La tonaca di San Francesco con le toppe del mantello di Santa Chiara? L'intervista a Maria Giorgi
L'intervista a Maria Giorgi, Professoressa di restauro presso l'Accademia di Brera a Milano
Dopo aver ritrovato lo studio della professoressa Flury-Lemberg in merito al legame tra la tonaca di Francesco e il mantello di Chiara, abbiamo raggiunto telefonicamente a Siena Maria Giorgi, Professoressa presso il corso di laurea magistrale in restauro dell’Accademia di Brera Milano. Restauratotrice/conservatrice che ha effettuato diversi interventi di studio e restauri sul corpus di reliquie di San Francesco e Santa Chiara conservati da secoli presso il Protomonastero delle Clarisse di Assisi.
Negli anni tra il 1992/1995, la professoressa Giorgi si è occupata anche delle ricerche e dell’intervento conservativo sulle due tonache conservate presso il Sacro Convento di Assisi su incarico dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, di cui una è la tonaca in oggetto allo studio della Prof. Flury-Lemberg.
Lo studio fu presentato nel congresso in ICOM-CC 11th Triennial Meeting, Edinburgh, edito dall’International Council of Museums, Edinburgh 1996, dal titolo “The Use of Photogrammetry in Determining the Correct Method of Displaying a Textile Artefact: The Cowl of St. Francis of Assisi”. Recentemente, la Professoressa Giorgi ha presentato in due congressi internazionali rispettivamente a Londra per la conferenza annuale della Società del Medieval Dress and Textiles Society e per il congresso di Early Textiles Studies Group University of Glasgow un intervento dal titolo "The first cowl of St Francis of Assisi and the mantle of Bishop Guido".
L’intervento illustrato per la prima volta in occasione dell'apertura del Santuario della Spogliazione di Assisi nel maggio del 2017, verteva sull'ipotesi confermata dagli studi, che San Francesco riportò pezzi del mantello del Vescovo Guido sul suo primo abito penitenziale.
Le reliquie in oggetto, un pallio ed una veste, donate dal Vescovo a Francesco, si riferiscono alla nota spogliazione del Santo alla presenza del Vescovo di Assisi Guido, del padre Pietro e della cittadinanza, rappresentata da Giotto nel famoso ciclo di affreschi della Basilica superiore di Assisi 1295/1299, che presero spunto dalla Leggenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio.
Maria Giorgi ha curato tra gli altri, il restauro delle reliquie di San Bernardino della Basilica dell’Osservanza di Siena e Massa Marittima, i parati di Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati sede della Presidenza della Regione Toscana a Firenze, l’opus anglicanum Piviale di Pio II di Pienza, la casula di San Panfilo Sulmona, la collezione tessile del Museo di Palazzo Venezia e del Museo d’Arte Orientale di Roma, parte della collezione di arazzi del Palazzo del Quirinale. Molti di questi lavori sono stati dalla Giorgi pubblicati e presentati in congressi nazionali ed internazionali.
Professoressa Giorgi, lo studio della prof.ssa Flury - Lemberg sostiene che alcune toppe cucite sulla tonaca di San Francesco provengano dalla veste di Santa Chiara. È possibile?
Mi sono occupata negli anni sia del restauro che degli studi su entrambi i materiali in oggetto, il mantello, più che la tonaca direi, di Santa Chiara, conservato presso il Protomonastero delle clarisse di Assisi, per cui iniziai a lavorare già nel 1992 di ritorno dalla specializzazione in restauro dei tessili al Victoria and Albert Museum di Londra, chiamata dalla restauratrice umbra Lucilla De Angelis allieva della studiosa di tessuti antichi Prof. Lucia Portoghesi, sia sulla tonaca conservata presso il Sacro convento di Assisi su cui lavorai dal 92 al 95 presso l’Istituto Centrale per il restauro di Roma, sotto la direzione della Dottoressa Rosalia Varoli Piazza, storica dell’arte che all’epoca dirigeva l’istituendo laboratorio di restauro del tessile in ICR. Negli anni ho poi seguito personalmente sia la progettazione che le ricerche e gli interventi su queste reliquie tessili, come su altre. Posso dire che il livello di approfondimento dei miei studi mi ha permesso di apprezzare l’ipotesi della Flury – Lemberg, ed in questa direzione, come in altre ipotesi suggerite dalla Portoghesi si sono indirizzate parti della mia ricerca.
