Sinodo: il discernimento, un oceano nascosto in una parola
di Antonio Tarallo
Nella seconda parte del Documento preparatorio del Sinodo, si affronta il tema “scottante” del discernimento. Parola antica nel linguaggio della Chiesa. Parola mai come Oggi, attuale. La frammentarietà che stiamo vivendo delinea, sicuramente, in ogni giovane, una frammentarietà delle decisioni da prendere nei diversi campi della propria esistenza. E il tema tocca tutte le sfere della Vita, da quella personale, a quella del lavoro. E’ – in fondo – il nodo cruciale sempre esistito. Ora, nel panorama della contemporaneità sta divenendo sempre più difficile comprendere, nel profondo, quella che può essere definita “la voce intima”. Quella voce che ti spinge a cercare di creare, formare la tua persona, e questo, di riflesso, la vita in relazione agli altri, al lavoro. Il punto nodale del tutto può essere riassunto in questa frase posta, appunto, ad inizio della seconda parte del documento per i Vescovi del Sinodo: “L’interrogativo su come non sprecare le opportunità di realizzazione di sé riguarda tutti gli uomini e le donne, per il credente la domanda si fa ancora più intensa e profonda”.
In merito alla parola chiave “discernimento”, abbiamo interpellato Padre Rossano Sala, salesiano dal 1992 e sacerdote dal 2000. Ha svolto il suo servizio educativo-pastorale per quattro anni nell’opera salesiana di Bologna e per sei anni come Direttore e Preside nell’opera salesiana di Brescia. Direttore della rivista “Note di Pastorale Giovanile” per i salesiani. Ora è impegnato come Segretario Speciale per il Sinodo.
La Chiesa di Oggi deve far fronte a un’importante questione “educativa”: una Società in cui le informazioni navigano in maniera vertiginosa grazie ai canali internet. Informazioni che molte volte poi non corrispondono alla realtà dei fatti, le così dette fake-news. Per poi non parlare della valanga di input che i mezzi di comunicazione offrono. In questo discorso, la capacità di discernere è diventata fondamentale. Un suo pensiero, padre Sala, su tale scenario.
“Il discernimento non è semplicemente una delle tante pratiche necessarie per vivere nel nostro tempo, ma è da pensare come il modo di procedere che deve sempre più diventare un habitus di tutti e di ciascuno. Il motivo per cui oggi è diventato cruciale saper discernere è l’estrema ricchezza delle possibilità che ci sono offerte: proprio dove sono presenti molteplici opzioni bisogna crescere nella sensibilità verso ciò che è bello, buono e vero. Ed è proprio del discernimento questa capacità di intuire ciò che viene da Dio e ciò che invece proviene dal Maligno, chiarire le sottili differenze tra il bene e il male, approfondire la radice e la provenienza di ciò che ci si presenta davanti e infine scegliere con coraggio ciò che si è riconosciuto giusto e santo. Senza il discernimento noi siamo in balìa dell’ultima novità che ci viene continuamente propinata dal mercato globale, rischiando così di perdere di vista la sensibilità per la verità, che Dio dolcemente continua a mettere alla nostra attenzione”.
Discernimento. Parola complessa, diciamolo pure. Quale parole per far comprendere, al meglio, questo termine…
“Discernimento significa prima di tutto stare e mantenersi in ascolto, valutare tutto ciò che avviene nella vita del mondo e della Chiesa, sostare nelle feritoie della storia con vigilanza evangelica e attenzione profetica. Significa mantenere aperte le porte al Dio della tenerezza che agisce con insospettabile creatività nella storia. Discernere implica il dono di una coscienza desta e aperta ai suggerimenti che vengono dallo Spirito del Signore, che per essere uditi hanno bisogno di una rinnovata capacità contemplativa. Senza di essa rischiamo di essere soffocati dai rumori della storia piuttosto che essere sensibili all’azione di Dio nella storia”.
Tutto questo, non è certo facile…
“Certo. Arrivare a tutto ciò non è facile, perché entrare nel ritmo del discernimento significa inserirsi in una vera e propria dinamica di laboriosità permanente: laboriosità culturale, che ci aiuta a leggere ciò che capita intorno a noi; laboriosità intellettuale, che fa entrare nella ragione delle cose che sono; laboriosità spirituale, per penetrare le profondità della nostra anima; laboriosità pastorale, che ci pone il compito di agire secondo lo Spirito del Signore; laboriosità ecclesiale, che ci fa scoprire i segni dei tempi. Concludo dicendo che non è facile, ma non è nemmeno impossibile. Il compito educativo oggi è diventato questo, e dobbiamo attrezzarci per questo. Ci sono in giro tanti educatori e pastori che crescono sempre di più nell’artigianato dell’accompagnamento, crescendo prima di tutto loro stessi nella capacità di discernimento. E poi aiutando altri ad entrare in questo modo nel nostro mondo con sapienza, prudenza e pazienza”.
Antonio Tarallo
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