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Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia - di padre Fortunato

di Enzo Fortunato
Credit Foto - Basilica San Francesco Assisi

"Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia"

[I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni]

 

 

"Il soldato aveva confessato la sua passione per le donne e le avventure amorose che aveva avuto. L’abate aveva spiegato che doveva pentirsi. E lui: ‘Come faccio a pentirmi? Era una cosa che mi piaceva, se ne avessi l’occasione lo rifarei adesso. Come faccio a pentirmi?’. Allora l’abate Gaston, che voleva assolvere quel penitente ormai in punto di morte, era venuto un lampo di genio e aveva detto: ‘Ma a te rincresce che non ti rincresca?’- E il giovane spontaneamente aveva risposto: ‘Sì, mi rincresce che non mi rincresca’. Cioè mi dispiace di non essere pentito. Ecco la fessura sulla porta che aveva permesso l’assoluzione…".


Questo passaggio proposto da papa Francesco nel suo testo "Il nome di Dio è Misericordia" è tratto dal libro di Bruce Marshall, in cui protagonista è l'abate Gaston in procinto di confessare un giovane soldato tedesco condannato a morte. È un passaggio che ci fa comprendere quanto sia necessario fare l'impossibile per far sì che l'uomo sia toccato dalla misericordia di Dio. L'abate riesce a compiere questo gesto in extremis perché ha saputo comprendere l'importanza del guardarsi dentro. E infatti è lo stesso Marshall che pochi capitoli prima, nello stesso testo, propone l'esame di coscienza dell'arcivescovo di Parigi e lo fa con una introspezione che, lungi dall'essere superficiale, è una grande lezione di vita. In questo passo analizza i peccati che, se anche veniali, finiscono per creare ombre: "Man mano che cresce la luce, ci vediamo peggiori di quello che prima non credessimo. Restiamo stupiti della nostra passata cecità nel veder uscire dal nostro cuore tutto uno sciame di sentimenti ignobili. Ma non dobbiamo né stupirci né turbarci. Non siamo peggiori di quel che eravamo; al contrario, siamo migliori".


Sono due esempi calzanti che spiegano come sia necessario guardare attentamente dentro di noi per far sì che il guardare fuori sia animato dalla comprensione. Francesco d'Assisi, proprio nella sua preghiera all'inizio della conversione, chiede al Signore di illuminare il suo cuore per radiografare attentamente quello che accadeva dentro di lui, cosa che lo porterà a saper osservare gli altri e le cose con occhi animati dalla "misericordia". È questo quello che vogliamo proporre in questo percorso.


Prima sondiamo il termine misericordia a partire dalla sua etimologia che richiama subito la parte più interessante del corpo umano, il cuore. Il termine deriva infatti da misericors, una composizione dal tema di miserere (aver pietà) e cor (cuore). Ed è il cuore a conoscere i fremiti della compassione e condivisione con il fratello. Nelle Fonti Francescane il termine più ricorrente è "Signore" che compare 426 volte ma subito dopo, non senza sorpresa, il più citato è proprio il termine "fratello", riportato per 264 volte. Si tratta di un dato statistico che racconta come l'amore per Dio non sia disgiunto dall'amore per l'uomo. Anzi, potremmo dire che l'amore per l'uomo è la cartina tornasole dell'amore per Dio. Insieme ci chiediamo: qual è la strada migliore per concretizzarlo e per vivere la fraternità tra gli uomini? Questo amore viscerale trova anche il suo comun denominatore nelle tre grandi fedi monoteistiche: cristianesimo, islamismo ed ebraismo.


Infatti lo stesso amore viscerale intessuto di misericordia è espresso sia nella lingua ebraica che in quella islamica. È interessante constatare, ad esempio, che tutte le Sure si aprono con due aggettivi modulati dalla stessa radice rhm del termine biblico: nel nome di dio misericorde e misericordioso.