È un tema che va approfondito e strutturato all’interno di uno studio composito, similmente a quello da me svolto sulla prima tonaca di San Francesco e i frammenti del sacro pallio del Vescovo Guido, ipotizzati in questo specifico caso dalla Prof.ssa Portoghesi. Noi dobbiamo infatti considerare di non essere stati i primi come non saremo certo gli ultimi ad approcciare questi materiali così ricchi di storia e simbologia.
Servono, per tali ricerche, svariate competenze, studi approfonditi delle fonti storico-artistiche, sulle fogge d’abito in uso nel medioevo, fonti archivistiche ma anche le narrazioni dei vari processi di canonizzazione, dove si trovano atti ed elementi della vita di entrambi i Santi. Per quanto riguarda gli aspetti tecnico-scientifici oggi abbiamo a disposizione strumentazioni e tipologie di indagine molto avanzate rispetto al periodo in cui Lemberg e Portoghesi espressero le loro ipotesi. Questo approccio oggi è assolutamente indispensabile per noi, anche in relazione appunto alle tecnologie di cui disponiamo.
Serve una comparazione tecnica delle tipologie di tessitura della grande pezza che compone il mantello di Santa Chiara, con alcune delle toppe presenti sulla veste in oggetto. Il mantello in effetti presenta delle parti mancanti, come fossero tagli, nella parte inferiore, che potrebbero risalire sia al loro utilizzo come reliquie, ma anche ad altri scopi. Andrebbero confrontate alcune delle toppe che si trovano sul saio di San Francesco, proprio con il mantello più che con l’abito di Santa Chiara, ma certo non vanno esclusi altri oggetti del corredo tessile della Santa da questo studio comparato.
Il saio di San Francesco conservato presso il sacro convento di Assisi è un oggetto molto complesso, rispetto a quelli semplice, conservati nel Protomonastero delle Clarisse, ha una fodera, una specie di tasca per le elemosine e numerosissime toppe, ed stata rammendata più volte. Ma esistono delle fonti che parlano del fatto che Francesco si recasse da Chiara e che
proprio lei sistemasse il corredo di Francesco ? Era un corredo poverissimo, in pratica soltanto la tonaca che possedeva al momento, queste fonti o narrazioni andrebbero ricercate con cura.
Alcune toppe su questa tonaca assomigliano molto alla stoffa che compone il mantello di Santa Chiara. La Prof.ssa Lemberg fa riferimento anche al tipo di cucitura che ferma queste toppe: un punto molto preciso, molto piccolo in filato con il lino. Si tratta, in effetti, di un punto molto ordinato, che è una specie di firma, asticelle verticali con un filo orizzontale che passa all’interno. Questo tipo di punto si trova anche nei polsi della veste di Chiara, in altre parti del mantello e in altri oggetti della Santa. Come la tonaca interna, che è stata riesposta recentemente dopo gli interventi del 2007. Si può presupporre che fosse un punto fatto direttamente da lei sui suoi stessi abiti, quindi che lei stessa abbia rammendato anche la veste di San Francesco, riparandola con alcune toppe ? Per porre in essere questa ricerca abbiamo eseguito più campagne di indagini scientifiche sulle fibre delle reliquie, così come sulle cuciture e sui filati, sotto la vigile tutela delle monache che negli anni mi hanno commissionato i lavori. Parte di questi studi sono sfociati nella ricerca già ampiamente presentata sia in Italia che all’estero, riguardante la prima veste di San Francesco ed il mantello o pallio del vescovo Guido. Stiamo ancora lavorando su queste indagini e sui reperti, e verificheremo le ipotesi fatte in passato dai nostri predecessori.
