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I voti francescani: Obbedienza, povertà e castità in Giotto

Giotto e i pittori giotteschi ad Assisi. Elvio Lunghi – Editrice La Rocca

di Elvio Lunghi
Credit Foto - Roberto Pacilio


Allegoria dell’Obbedienza

Un’iscrizione in versi negli archi divisori illustra le figure simboliche di ciascuna allegoria. Nella vela dell’Obbedienza sta scritto: «La virtù dell’Obbedienza si consegue per il giogo di Cristo, il quale giogo si sostiene obbedendo con garbo. Chi si sottopone a questo peso, e passa sotto silenzio le opere del secolo, illumina le opere che si conoscono con il cuore. Accompàgnati alla Prudenza e saprai riconoscere le cose future, le presenti e quelle già passate...». I due giovani in ginocchio sotto la loggia sono le sole figure reali in mezzo a tante figure allegoriche: uno vestito di azzurro e con una cuffia in testa è preso per il polso da un angelo; l’altro vestito di rosso e con il capo chiericato ha le mani giunte in preghiera.

È probabile che si tratti dei ritratti dei due fratelli Gian Gaetano e Napoleone Orsini: il primo morì ancor giovane e fu sepolto nella cappella di San Nicola; l’altro fece costruire le cappelle e decorò le pareti del transetto. L’edificio che compare nella vela è circondato da schiere angeliche. All’interno, tre figure allegoriche identificate da scritte: la Prudenza ha un volto bifronte e ha in mano un compasso e uno specchio; l’Obbedienza è una creatura alata che impone un giogo a un frate e lo invita al silenzio; l’Umiltà ha l’aspetto di fanciulla con un cero acceso. A sinistra un angelo invita due giovani a guardare l’Obbedienza; a destra un angelo respinge un centauro. Sopra il tetto san Francesco è in piedi tra due angeli.

Sulla parete di fondo dell’edificio Giotto dipinse una Crocifissione come se ne vedono in tante sale capitolari di conventi medievali. Soltanto che il corpo del Crocifisso è solo in parte visibile, perché la testa e le braccia sembrano nascoste dall’archivolto dell’arcata e le gambe dalla allegoria dell’Obbedienza. L’effetto illusionistico cercato è una pietra miliare nella storia del trompe–l’oeil: ben noto agli antichi ma ignorato dai pittori medievali.


Allegoria della Castità

Entro una torre è chiusa la Castità, alla quale due angeli offrono una corona reale e una palma. Dalle mura si affacciano le allegorie della Mondizia e della Fortezza, e si voltano verso un giovane nudo che viene purificato da due angeli. Due angeli portano le vesti dell’iniziato, angeli in armi fanno la guardia al fonte, altri angeli scacciano allegorie di vizi sulla destra, e assistono a sinistra san Francesco che accoglie allegorie della Virtù sulla sinistra.

Nella visione allegorica è coinvolto anche san Francesco, che accompagnato da due angeli accoglie tre personaggi che ascendono la costa: un laico, un frate e una suora, a rappresentare i tre Ordini la lui fondati. Francesco prende per mano il frate mentre la clarissa allunga ambo le mani verso una croce dorata.

La visione della Castità vede il coinvolgimento delle nove gerarchie angeliche – Angeli, Arcangeli, Troni, Dominazioni, Potestà, Virtù, Principati, Cherubini, Serafini – che sono descritte nel De coelesti hierarchia da Dionigi l’Areopagita e che sono riprodotte anche nei costoloni della crociera. Nella Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio, san Francesco è identificato nell’angelo del sesto sigillo iniziatore dell’età dello Spirito, di cui parla l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse.

La Castità chiusa nella torre riproduce una situazione reale assai diffusa nell’Europa medievale. Le murate vive erano donne penitenti che si chiudevano in un carcere cercando il deserto sotto lo sguardo ammirato dei concittadini; o che si ritiravano in una comunità che professava una rigida clausura. Anche il tabernacolo a sportelli che si vede appeso a una parete riproduce la situazione reale delle immagini di devozione private.


Allegoria della Povertà

Le nozze mistiche tra Francesco e la Povertà sono liberamente ispirate a un libretto anonimo del xiii secolo – Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate – che illustra l’amore di Francesco verso questa virtù raccontando la visita fatta da Madonna Povertà a Francesco e ai suoi frati di Assisi. Lo stesso testo ispirò Dante Alighieri, che dedicò l’intero canto xi del Paradiso alle nozze di Francesco con la Povertà.

Due angeli invitano a seguire il modello di Francesco, che ha saputo rinunciare ai bei vestiti e alle belle case, introducendo esempi di virtù e di vizio. A sinistra la Carità è impersonata da un giovane che si spoglia del mantello per farne dono a un povero. A destra l’Avarizia è incarnata da un ricco che si allontana stringendo gelosamente la sua borsa, mentre un angelo invita un nobile con un falcone a seguire Francesco.

Il matrimonio mistico di san Francesco e Madonna Povertà è ambientato sulle balze di un monte, alla presenza di Gesù Cristo che prende per mano una donna poveramente vestita, alla quale Francesco pone un anello al dito. Alle spalle della Povertà sono le allegorie della Speranza e della Carità, mentre tutto intorno sono disposti gli angeli. In basso due bambini lanciano sassi e spine in direzione della sposa. In alto due angeli portano in cielo una veste preziosa e un bellissimo casamento.

«Nel terzo luogo è la Povertà, la quale va coi piedi scalzi calpestando le spine: ha un cane che le abbaia dietro, e intorno un putto che le tira sassi, ed un altro che le va accostando con un bastone certe spine alle gambe. E questa Povertà si vede esser quivi sposata da San Francesco, mentre Gesù Cristo le tiene la mano, essendo presenti non senza misterio la Speranza e la Carità» (Vasari 1568). (Tratto da: Giotto e i pittori giotteschi ad Assisi
Guida alle opere di Giotto e dei pittori umbri del Trecento nelle chiese e nei musei di Assisi – di Elvio Lunghi – Editrice La Rocca)


Elvio Lunghi

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