderni traguardi dell’arte gotica parigina dimostrata dall’orafo senese, che si rivelò un immediato precedente dell’arte di Duccio, Simone Martini,e Pietro Lorenzetti. Lo stesso pontefice doveva essere cosciente della bellezza del calice e volle farvi apporre il proprio ritratto tra le figura dei santi nel piede.
Il coro
Le pareti dell'abside e del transetto sono quasi interamente fasciate, alla base, dal magnifico coro ligneo realizzato negli anni 1491-1501 da Domenico Indivini e collaboratori. Comprende 102 stalli intarsiati con prospettive architettoniche, nature morte e figure di santi, beati e illustri personaggi dell'ordine francescano. Notevole anche il leggio posto al centro dell'abside.
Codice della Biblioteca
Il codice 338, contenente le prime, e pertanto più antiche , fonti francescane, è certamente uno dei libri più importanti del movimento francescano, per il quale si può dire che si tratta di un testo sacro, ed è da annoverare tra i codici preziosi del cristianesimo e della storia dell’umanità. Tra i vari documenti contenuti nel Codice 338 spicca la prima stesura del Cantico delle Creature, detto anche Cantico di Frate Sole, uno tra i primi componimenti poetici in lingua italiana . Un’altissima espressione del corretto rapporto fra l’uomo e il creato, nella lode al Creatore. l codice appare miscellaneo per la varietà di testi, composito per la diversa fattura dei materiali, eterogeneo , data la diversità delle mani che ne hanno vergato le varie parti. In esso sono evidentemente confluiti fascicoli di diversa natura, consistenza e provenienza. Non si tratta dunque di un assieme organicamente progettato, ma della raccolta di fascicoli sparsi e, in qualche casa, di brandelli di testi, fortuitamente salvatisi da probabili opere di distruzione.
Il Simbolo della croce
Il simbolo della croce fu particolarmente caro a san Francesco . Egli era solito , racconta il biografo Bonaventura, esortare i compagni a concentrare l’attenzione su una immagine del Cristo crocifisso immedesimandosi nella sua Passione, per rimediare alla mancanza di libri dove leggere l’ufficio .
Nella chiesa di S. Chiara è gelosamente conservato il Crocifisso che parlò a san Francesco nella chiesina di S. Damiano, dove il martire è raffigurato secondo l’iconografia romanica del Christus Triumphans, cioè ritratto vivo sul trono della croce. Il Crocifisso dipinto da Giunta seguiva piuttosto l’iconografia bizantina del Christus patiens, cioè con il Cristo morto dolorosamente piegato sul legno della croce, sul modello del Crocifisso dipinto dallo stesso pittore per il santuario della Porziuncola. Questo tipo di iconografia, elaborato nell’ Oriente bizantino fu introdotto in Occidente al tempo delle prime crociate comparve nella pittura e nella oreficeria d’oltralpe a partire dalla metà del XII secolo.
E’ probabile che la soluzione iconografica sia stata suggerita al pittore dallo stesso frate Elia, il quale fu per un triennio custode della provincia minoritica in Terra Santa ed ebbe modo di vedere presso il santo Sepolcro immagini sacre di forte carica devozionale.
A questo prototipo si ispireranno i numerosi crocifissi dipinti nel XIII secolo per le comunità francescane della penisola.