Come è possibile fare questa comparazione?
Come ho già detto per prima cosa la comparazione visiva. La professoressa Lemberg nel suo studio degli anni 70/80 lo aveva già fatto, visivamente le stoffe si assomigliano, nel tipo di colori, nel tipo di nuance della lana.
Poi bisogna studiare la tecnica esecutiva: che tipo di tessuto è, se una tela o una saia o altro, la riduzione al centimetro dei filati, cioè quanti fili al centimetro di trama e di ordito ci sono in più campioni del mantello e delle toppe.
Stiamo già lavorando su microframmenti di fibre prelevati dal corredo tessile di Santa Chiara, così come dalle cuciture. I risultati poi andranno comparati con le fibre delle toppe presenti sul saio di San Francesco. Questo tipo di analisi va fatta con microscopio ottico, stereo, microscopio a scansione elettronica e sonda EDS, perché potrebbero anche esserci sostanze tintorie o trattamenti di vario genere delle fibre, come altre analisi, che vengono decise dopo questi primi approfondimenti. Solo così si possono studiare le tipologie di lana, la frequenza delle scaglie, sino agli ultimi ritrovati della scienza che risalgono al DNA quindi eventualmente al tipo di animale il cui pelo è stato utilizzato per la realizzazione dei manufatti. Si può vedere la sezione, se è presente o meno il core o médula dentro la fibra, se è un tipo di lana pregiata o meno, quindi se si tratta di giarra o di borra, che sono le tipologie principali di pelo dell’animale.
Se abbiamo capito bene, serve un esame dettagliato, tecnologie avanzate….
Si, e dobbiamo precisare che non servono solo strumentazioni per affrontare queste ricerche, ma banche dati. Ossia luoghi in cui queste ricerche vengono fatte da anni ed anni e che permettono una comparazione dei materiali osservati scientificamente. In effetti esse si trovano principalmente all’estero, in una relativamente piccola comunità di studiosi, conservatori oltre che chimici, biologi e archeologi che si occupano di questi temi, e che si incontrano via via per presentare le loro ricerche. In due di questi congressi in primavera ho presentato le ricerche di cui vi parlavo sul mantello di Guido e la prima veste di San Francesco. Dove appunto ripeto è stata fatta una comparazione, come in questo caso, anche sulla base di studi precedenti. Negli anni Settanta e Ottanta c’erano analisi di conosciuti e rinomati studiosi del tessuto, come Lemberg, Portoghesi, ed altri. È passato oltre un ventennio, la scienza è andata avanti, il tipo di impostazione che può essere dato a uno studio di questo genere è più tecnico e coerente sul piano storico-artistico ma anche e soprattutto su quello scientifico.
Nel mio caso, c’era l’ipotesi, ma era stato smarrito il frammento del mantello del Vescovo. Lo ritrovai nel 2007 durante un intervento di disinfestazione dei materiali nel santuario delle reliquie del monastero di Santa Chiara. Così si fece questa comparazione. Avevamo un testo, una delle pietre miliari della storia di San Francesco, la Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio. Il testo descrive la spogliazione di Francesco, che si denuda di fronte alla cittadinanza, al Vescovo Guido e di fronte al padre, che gli chiede indietro i beni che Francesco gli aveva sottratto per darli ai poveri. Francesco rilancia, togliendosi l’unica cosa che aveva e cioè gli abiti. A quel punto il vescovo Guido, ci dice Bonaventura da Bagnoregio, lo copre togliendosi ciò che aveva al collo. Dallo studio delle lane ci siamo accorti che era una sciarpa, di una lana molto pregiata e sottile, come una pashmina di oggi.
