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Il francescano in Siria: la Via Crucis di Aleppo fra embargo, disoccupazione e isolamento

Il religioso si è speso in prima persona a favore delle vittime, cristiane e musulmane, di questa lunga guerra

Credit Foto - AsiaNews

Ad Aleppo la situazione è ancora “molto difficile”, la popolazione vive “una Via Crucis continua” partendo dalla mancanza di elettricità “garantita una sola ora al giorno”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Ibrahim Alsabagh, della parrocchia latina di Aleppo, metropoli del nord per anni epicentro del conflitto siriano divampato nel marzo 2011. Se persiste l’isolamento “come a Idlib e Hamat” e non verranno riaperti “autostrada e aeroporto, la città sarà soffocata dalla mancanza di lavoro e risorse. Una condizione di vita inaccettabile per la dignità umana”.

Il sacerdote critica il perdurante embargo [voluto dagli Stati Uniti e dal blocco occidentale per colpire la leadership siriana e il presidente Bashar al-Assad], che “continua a essere un mezzo per aumentare le sofferenze della popolazione”. Esso, aggiunge, “soffoca ogni possibilità di vita dignitosa: non è accettabile che la gente stia in fila quattro ore sotto la pioggia per acquistare una bombola di gas” o che “i neonati, come gli anziani, soffrano il freddo perché non riescono a comprare una goccia di gasolio per il riscaldamento”.

Nato a Damasco nel 1971, il religioso si è speso in prima persona a favore delle vittime, cristiane e musulmane, di una guerra che ha provocato quasi mezzo milione di morti e oltre sette milioni di sfollati. Nel periodo in preparazione alla Pasqua, il sacerdote ha lanciato una iniziativa benefica per le famiglie in difficoltà: una tanica di olio di oliva per tutte le famiglie della città, come segno tangibile di carità e misericordia.

Parlando con operai e artigiani, prosegue il sacerdote francescano, “sappiamo che dal 15 di novembre scorso il mercato è quasi bloccato e non c’è lavoro”. Alcuni padri di famiglia “con le lacrime agli occhi, raccontano che non hanno raccolto nemmeno 20 euro nell’ultimo periodo per sfamare i loro figli”.

Da qui la scelta di espatriare, che continua: “Ieri è venuta una madre a salutarmi - afferma - dicendo che sarebbe partita per il Canada, con i suoi due figli giovani che l’hanno già preceduta in Libano”. “Mi ha confessato che non voleva andarsene, abbandonare il proprio Paese - prosegue - ma siamo costretti a farlo, perché non vi sono i mezzi per sopravvivere” e in Siria “non si vede un futuro”.

Questa stessa madre - racconta p. Ibrahim - ha detto che la Chiesa non si è risparmiata per sostenerci e ha fatto di tutto, ma il problema è che questo caos non finisce più. Ha concluso dicendo che partirà con le lacrime, portando tutti noi nel cuore”. In questa situazione “che continua a essere assurda” sottolinea il francescano, “noi continuiamo la distribuzione dei pacchi alimentari e insistiamo con l’assistenza sanitaria a tutti i livelli, perché non vi è una copertura per efficace per i malati e la pensione per gli anziani è solo simbolica”.

Serve poi un’opera capillare di riparazione delle case: finora ne sono state sistemate 1300, ma molte altre necessitano di una sistemazione per tornare a essere agibili. “Vi è una città intera - afferma p. Ibrahim - da riparare”. Ma i progetti di micro-economia sono una goccia nel mare, in un contesto di forte disoccupazione: “Servono migliaia di progetti - conferma - per aiutare la città a rimettersi in moto, perché le persone possano riacquistare la dignità perduta, ricavando il mangiare con il lavoro del proprio sudore”.

Le persone “hanno ancora oggi moltissime ferite aperte”, conclude p. Ibrahim, ma vi è altrettanta fiducia “nel nostro medico, Gesù, che ha la grazia per farci guarire da tutte le malattie e da tutte le ferite. Non è tempo per restare a terra e piangere, bisogna rialzarsi e muoversi. Siamo fieri di ‘completare’ nella nostra vita e nel nostro corpo, quello che manca della sofferenza di Cristo”.

AsiaNews



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