Francescani in Siria: il nostro Natale, povero come quello di Gesù
L'intervista a padre Firas Lutfi, Ministro dei francescani in Giordania, Libano e Siria
La guerra è molte cose: spari, bombe, case distrutte, morti e feriti. Ma anche cose che non si vedono: traumi, incubi assillanti, pensieri suicidi. Padre Firas Lutfi le conosce tutte queste cose perché, da Ministro dei francescani della regione di San Paolo (Giordania, Libano e Siria), le ha davanti agli occhi da più di nove anni. Vive ad Aleppo e sa che la guerra in Siria è un’emorragia, da tutti i punti di vista. Perdita di risorse umane, economiche, culturali, energie e speranze ridotte progressivamente al lumicino. Soprattutto dopo gli attacchi degli ultimi mesi.
Qui, dove la comunità cristiana è antichissima, adesso si fatica a contare chi è rimasto e chi non c’è più. “Viviamo un momento molto drammatico – racconta il Ministro - la bellezza dell’essere diversi qui convive da sempre ma adesso sta attraversando un momento molto critico della sua storia. Il terrorismo che ha invaso questa terra mette la maschera della religione. La comunità cristiana ha cercato di sopravvivere ma purtroppo da 2 milioni di cristiani che eravamo nel 2011 adesso siamo meno della metà”. Nella sola Aleppo “da 250mila cristiani siamo rimasti quasi 30mila. Un calo spaventoso. In Siria è in atto una pulizia della madre di tutte le Chiese”. È un racconto doloroso, tanto più se si pensa all’importanza di questa terra nella storia della cristianità: “Alle porte di Damasco San Paolo ha un cambio totale di vita, incontra il Cristo crocifisso risorto dai morti che lo chiama e gli domanda ‘Saulo, perché mi perseguiti?’. Da allora Saulo prende il nome di Paulo e inizia a diffondersi il messaggio della Buona Novella non solo nell’ambito limitato della comunità giudaica ma in tutto il mondo, ai pagani di quel tempo e poi a tutte le nazioni, come voleva Gesù. Insieme a lui c’è San Barnaba e ad Antiochia di Siria per la prima volta si parla di seguaci di Cristo, una cosa inedita che i siriani hanno a cuore”.
Come vive dunque, oggi, una famiglia in Siria? “Vive una lotta continua contro la povertà e la mancanza di lavoro - spiega padre Lutfi - durante l’assedio della città ci si difendeva dalle bombe e dai proiettili. Ci sono state distruzioni, mutilazioni. Due anni fa Aleppo è stata liberata dai jihadisti, installati nel centro della città. Come francescani abbiamo scoperto che dobbiamo conservare questo piccolo gregge rimasto dentro la città”. Sono emersi i tanti bisogni della comunità, in primis quelli sanitari. I più indifesi sono anziani e bambini: “Aiutiamo le famiglie a portare avanti una vita per nulla facile e cerchiamo di supportare gli universitari affinché non abbandonino gli studi; stiamo accanto anche alle giovani coppie che si accingono al matrimonio ma per ragioni di povertà e di sfiducia nel futuro non osavano neanche pensare più al matrimonio. Abbiamo scoperto poi il dramma dei traumi da guerra: i bambini, i ragazzi giovanissimi che hanno tentato il suicidio perché hanno passato momenti terribili. La carità cristiana e francescana, la “Caritas Christi” citata da San Paolo, ci ha spinto ad aprire tutte le porte dei nostri monasteri. Ad Aleppo abbiamo aperto il monastero per ben 5 anni a più di venti persone anziane e malate che facevano parte di un’associazione caritatevole la cui casa è stata rasa al suolo dai bombardamenti. Non hanno neanche potuto ristrutturare la struttura”. I francescani cercano di tamponare anche l’emergenza psicologica: “Abbiamo aperto il “Franciscan care center” - dice ancora il Ministro - per la cura di bambini e adulti con traumi di guerra. Si tratta di un percorso che non prevede solo un trattamento psicologico classico, ma anche ore dedicate ad arte, musica, ballo, teatro, calcio, basket e nuoto. Avendo grandi spazi abbiamo realizzato, grazie all’aiuto di tanti benefattori, una piscina olimpionica: sono stati coinvolti oltre 2mila bambini, la maggior parte dei quali non aveva idea di cosa fosse una piscina”. Nella realtà di Aleppo est è poi emerso il dramma dei “bambini invisibili”, piccoli “non registrati all’anagrafe e abbandonati, guardati con disprezzo perché in molti casi nati dall’unione di combattenti e donne musulmane come conseguenza di matrimoni forzati e violenze. Nessuno vuole accettarli e aiutarli ad avere un’identità quindi il nostro progetto ‘Un nome e un futuro’ è nato per loro. Al migliaio di bambini accolti offriamo, oltre al supporto psicologico, la fisioterapia e la scuola: devono potersi istruire”. Lo spirito che anima i francescani in Siria è racchiuso in un richiamo di papa Francesco: “Ci ha aiutato molto il suo invito a essere una Chiesa in uscita, come un ospedale aperto”.
Pur in mezzo a tanto dolore, il Natale che sta per arrivare viene vissuto con speranza: “La nostra vita è modellata su quella di Gesù e il nostro sarà un Natale povero come il suo perché Gesù è nato in una mangiatoia, nella ‘periferia dell’esistenza’ di duemila anni fa, è nato in una famiglia povera, è nato nel freddo”. Anche duemila anni fa “c’è stato un assassino, Erode, e sangue innocente è stato versato – conclude padre Lutfi – noi però guardiamo a Gesù, che ha sofferto ma ci ha promesso la gioia eterna e la speranza che tutto ciò che ha un inizio avrà sicuramente una fine. E questa fine, se la viviamo con Lui, sarà una fine di vittoria di bene sul male”.
Irene Roberti Vittory
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