Sant'Antonio e la musica
di Antonio Tarallo
“Chi canta prega due volte”, aveva proprio ragione Sant’Agostino. Nel canto vi partecipano diverse parti dell’anima, diverse parti della propria persona: la mente, che pensa sempre ciò che si canta; il cuore, che “sente” (nel senso latino del sentimento) il verso declamato e poi la bocca che esprime l’esplosione di tutte queste componenti che hanno partecipato al “processo creativo”, definiamolo così. La tradizione popolare – appunto perché Antonio richiama fedeli in ogni dove – è copiosa. La “distribuzione del pane dei poveri” rimane, fuor dubbio, una delle più devote pratiche e richiama a molti, un lieto “ritornar bambini”.
Ma, un altro elemento che – certamente – non poteva mancare come espressione della profonda venerazione verso Sant’Antonio, sono i canti a lui dedicati. Quei canti che – soprattutto in Italia, o nei paesi mediterranei – si sentono intonare al passaggio in processione della statua del Santo. Un suono pomposo di banda accompagna il corteo per le strade, le viuzze di tutti i paesi.
“Tutto il mondo t’invoca/ dei miracoli il Santo/ con ricchezza dispensi/ i favori celesti./ Sei dei poveri il padre/ degli oppressi il sostegno/ tutti i cuori rinfranchi/ sul sentiero del bene”. Versi semplici, come subito constatiamo. Ma versi che altrettanto subito entrano nei cuori di chi li canta. Alla fine, la cosiddetta “devozione popolare” ha questo: la semplicità delle parole, la semplicità dei sentimenti che esprimono però una grandezza – come quella della Santità di Antonio – che diviene “fruibile” a tutti. Non si concentra su teologici discorsi, né tantomeno su pagine e pagine di esegesi, bensì le parole – ogni singola parola – denota un “sotto testo” profondo. Basti prendere in esame, appunto, i versi poco prima citati. Le parole chiave? Mondo, miracoli, ricchezza, favori celesti, i cuori rinfranchi, il bene. Nulla di più semplice in questo antico canto. Dice tutto di Sant’Antonio.
“Salve, o Santo! Da tutte le terre/ a te accorron le genti invocando/i tuoi doni celesti da quando/ tu volasti al trionfo immortal”. Così un altro canto. E, chissà quante volte lo abbiamo sentito in quella o quell’altra processione, con la statua del Santo sorretta magari da una decina di “portatori” (questo il termine usuale di chi è impegnato con forza di braccia a rendere omaggio al Santo di Padova). Anche questa melodia è un po’ nella hit paride delle Arciconfraternite. Queste, davvero, dedicate ad Antonio, sono innumerevoli, in tutto il mondo. La melodia ha il titolo “Salve, o Santo!”. E’ particolarmente commovente – e antropologicamente interessante – questo rapporto filiale tra devoto e Antonio: in quel “salve” è racchiuso un saldo rapporto di amicizia, un amorevole familiarità. Anche se lui, “lontano” nel “trionfo immortal”, lì nel Cielo colmo di luce di Santità, rimane vicino a tutti. E quando si dice “tutti” s’intende davvero una grande moltitudine di gente, tanto da far dire “da tutte le terre”.
Ma se parliamo di Antonio di Padova, non possiamo non ricordare un canto dedicato a Maria. Tanti sono i Sermoni – per l’aspetto teologico – che il portoghese fra Antonio ha scritto per lei. Ed è proprio per questo che bisogna allora annoverare un inno particolare, dal titolo “O gloriosa Domina”, “O gloriosa Signora”. Il testo è in latino, scritto nel sesto secolo dal Vescovo Venanzio (Valentino) Fortunato: “O gloriosa Domina,/ excelsa super sídera,/ qui te creavit próvide/ lactasti sacro ubere. / Quod Eva tristis abstulit/ tu reddis almo germine:/ intrent ut astra flebiles,/ caeli fenestra facta es”. Così comincia questo canto dalla melodia che tanto ricorda una ninna nanna. Infatti si narra – secondo antica tradizione – che fu cantata dalla stessa mamma di Fernando (ancora non Antonio), mentre era in fasce.
Questo ricordo materno non lo abbandonerà mai, tanto da divenire questo, il suo inno prediletto alla Mamma Celeste. Nell’ “Assidua” (1232 ca.), la prima biografia del Santo, troviamo che nel momento del Transito fu proprio lui a intonare il canto: “Cantare coepit ac dicere”, cioè “iniziò a cantare e a dire”. La traduzione del testo recita pressappoco così: “O gloriosa Signora,/ che t’innalzi sopra le stelle,/ tu nutri col tuo seno/ Chi nella provvidenza ti creò./ Ciò che Eva purtroppo ci tolse/ tu ridoni per mezzo del Figlio tuo;/ come pallide stelle si avanzino i poveri;/ si è aperta una finestra nel cielo./ Tu sei la porta del Re del cielo,/ la porta di una fulgida luce;/ o genti redente, applaudite/ alla vita data dalla Vergine”.
Da queste parole si comprende, allora, la tradizione di essere state scelte dal Santo stesso per raggiungere il Cielo. Maria, porta del Cielo, ad accoglierlo. Questa immagine è ben espressa, tra l’altro, da un dipinto di Antonio Buttafuoco (1776) posto nella Scoletta del Santo, a Padova. L’opera pittorica “fotografa” il momento del Transito di Antonio. Il titolo è suggestivo: “II Santo morente canta lʼinno della Vergine “O Gloriosa Domina”.
E chiudiamo questo exurcus musicale, questa fiorita partitura di canti e melodie con la “preghiera”, con il canto più famoso: non poteva mancare il “Si quaeris miracula”. Indubbiamente è la preghiera più nota, recitata in tutto il mondo per implorare la protezione del Santo. Il “Se tu cerchi” (questa, la traduzione italiana), è stata composta dal beato Giuliano da Spira intorno al 1233. Di solito viene recitata per ritrovare le cose smarrite, ma non bisogna dimenticare che in essa sono ricordate ben tredici grazie da implorare dal Santo. Questo responsorio fa parte dell' “Officium rhythmicum s. Antonii”, in rigoroso canto gregoriano, composto a pochi anni dalla morte di Antonio di Padova. Divenne subito popolare all’epoca e, addirittura, la sua fama si è protesa fino al secolo scorso. Il compositore francese Francis Poulenc (1899-1963), assai devoto al Santo, decise di realizzarne una nuova versione, nel 1959.
E, allora, non ci rimane che intonare i versi: “Se cerchi i miracoli,/ ecco messi in fuga la morte,/ l’errore, le calamità e il demonio;/ ecco gli ammalati divenir sani./ Il mare si calma, le catene si spezzano;/ i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano la sanità e le cose perdute./ S’allontanano i pericoli, scompaiono le necessità:/ lo attesti chi ha sperimentato la protezione del Santo di Padova”.
Antonio Tarallo
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