Ma per tornare a Francesco d'Assisi e per comprendere quanta forza gli ha dato l'esperienza della misericordia faccio un paragone che potrebbe sembrare azzardato. È Erasmo da Rotterdam, nel suo "De immensa Dei misericordia concio", che propone una suggestione quando fa notare che Socrate bandisce il suo passato di peccatore in virtù con questa affermazione: "io ero tutte queste cose se la filosofia non mi avesse insegnato la temperanza". Quello che Socrate attribuisce alla filosofia, Francesco d'Assisi – nel bandire il suo passato e i suoi peccati di giovane – lo fa con la percezione chiara della misericordia. Così raccontano le Fonti Francescane: Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo. Francesco quindi glorifica, ama e loda la misericordia perché gli permette di essere uomo nuovo. Un uomo. Anche Dostoevskij, nel suo romanzo L'Idiota, definiva la misericordia come "la più importante, forse l'unica legge di vita dell'umanità intera". Francesco d'Assisi l'aveva compreso molto tempo prima. Vorrei percorrere tre indicazioni che potrebbero diventare percorsi esistenziali: i pensieri, i gesti e gli sguardi di misericordia.



I pensieri

Negli scritti di san Francesco d'Assisi il termine misericordia o perdono compaiono tantissime volte, ma se vogliamo approfondire la sua fonte dobbiamo andare in quel luogo dove egli rivela la percezione che lo condurrà ad avere uno sguardo nuovo su tutto e tutti. È la piazza del Comune di Assisi: la tensione è altissima; il padre lo vuole diseredare; il Vescovo cerca di comprenderlo; la madre piange attonita; gli astanti sono chi per la condanna, chi per l'assoluzione. Quando il giovane Francesco si spoglia di tutto e afferma: "Finora ho chiamato Pietro di Bernardone mio padre, d'ora in poi a maggior ragione dirò: Padre mio che sei nei cieli". Non si tratta della negazione della paternità genitoriale ma dell'affermazione di quella divina che porta e conduce l'uomo su pensieri, gesti e sguardi di misericordia. Ad "usare" misericordia. I suoi scritti, infatti, sono sorretti dal "reticolato" del perdono alla luce della percezione della paternità di Dio. Solo così è possibile comprendere la straordinarietà e l'unicità della sua indole. Basti pensare al capitolo 16 della Regola non bollata dove parla del modo di essere e di evangelizzare tra i non cristiani ma anche nell'oggi della nostra società:


Dice il Signore: "Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe".

Perciò qualsiasi frate che per divina ispirazione vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione.

I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani.

L'altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio.



Possiamo cogliere che la prima indicazione di Francesco è che l'uomo sia ispirato da Dio. L'assisiate si rende conto che in una missione così importante è necessario essere portatori del pensiero divino. Ciò permette una grande libertà. Anche quando quella Parola non viene accolta o viene impedita.



La secondo atteggiamento che Francesco consiglia è che il frate sia amabile e pacifico "non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio": ed è così che l'annuncio passa attraverso la propria umanità. Una umanità conciliante: mi sovviene la missione in Cina del cardinale Roger Etchegaray in un momento difficile nelle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Pechino. Quando gli chiesi quale fu il successo della missione egli rispose: "A volte basta un sorriso, una mano poggiata sulla spalla dell'interlocutore. I frutti dell'annuncio si raccolgono anche attraverso buone relazioni". Il metodo migliore, sempre attuale, è quello di trattare con coloro che non hanno la nostra fede, allontanando la competizione e la polemica che finiscono per essere controproducenti, stabilendo un dialogo leale e franco.



Ma la terza indicazione è quella che ci permette di capire quando Francesco fosse un precursore dei tempi nei confronti dei suoi contemporanei. La Chiesa di allora pensava di conquistare gli altri attraverso una croce "fatta di spade" – così come del resto lo pensava il mondo islamico. Echi di questo atteggiamento arrivano a noi dall'attentato di Dacca, in cui le persone sono state giustiziate se non conoscevano il Corano – Francesco invece si pone in modo diametralmente opposto a tutto questo. Indica un pensiero altro, un pensiero oltre. Si tratta di cogliere "il quando" le circostanze lo permettono "quandopiace a Dio annunzino la parola", annotano le Fonti. Non si tratta di essere fondamentalisti della fede ma essere ancorati alla fede, scegliendo i tempi e le modalità opportune.




I gesti

Per quanto riguarda i gesti di Francesco potremmo dire che tutta la sua vita è un gesto di misericordia perché qualsiasi cosa lui faccia o pensi è ancorata al riannodare rapporti seguendo un percorso che potremmo suddividere in quattro fasi che riguardano l'incontro con se stessi, l'incontro con l'estraneo, l'incontro con il nemico. Non ultimo l'incontro con Dio.

