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Elvio Lunghi

Francesco guarisce un ferito a morte

A osservarli a distanza di secoli, i dipinti alle pareti del San Francesco di Assisi potrebbero sembrare tutti uguali, e invece non lo sono. Anche le immagini che ritraggono il volto del santo o il resoconto di una vita potrebbero sembrare tutte uguali, e neanche questo è vero. Non sono un semplice riepilogo della vita di un uomo. Sono le luci e le ombre di una scelta di vita cristiana.

Soprattutto, sono i successi e le sconfitte di una famiglia religiosa destinata ogni giorno a confrontarsi con la vita di un uomo che fu anche un santo, dividendosi tra i duri compiti della realtà quotidiana e l'esercizio della preghiera. Le immagini della vita di san Francesco sono un riepilogo delle innumerevoli scelte che dovettero affrontare i frati nel seguirne l'esempio.

Sono l'immagine di Francesco che i frati proiettarono nella loro scelta di vita cristiana, rinnovata ogni giorno nel corso dei secoli. Di queste scelte faticose ce ne dà un buon esempio uno degli episodi finali della vita di san Francesco, che a guardarlo come si deve, dal coro sotto la crociera, era uno degli episodi da mandare a memoria, avendolo i frati sempre sotto gli occhi.

È un miracolo post mortem di Francesco: la guarigione di un uomo che era stato ferito a morte a Lerida in Catalogna: città fondata dagli Iberi, conquistata dai Romani, poi dagli Arabi, poi tornata in mano cristiana grazie ai Templari, in un incessante rosario di guerre e di stragi. L'episodio è descritto da Tommaso da Celano nel Trattato dei miracoli e da Bonaventura da Bagnoregio nella edizione maior e minor della sua Legenda. Stesso episodio, ma con una ben differente morale. Ancora più differente è la morale che si ricava osservando l'immagine alle pareti della chiesa.

Tommaso da Celano racconta le lotte feroci che insanguinavano il regno di Castiglia a causa di una vecchia lite che opponeva due capibanda alla testa di fazioni armate, impegnate continuamente in agguati e delitti. Una sera queste lotte furibonde coinvolsero un innocente, buono e onesto, mentre si recava nella chiesa dei frati essendo devoto a san Francesco. Scambiato per un altro, fu trafitto da innumerevoli colpi e fu lasciato per morto con una spada piantata sul collo. Per tutta la notte medici e frati si alternarono al suo capezzale, nella speranza di salvargli la vita.

Persa ogni speranza, all'alba i frati tornarono nella loro chiesa per celebrare mattutino. Come suonò la campana, la moglie del ferito lo esortò ad alzarsi per recarsi anche lui in chiesa. Cosa che prontamente avvenne, grazie all'intervento miracoloso di san Francesco.

Nella Legenda Maior, san Bonaventura toglie qualsivoglia cenno a una faida tra due fazioni e non parla più della presenza in città di un convento di frati. Un uomo era stato scambiato per un altro e era stato ferito in un agguato per strada. Come si perse ogni speranza di guarigione, il ferito invocò san Francesco. Uno vestito da frate si avvicinò al suo letto, gli slegò le fasciature e gli spalmò un unguento sulle ferite: era Francesco.

Ne seguì l'immediatata guarigione. Se passiamo al dipinto nella prima campata della parete meridionale della navata, la scritta che si legge nella cornice sottostante c'informa come il beato Francesco guarisse perfettamente Giovanni della città di Lerida, ferito a morte e dato per spacciato dai medici, ma che aveva invocato il nome del santo nell'occasione del ferimento.

Francesco sciolse le sue bende e gli toccò con le mani le ferite. La storia è ambientata all'interno di un ospedale, in mezzo alle cortine che dividono i letti di una corsia. La metà sinistra del quadro ritrae un consulto di medici: uno indossa una sobria veste azzurra e un berretto orlato di vaio; l’altro indossa un elegante abito color viola e ha in capo un altissimo cappello a tubo.

Alle loro spalle si vede la moglie del ferito, che ne ascolta preoccupata i discorsi. La metà destra del quadro ritrae il ferito coricato sopra un materasso appoggiato a un letto di legno sagomato, coperto da un lenzuolo candido e da una coperta rossa. Francesco si è chinato su di lui, gli ha allentato le bende insanguinate che ne fasciano il torace e gli spalma un unguento sulle piaghe. Alle sue spalle due angeli gli porgono un vasetto con la medicina.

I due medici indossano abiti stravaganti per impressionare con il loro aspetto i malati, come si racconta nella novellistica contemporanea. Al contrario Francesco sta esercitando un'opera di misericordia in favore di un ferito, come erano soliti fare i frati Minori che s'impegnavamo al servizio degli ospedali cittadini. O come erano solite fare le «mulieres religiosae», donne penitenti come Angela da Foligno, come Margherita da Cortona, che prima ancora di dedicarsi alla contemplazione e alla penitenza, si gettavano anima e corpo nell'assistenza ai poveri e ai pellegrini che bussavano alle porte degli ospizi. Perché - come scrisse l'apostolo Paolo agli abitanti di Corinto - «sono queste le tre cose che restano: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità».

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