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Redazione

La solitudine del riformista

La misteriosa scomparsa dell'economista Federico Caffè, di cui ricorre quest'anno il venticinquesimo anniversario, continua a destare un creativo interesse. Non è infatti un ricordo indagatore, che lascia inquietudine e sospetto verso i più intimi collaboratori. Mente tra le più brillanti del panorama accademico italiano, profetico nella sua diffidenza verso il dilagare di un'economia che mette da parte l'uomo e privilegia i numeri, il professore della Facoltà di Economia dell'Università La Sapienza ha trasformato la sua scomparsa in una lezione a tempo indeterminato. <br><br> È come se all'età di settantatre anni, il mistero fosse l'aula privilegiata in cui rifugiarsi per non abbandonare mai l'università e soprattutto i suoi studenti, stimolati per anni a cercare la complicata soluzione di un enigma apparentemente irrisolvibile, mantenendo intimo il confronto accademico su insegnamenti ancora attuali. <br><br> Cinque anni fa, l’8 Maggio 2007, ebbe inizio il progetto Oltre il pensiero economico con una estemporanea di studenti dell'Accademia di Belle Arti di Roma ispirata da La solitudine del riformista, articolo scritto nel 1982. Federico Caffè rifletteva sulle qualità del riformista: pazienza, costanza, concretezza. Di fronte alla derisione e allo scherno di chi trova nel «sistema» l'alibi per omettere il proprio impegno riformatore nella storia, Federico Caffè ricordava che l'azione del riformista risulta vincente perché radicata nella perseveranza di miglioramenti concreti, immediati e non rinviati in attesa di «future palingenesi». Per questo il riformista non ha l'aiuto di chi sogna di creare un «sistema» nuovo, di chi aspetta che sia il «sistema» a cambiare autonomamente, o di chi sostiene il «sistema». <br><br> Il riformista percorre dunque una strada piena di ostacoli che possiamo riconoscere anche nella difficile stagione di riforme necessarie all’economia dei giorni nostri. Ecco perché un artista dell'Accademia interpretò il tema con un ritratto di Federico Caffè legato all'ultima strofa di un capolavoro di Eugenio Montale: <br><br> <i>«E andando nel sole che abbaglia<br> sentire con triste meraviglia<br> com’è tutta la vita e il suo travaglio<br> in questo seguitare una muraglia<br> che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia».</i> <br><br> Alessandro Giuseppe Porcari

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