Il vescovo gli cinge i fianchi e questo è documentato dal punto di vista archivistico. Ma anche sul piano storico-artistico da Giotto, che dipinge questa scena proprio sulla narrazione di Bonaventura. Il vescovo poi, secondo la narrazione, si gira, chiama un servo e gli chiede di portare una veste per rivestire Francesco. A questo punto la scena si sposta dentro l’arcivescovado, Francesco si veste con questo abito povero, che oggi sappiamo essere conservato nel Protomonastero delle Clarisse ed essere detto il suo abito penitenziale, risalente cioè ai primordi della sua missione religiosa e fondazione dell’ ordine.
Bonaventura da Bagnoregio descrive Francesco, che con un mattone o qualcosa che poteva lasciare un segno, disegna una croce, fa un segno su questa stoffa e ne fa un abito atto a rivestire un uomo povero e crocifisso. Fa questa specie di confezione e cuce il mantello del Vescovo Guido su questa sua prima veste. Oggi così possiamo avvicinarci alla ricostruzione dell’accaduto, c’è una coerenza tra le fibre del mantello del Vescovo Guido, a seguito di indagini scientifiche approfondite su microframmenti di fibre prelevate sotto le grossolane cuciture presenti sull’abito penitenziale di Francesco. Abbiamo quindi la possibilità di ricomporre frammenti di storia come un puzzle che altri nel futuro porteranno avanti, completeranno.
Abito penitenziale, quello conservato al Protomonastero delle Clarisse, e tonaca del Santo. Che differenza c’è?
Al Protomonastero sono conservate una veste ed una tonaca, come del resto al Sacro Convento, in entrambi i casi una è bianca l’altra marrone-grigia.Vi sono diverse tonache di San Francesco in giro per l’Italia, Cortona, Firenze, La Verna... San Francesco era uso donare
ciò che aveva alle persone che lo ospitavano, oppure a chi incontrava nei luoghi che visitava e ci sono varie fonti oltre la Lemberg che lo provano. Lui regalava questa tonaca e gli veniva data indietro una veste altrettanto povera. In quel periodo storico vi erano tonache in lana grezza, più era grezza e povera la fibra più l’abito era povero. I ricchi invece, sopra questa veste di lana indossavano altri tessuti, in seta, velluto o vi ponevano decorazioni, cinture, borsette per tenere effetti personali, denari etc. Le tonache in lana erano come sottovesti. I poveri vestivano solo di queste sottovesti, sopra non c’era niente. Il primo abito penitenziale di cui stiamo parlando, o prima veste di San Francesco, è di lana bianca. Non si tratta di una veste abbastanza povera come poi furono le seguenti, ma di colore bianco, con bordi rifiniti in lana bouclé marrone in varie nuance. Di queste vesti bianche di Francesco, come ho detto, ve ne sono solo due, una è esposta tra le reliquie nella Basilica inferiore di San Francesco, e si dice sia quella indossata prima di morire, portata forse da Jacopa dei Settesoli con il più conosciuto cuscino conservato a Cortona con un'altra tonaca di San Francesco.
Di questa seconda veste bianca si narra che dopo che il Santo si gettò a terra nudo per morire sulla nuda terra, venne invece rivestito con questa veste bianca. L’altra tonaca bianca è questa prima veste penitenziale che un servitore del Vescovo consegna a Francesco per coprirlo dopo l’espoliazione e su cui Francesco cuce il mantello del Vescovo Guido. Ecco, queste sono le uniche sottovesti un po’ più pregiate rispetto alle altre tonache, che invece sono in lana grigio-marrone, trattata solitamente solo con i tannini. Trattamento questo “colorante” che permetteva di scurire il filato, in una colorazione uniforme, e fungeva anche da antitarme. Il primo abito si definisce penitenziale perché riguarda la vita di Francesco subito dopo la sua spogliazione, il momento in cui rinuncia alla vita terrena, ai beni terreni, al padre e si riveste della Chiesa, che in effetti lo riveste fisicamente, il Vescovo infatti lo copre, lo protegge, lo porta dentro l’arcivescovado e lo riveste, immediatamente con il suo pallio, poi con questa veste bianca.
