Le visite dei pontefici

Torna il gelo a Pechino. Nel giro di pochi giorni diversi colpi assestati dal governo centrale hanno piegato i sostenitori dei diritti umani. L’ultima notizia in ordine di tempo riguarda la morte di una delle personalità più rispettate tra i buddisti di tutto il mondo. Si tratta di Tenzin Delek Rinpoche, 65 anni, condannato prima a morte, poi a vent’anni con l’accusa di ‘reati di terrorismo e istigazione al separatismo’. Un decesso avvenuto nella prigione di Chuandong, nella città di Chengdu, nel sud-ovest del paese.
Un monaco in prigione. Ancora non sono chiare le cause della morte di Tenzin Delek. Il monaco era molto conosciuto e seguito in tutto il Tibet, in particolare nella regione del Sichuan. Nel 2002 era stato imprigionato in seguito a un attentato terroristico a Chendu in cui una persona era morta e due erano rimaste ferite. In un primo momento la corte lo aveva condannato a morte, per poi ridurre la pena a vent’anni di reclusione. Una sentenza mai accettata dai gruppi filo-tibetani e dagli attivisti che non solo ritenevano il lama del tutto estraneo all’attentato, ma guardavano a quell’arresto come a una mossa politica per togliere di mezzo una figura scomoda molto vicina al Dalai Lama. Quest’ultimo infatti dall’esilio indiano lo aveva riconosciuto come 'tulku' o reincarnazione di un Buddha vissuto in epoche precedenti. “Il caso – si legge su un rapporto di Humans Right Watch del 2004 - rappresenta il culmine di uno sforzo decennale da parte delle autorità cinesi per frenare i suoi sforzi nel promuovere il buddismo tibetano, il sostegno per il Dalai Lama e il suo lavoro per sviluppare istituzioni sociali e culturali tibetani”.
Liberatelo. Un processo condotto a porte chiuse che anche il dipartimento di Stato americano ha duramente contestato. Nel 2014 i familiari del monaco avevano richiesto la sua scarcerazione a causa dei gravi problemi cardiaci aggravatisi durante i 13 anni di reclusione nei quali, secondo la famiglia e diverse Ong, Tenzin Delek Rinpoche non avrebbe ricevuto le cure necessarie. Per la sua liberazione si erano battuti anche gli stessi tibetani che nel 2010 avevano organizzato una giornata mondiale di mobilitazione per il suo rilascio raccogliendo più di 40mila firme. “Un innocente monaco tibetano buddista è morto per mano del governo cinese – scrive Tenzin Dolkar, direttore esecutivo di Students for Free Tibet, un’organizzazione con sede a New York - La sua morte è in tutti i sensi un omicidio politico. Condanniamo il governo cinese per l'omicidio di Tenzin Delek Rinpoche”.
Una retata anti-libertà. La morte di Tenzin Delek segue di poche ore una delle operazioni più repressive condotte da Pechino negli ultimi anni. Nei giorni scorsi più di cento tra avvocati e attivisti sono stati fermati e interrogati dalle autorità cinesi. Secondo il China Human Rights Lawyer Concern Group (Chrlcg) di Hong Kong almeno 23 persone sono state arrestate e tra queste figurano almeno sei accusati di ‘attività criminali’. “Le autorità – ha detto William Nee, ricercatore Amnesty per la Cina - devono porre fine a questo assalto contro gli avvocati dei diritti umani. Questo giro di vite senza precedenti non può che essere stato commissionato del governo centrale”.
“Le autorità - continua Nee - devono rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti coloro che sono detenuti unicamente a causa del loro lavoro in difesa dei diritti umani”. Le conseguenze più pesanti le avranno i sei soci dello studio Fengrui di Pechino. Tra questi anche Zhou Shifeng, l’avvocato difensore dell’assistente di una rivista tedesca che aveva aiutato i giornalisti a coprire le proteste di “Occupy Cental”. (Repubblica)
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