Francesco ci indica l’importanza di accogliere la lotta interiore che viviamo quotidianamente tra quelli che sono i desideri della carne e i desideri dello spirito. Chi di noi non sperimenta il desiderio della concupiscenza, desideri che non vorrebbe vivere? Quante volte emergono desideri buoni, belli, veri, di perdono, di umiltà e di pace? È una lotta costante dentro di noi che si assopirà solamente con l’abbraccio con Dio. Dicono le Fonti: "Siano fortemente convinti che non appartengono a noi sia i vizi e i peccati [...] Quindi tutti noi frati guardiamoci da ogni superbia e vana gloria". Ma per farlo è necessario prenderne coscienza, accoglierla e offrire questa lotta al Signore. Purificarla, trasformarla. Se ognuno di noi si mettesse la mano sul cuore, difficilmente giudicherebbe e condannerebbe. E infatti negli scritti di Francesco i passi dedicati al suo sguardo sulla lotta interiore sono quelli più ampi. È attraverso questa consapevolezza che possiamo pacificare, perdonare.


Il secondo passo riguarda l'incontro con il nemico: è la lezione che il Santo dona ai suoi frati quando respingono i ladroni di Montecasale. Vi era al tempo un gruppo di ladroni che tormentava un villaggio. Tutti li ripudiavano e allontanavano ma Francesco invece invita i frati ad offrirgli il pranzo, prima un giorno e poi un altro – ci raccontano le cronache – e mentre mangiavano i frati cominciarono a parlargli di Dio "serviteli con umiltà e allegria, finché abbiano mangiato. Dopo il pasto annunciate loro le parole del Signore e alla fine [...] vi promettano di non percuotere nessuno e di non fare del male". Fu così che si convertirono e alcuni di loro divennero frati (Compilazione di Assisi, 115: FF 1669). Qui Francesco applica la logica dell'accoglienza che di fatto è perdono. È un invito a non giudicare, a comprendere in che situazione si trova l'altro. A cercare di leggere al di là dell'oggettività delle azioni, il disagio e la fragilità. Ne è conferma un altro episodio che riguarda il lupo di Gubbio che spaventava gli abitanti del villaggio perché non aveva di che mangiare. "Santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo. Ed ecco che, vedendo molti cittadini li quali erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta". Francesco mette in atto la pedagogia della comprensione, dandogli ristoro e guadagnandone la fiducia (Fioretti, XXI: FF 1852) e ottenendo la sua amicizia per sé e per l'intero villaggio. È la logica della comprensione del prossimo.


Il terzo passo riguarda invece l'incontro con l’estraneo. In particolare possiamo citare l’incontro con il Sultano. È un punto di arrivo interessante dove il nemico diventa fratello attraverso il dialogo e la stima che abbatte la barriera della minaccia e della rivendicazione. Nelle Fonti infatti vediamo come Francesco si avvicina al Sultano, e contrariamente da come era stato fatto in precedenza da altri frati, Francesco parla con lui e si confronta "Raduniamo qui i nostri savi e discutiamo della nostra e della vostra fede", dice Francesco e dopo l'incontro i due si allontanano pacificamente. (Cronache e altre testimonianza FF 2701).


Questi episodi in particolare, insieme a molti altri, gettano le basi per quello che sarà poi lo shalom francescano «fatto di accoglienza, di perdono, di comprensione e di dialogo». Vogliamo anche noi percorrere questi passi, consapevoli che la misericordia è un cammino faticoso, e prima ancora dono di Dio. Infatti l'incontro centrale e battito del cuore che gli permette di sperimentare e far sperimentare la misericordia è l'incontro con Dio che avviene con una consapevolezza senza pari. Quella della propria miseria e della bontà di Dio. Ci bastino due affermazioni. La prima data dall'incipit della sua vita "O alto e glorioso Dio, illumina il cuore mio"; ma anche quella dettata al termine della sua esistenza: "Altissimo e onnipotente bon Signore. Ad te solo Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome”. Francesco manifesta così sia la grandezza, la bellezza e la bontà di Dio che la propria finitudine, la propria piccolezza, il proprio essere peccatore.




