Franco Cardini
Rileggiamo Francesco
Torno su cose note. Vorrei rifarmi â ancora! â al Testamento di Francesco partendo da un paio di cose fondamentali. Da una parte il grande saggio dellâindimenticabile Giovanni Miccoli, La proposta cristiana di Francesco dâAssisi, uno studio del 1983 poi ripubblicato in Idem, Francesco dâAssisi. Realtà e memoria di una presenza cristiana, Torino, Einaudi, 1991, pp. 41-56; dallâaltra poche e polemiche pagine di Grado Giovanni Merlo, Tra eremo e città . Studi su Francesco dâAssisi e sul francescanesimo medievale, Assisi, Edizioni Porziuncula, 1991, pp. 82-84; e infine un saggio di M. Pellegrini, Itinerari dellâinserimento. Riflessioni su minoritismo e chiese locali nella prima stagione francescana, in Il francescanesimo dalle origini alla metà del secolo XVI. Esplorazioni e questioni aperte, a cura di F. Bolgiani e G.G. Merlo, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 71-111, particolarmente le riflessioni a p. 75. Scrive difatti, in particolare, Michele Pellegrini, che a commento del passo del Testamento 4-5- (Fontes Franciscani, Assisi, Edizioni Porziuncula, 1990, p.227). Grado Giovanni Merlo polemicamente e recisamente ânega lâidea di una contrapposizione perenne e ineludibile tra âsacerdotalismoâ ed âevangelismoâ: poli ideali che, anzi, proprio in ragione della insopprimibile esigenza avvertita dallâassisiate per la visibilità â eucaristica e dunque istituzionale - del divino cristiano nella storia, divengono compatibili e necessari lâun lâaltroâ. E non a caso al riguardo appunto Pellegrini richiama al libro di C. Vaiani, Federe e credere. Lâesperienza cristiana di Francesco dâAssisi, Milano, Glossa, pp. 133-56, per ricordare (questo il senso del citato passo del Testamento), che âFrancesco ha fede nellâevidenza materiale delle chiese in quanto esse sono lâespressione più semplice e quotidiana in quella concretezza tangibile del divino che è, per lui, bisogno insopprimibileâ. Lo so: un passo come quello che or ora avete letto è più adatto a una ânota a piè di paginaâ di un saggio da pubblicazione specialistica che non al tono semplice e colloquiale di questa rubrica e di questa rivista. Ma qualche volta, anche quando si parla alla buona, bisogna esser precisi. E poi, così comâè vero che non câè â né il Francesco dâAssisi, né obiettivamente: e tantomeno (verrebbe fatto da aggiungere) in quel âFrancesco da Buenos Airesâ che attualmente guida la Chiesa â opposizione tra âsacerdotalismoâ ed âevangelismoâ, è allo stesso modo vero che non câè opposizione tra lo studio scientifico delle cose e lâapproccio semplice, se volete âdivulgativoâ, ad esse. Voglio dire che il semplice fedele, che non da nulla o sa molto poco di Francesco dâAssisi ma lo ama, può benissimo provar a leggere ogni tanto qualche pagine di Miccoli, o di Merlo, o di Pellegrini, o insomma degli studiosi più severi e accreditati. Eâ una balla che essi scrivano in termini âincomprensibiliâ di cose âinaccessibiliâ. Anzi, è peggio di una balla: è lâalibi idiota e criminale di chi, con questa premessa dettata da viltà e da pigrizia, si affida poi alle ben meno meditate e qualificate âopinioniâ di âespertiâ che tali mediaticamente si presentano ma che tali in realtà non sono affatto. Alla luce di tutto ciò, rileggiamoli davvero, senza pregiudizi, con semplicità , gli scritti di Francesco: tutti, non solo il Testamento e il Cantico delle Creature. Ci riscopriremo il Povero che ama la Chiesa proprio perché ama le chiese: e del resto lo sanno tutti che la sua conversione è cominciata riparando una chiesa che andava in rovina. Sì, lo so, a questo punto si sottolinea il dato simbolico e la lettura allegorica: riparare le chiese in quanto simbolo del restaurare (reformare, si diceva e si dice in latino: non è un verbo âprotestanteâ) la Chiesa. Ma la Chiesa si ama attraverso le Chiese, al Cristo certo ci si arriva con lo spirito ma in contatto reale con lui si entra attraverso le umili specie concrete del pane e del vino, cioè (per noi latini) dellâostia di farina non lievitata; ed è il sacerdozio il ponte attraverso il quale il Vangelo vive tra noi. Francesco non ha mai osato divenire prete, e magari è nel giusto chi afferma che non ha mai voluto esserlo: ma non câera ombra di antisacerdotalismo in tale scelta, e la dalmatica dorata del diacono, a un passo dal sacerdozio, gli spetta pienamente in Cielo. Perché il Modello, cioè il Cristo, è Vero Sacerdote e vero Povero. Lo dico perché sono stufo delle âdestreâ e delle âsinistreâ cristiane, sono stufo delle polemiche ignoranti, imbecilli e disoneste di âdestraâ e di âsinistraâ sul pontificato di papa Francesco. Ci mancherebbe che, per amare i poveri, si dovessero dimenticare o sottovalutare teologia, liturgia e sacramenti nel nome del âritorno al Vangeloâ; ci mancherebbe che, nel nome della regale maestà del sacerdozio, si dovessero trascurare i poveri. Ci mancherebbe che noi dovessimo scegliere tra unâinfima baracca di miserabili e una solennissima basilica profumata dâincenso e piena di cardinali dalla cotta di trina e di guardie svizzere: come se ciascuna delle due cose escludesse lâaltra o anche soltanto non ne avesse bisogno. Francesco non avrebbe mai vissuto tra i lebbrosi, e trovato dolcissima la loro compagnia, se non fosse stato mosso, ispirato, sostenuto e conquistato dallâamore per il Vero Sacerdote; ed era solo nel suo nome châegli amava e onorava i âsacerdoti poverelliâ. Perfino quello che una volta gli presentarono a furor di popolo, come peccatore, e stavano per linciarlo, e al quel egli baciò quelle mani che probabilmente avevano orrendamente peccato, ma che trasformavano il vino e il pane in Sangue e Corpo del Vero Povero.
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