Ultima domanda: come mai uno studio così importante non ha avuto una giusta eco a livello di diffusione mediatica? Si tratta pur sempre un fenomeno che riguarda le reliquie. Questa notizia non è mai trapelata abbastanza e gli studi non sono ancora conclusi.
Bisogna specificare cosa si intende con mediatico, dal punto di vista della comunità scientifica internazionale è stato diffuso e come. La comunicazione si svolge su diversi livelli ed in diversi contesti. Certo queste descritte sono ricerche importantissime, ma parziali, stiamo lavorando alla compilazione di tutti i lavori svolti negli anni, come potrete aver capito da questa mia testimonianza. La comunità scientifica a cui saranno destinate queste ricerche per traghettarle nel tempo ad altri dopo di noi, spero veda quanto prima la luce in una pubblicazione. Ma questo non significa che il grande pubblico possa facilmente accedervi, perché sovente le pubblicazioni non sono in italiano ed in oltre perché i midia non si occupano volentieri di ricerca ma più facilmente di notizie, e questo è anche comprensibile. Poi vi sono ragioni storico-devozionali ed economiche. La prima è la seguente: le reliquie fino ai primi del Novecento erano spesso chiuse nei reliquiari, segno evidente che la loro funzione non era quella di essere un oggetto esposto, l’istanza devozionale era predominante, materiali che erano stati a contatto con il Santo. Qui dobbiamo specificare in oltre che vi sono
due tipi di reliquie: primarie (ossa, pelle, capelli…) e secondarie per contatto, le quali venivano imposte per la cura dei malati, come il pileolo di San Bernardino, oppure portate in processione. Verso l’inizio del novecento gli oggetti sono usciti dai reliquiari, sistemati a vista per i fedeli. L’oggetto ha riacquistato così anche la sua funzione specifica. Le due guerre mondiali hanno rallentato molto la storia, il tempo è passato, e quando queste prime studiose come la Flury-Lemberg e Lucia Portoghesi si sono occupate della conservazione, e maggiormente dello studio, delle reliquie, si è iniziato a parlarne, di queste come di altri reperti, di altre reliquie, in altre collezioni. Passando alle ragioni economiche potrete ben capire che per realizzare studi e pubblicazioni è necessario molto tempo, contatti internazionali, finanziamenti. Mi occupo delle reliquie di San Francesco e Santa Chiara dai primi anni ‘90 questi lavori sono stati portati avanti inmaniera un po’ discontinua, grazie al grande impegno delle varie congregazioni, che le conservano e di chi come me ha lavorato anche fuori dall’impegno di spesa vero e proprio. Il patrimonio storico artistico oggi soffre molto di una sorta di sfruttamento mediatico/espositivo e beneficia pochissimo invece di restauri e studi specifici. Quindi concludo dicendo che spero vivamente di poter fare in modo che sia gli studi già editi nei congressi internazionali sul mantello di Guido e la prima veste di Francesco, sia quello sulle parti del mantello che Chiara avrebbe cucito sulla tonaca di San Francesco, ancora da portare a termine trovando finanziamenti, confluiscano in una pubblicazione perché queste reliquie sono tante, importantissime dal punto di vista storico, artistico, scientifico e devozionale. Non esiste un corpus di abiti medievali completo come questo, è una collezione più unica che rara. Si tratta una sorta di “testamento”, possiamo dire che in Francesco e Chiara gli abiti sono stati strumenti di gesti simbolici, un linguaggio. Chiara e Francesco parlano attraverso l’unica materia che “possiedono”, pochissime cose tra cui gli abiti, ogni narrazione è costruita con gli strumenti che la vita ed il carisma mette a disposizione. Francesco traccia sul mantello del Vescovo Guido il Tau e si fa uomo crocifisso, vestito della croce. Così come Chiara, forse, dona parte di sé attraverso le sue vesti a quell’uomo santo che l’aveva ispirata verso la santità
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