Lo sguardo

Ma qual è la radice dei pensieri e dei gesti misericordiosi di Francesco d'Assisi? Probabilmente è il suo sguardo che potremmo definire senza ombre. Esso si poggia sui suoi confratelli benevolo, come quando di ogni suo frate riconosce un aspetto positivo. Nelle Fonti così si legge: spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore. 
E diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l'amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità; la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell'Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà; l'aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l'ardente desiderio d'imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore; la santa inquietudine di Lucido.


Questo modo di guardare, di affrontare, di conciliare la vita trae la sua essenza dallo sguardo misericordioso di Dio poggiato sulla sua esistenza. Francesco tradurrà subito questo sguardo di Dio e lo fa con gli esclusi e le periferie del suo tempo. Ma ciò che è più importante è che l'incipit della sua vita di uomo di Dio è legato agli sguardi di misericordia. Il primo è per il lebbroso. In gioventù Francesco aborriva i lebbrosi ma spinto dall'amore di Dio scende da cavallo, si toglie l'armatura e abbraccia il lebbroso guardandolo negli occhi. Uno sguardo che lo "assolve" dalla sua condanna a vita. Allo stesso modo, in una "escalation", il finale della sua vita è legato allo sguardo di misericordia che un ministro dovrebbe avere annodato a tre atteggiamenti che è lo stesso Francesco a sottolineare nel momento in cui, nella "Lettera al Ministro", scrive: "nonci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare".


Il primo è che il frate peccatore "dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede". Francesco qui applica alla lettera le indicazioni di un Dio che perdona, pieno di misericordia.

Il secondo è legato al "se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato". Si tratta di un atteggiamento inclusivo, che responsabilizza di fronte al prossimo. Francesco vuole l'uomo protagonista, che sappia compiere il primo passo senza aspettare, che è espressione di quel Padre misericordioso molte volte descritto nei Vangeli e che papa Francesco ha sintetizzato con l'affermazione: "Dio mai si stanca di perdonarci, mai! Il problema è che noi ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo".


Il terzo è quello più forte ed emozionante insieme: "se in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me". È una vera illuminazione, che invita a coltivare nel cuore una sola preoccupazione:amare fino alla fine. Amare con quel perdono che Dio dona attraverso Gesù con la Croce "Padre perdona perché non sanno quello che fanno" e che propone quell'anelito biblico "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai". Ma ciò che commuove in questi passaggi è la motivazione: "che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli". È abbagliante scoprire che questa esortazione, al ministro allora e oggi a noi, è attuata attraverso una forte umanità che non punta a riconquistare le persone o ristabilire la tranquillità di tutti. Non è un modo furbo di agire. Il vero obiettivo di Francesco è la relazione con il Signore. In questo modo la misericordia non è usata per la nostra tranquillità interiore, ma per manifestare in profondità l'amore del Padre.




Lo sguardo di cui parla Francesco quindi è quello in grado di manifestare i sentimenti più nobili che serbiamo dentro. Per questo forse Francesco chiama in causa lo sguardo senza se e senza ma. E se all'inizio abbiamo parlato del cuore come elemento di raccordo con la misericordia, potremmo dire che Francesco chiama in causa un altro elemento della nostra corporeità, gli occhi, che sono la finestra della misericordia. Come per il mondo biblico le viscere sono la sede della misericordia, per Francesco lo sono gli occhi. È lo stesso concetto che papa Francesco ha voluto chiarire per la Chiesa quando ha detto "voglio una Chiesa aperta, comprensiva, che accompagni le famiglie ferite. Loro dicono di no a tutto, io continuo il mio cammino senza guardare di lato. Non taglio teste, non mi è mai piaciuto farlo. Glielo ripeto: rifiuto il conflitto. I chiodi si tolgono facendo pressione verso l'alto".


Ecco perché con papa Francesco oggi e ieri con san Francesco possiamo ancora riferirci a quella primavera francescana di cui ci parlava Vandenbrouck: "la risposta provvidenziale a tutte queste aspirazioni sgorgate dal più profondo dell'anima cristiana. La povertà appare come rimedio, se non addirittura come il rimedio. La storia di Francesco è una delle meglio conosciute [...]. Tutti , cattolici e non cattolici, credenti e non credenti ne sono stati in ogni tempo toccati. In tutti nasce la sensazione di scoprirvi il Vangelo nella sua integrale purezza". Francesco aveva colto tutto questo, aveva capito che Dio viene per peccatori e continua a farlo.


Enzo Fortunato

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