BASILICA DI SAN FRANCESCO: CELEBRAZIONE IN SUFFRAGIO DEL CARDINALE ATTILIO NICORA
di Redazione online
Dopo i solenni funerali a Roma, le Comunità Francescane hanno ricordato il compianto Cardinale Attilio Nicora, Legato pontificio per le Basiliche di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli in Assisi.
La Santa Messa è stata presieduta dal Vescovo di Assisi, Monsignor Domenico Sorrentino, con il Custode del Sacro Convento, Padre Mauro Gambetti.
La tradizione della Chiesa raccomanda anche di pregare per i morti. Perché si prega per loro? La preghiera dei vivi può ancora cambiare qualcosa alla sorte del defunto? Nell’Antico Testamento c’è un solo testo che narra esplicitamente dei vivi che pensano ai morti: «Fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dracme d'argento, (Giuda Maccabeo) la inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un'azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2Macc 12,43-45). Si parla chiaramente del sacrificio e della preghiera per i defunti in vista della resurrezione.
Questa fede di Giuda Maccabeo, vissuto circa 100 anni prima di Cristo, non era condivisa da tutti i Giudei. Anche ai tempi di Gesù, i Sadducei rifiutavano di credere alla resurrezione, dunque al fatto che la vita continui dopo la morte. Gesù risponderà loro che la fede nella resurrezione dei morti può essere condivisa unicamente da quanti credono nella potenza del Dio dei viventi (cf Mc 12,24. 27). Anche i cristiani di Tessalonica erano preoccupati della sorte dei defunti che avevano creduto in Gesù, giacché consideravano che non sarebbero stati presenti all’atteso ritorno del Signore. Paolo li rassicura: la morte non separa i credenti da Dio; al contrario, è attraverso la morte che essi si uniscono pienamente al suo mistero: «Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti» (1Ts 4,13-14).
Il ricordo dei nostri morti nella Preghiera Eucaristica assume così un senso: «Dona loro, o Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo la beatitudine, la luce e la pace» (PE I). Dopo la sua vita terrena, Gesù ha fatto ciò che nessun fondatore delle grandi religioni ha potuto fare: «È risorto, non è qui» (Mc 16,6), dicono gli angeli alle donne venute al sepolcro per imbalsamarlo. Perché se Cristo non è risuscitato, la predicazione degli Apostoli è vuota e vuota anche la nostra fede, dice ancora san Paolo (cf 1Cor 15,14), che chiama il Risorto “primizia” di coloro che sono morti (cf 1Cor 15,23): ciò che è successo a Cristo è pegno e garanzia di ciò che succede e succederà ai credenti. Ma dove sono i morti? Qual è la loro dimora? Troviamo la risposta nella Scrittura: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. I fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti» (Sap 3,1-3.9). E che cosa c’è dopo la morte?
È la domanda che ossessiona molta gente. Perché, in fondo, l’uomo riconosce di buon grado di essere mortale, ma non può accettare facilmente l’idea di dissolversi totalmente nel nulla. Fondamento della nostra speranza nella vita più forte della morte è Gesù Cristo, «primogenito di quelli che risorgono dai morti» (Col 1,18), lui che ha detto: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25). L’uomo non è destinato a scomparire come un animale; i nostri morti non si dissolvono nel nulla; essi “vivono in Dio” e rimangono strettamente a noi legati. Né fantasmi, né puri spiriti, essi continuano ad essere delle “persone” a pieno titolo che ci precedono nel “faccia a faccia” eterno con Dio. Una autentica relazione con loro può essere vissuta unicamente nella preghiera, in modo particolare nella celebrazione eucaristica, non certo facendo ballare i tavolini o invocando gli spiriti. La preghiera dei vivi per i defunti è professione della fede che afferma che la morte fisica non è la fine della vita; che c’è sempre un “al di là” ad ogni morte materiale (cf Gv 11,25-26). Perché per il cristiano tutto si vive nella fede in Cristo; non c’è nulla che possa essere escluso dalla sua fede, nemmeno il ricordo dei defunti, ai quali la vita «non è tolta, ma trasformata» (Prefazio I nella Messa dei defunti).
I legami intessuti tra i credenti per la partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore non vengono interrotti dalla morte e la preghiera ci permette di ravvivarli continuamente. Non si tratta dunque di pregare per influenzare una qualsiasi decisione di Dio nei confronti di chi è morto, bensì per raccomandarlo alla sua misericordia di giusto giudice e di salvatore. Ancora una volta, alla base è un legame di solidarietà nell’amore reciproco: preghiamo per i morti perché li amiamo. E sappiamo che anch’essi continuano ad amarci, con un amore ancora più grande di quello che nutrivano per noi nel corso della loro vita terrena, perché non più limitati dalla fragilità della natura umana; adesso essi amano con la stessa potenza dell’amore di Dio. Nella preghiera esperimentiamo la comunione con loro, mentre chiediamo loro di accompagnarci dal cielo e di parlare di noi a Dio; esprimiamo inoltre la convinzione che l’amore è più forte della morte, nella quale non li lasciamo soli. Perché la morte fisica non può sciogliere i legami dell’amore e della carità, che tutti ci uniscono in un solo e stesso corpo. Quando preghiamo per i defunti, ci basta sapere che il loro amore di Dio continua a crescere e che essi hanno bisogno del nostro sostegno, così come noi del loro. Lasciamo il resto a Dio. (Avvenire)
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