Il genio francescano al servizio dell'uomo e della cultura. La rubrica mensile sui personaggi di spicco del francescanesimo
di Paolo CapitanucciDi tutto rispetto è stato l’impegno profuso dai frati francescani nel corso dei secoli nella produzione e nella divulgazione della conoscenza nei diversi ambiti del sapere.
A pochi anni dalla fondazione dell’Ordine, proprio nel momento in cui questo cominciava ad assumere una sua specifica fisionomia, i frati, teologi e predicatori immersi nel mondo, cominciavano già ad interessarsi con profitto di scienza, politica, economia, diritto, musica, letteratura. Basterebbe citare, a titolo d’esempio, due soli casi, quello di Pietro di Giovanni Olivi o quello del più noto Guglielmo di Ockham, per rendersi conto di quanto il pensiero francescano abbia lasciato un segno profondo in campo economico, politico e giuridico.
Per non parlare poi di quanto la rivalutazione francescana della natura, esaltata meravigliosamente da Francesco d’Assisi nel suo Cantico, abbia contribuito a formare le dorsali su cui si è andata poi costruendo la moderna immagine scientifica del mondo.
Spesso si dimentica come alla fonte di tante novità che hanno caratterizzato il mondo moderno, nato con la rivoluzione scientifica, ci sia proprio lo zampino di qualche francescano.
Personaggi minori, spesso ignorati, come Riccardo di Mediavilla, Giovanni di Casale, Giovanni di Ripatransone, Francesco da Appignano, Pietro Gallego e si potrebbe continuare a lungo nella lista, hanno affrontato con acume questioni fisiche, logiche e matematiche e proposto originali soluzioni.
Un aspetto colpisce però sin dall’inizio nel modo di intendere il sapere da parte dei frati, è appunto il suo ‘volgersi al servizio’. La scienza a cui si interessavano non era solo una forma di sapere astratto, disancorato da ogni ricaduta operativa; quella dei francescani era anzi una conoscenza che vedeva il suo radicamento nell’operari, quasi una teoria inverata dall’azione.
Ai frati, esortati da Francesco a soccorrere e accudire infermi e malati, apparve infatti subito chiaro quale importanza potesse avere la conoscenza dei segreti della natura per alleviare le sofferenze di coloro che venivano afflitti anche dai mali del corpo.
L’idea di utilizzare la chimica a supporto della medicina maturò in primis in Età medievale in ambiente francescano, ad opera di personaggi come Ruggero Bacone, Bonaventura da Iseo e Giovanni da Rupescissa, il quale insistentemente contrappone, nel suo De considerazione quintae essentiae, i medici e i filosofi mondani ai pauperes viri evangelici. I poveri di Cristo sono i veri destinatari dei suoi libri, dei suoi precetti e delle sue ricette.
Ecco dunque nelle sue parole il senso di una scienza che ha al centro l’uomo, volta al benessere collettivo, elemento stabile del pensare francescano: “Ho riflettuto su come riscattare, per quanto è possibile, il tempo trascorso nella filosofia mondana […]La possibilità di questo riscatto l’ho individuata nel proposito di svelare ai poveri di Cristo ed agli uomini evangelici tutto quello che di utile ho scoperto nella filosofia, illuminato dallo spirito divino […] in tal modo coloro che hanno disprezzato le ricchezze, scegliendo il Vangelo potranno imparare facilmente e in breve tempo a prendersi cura dei propri bisogni corporali ed a guarire con l’aiuto divino le infermità che colpiscono gli uomini…”.
Ruggero Bacone, personaggio da multiforme ingegno, impegnato in ogni campo dello scibile, pensò inoltre un articolato progetto di riforma del sapere che sottopose a papa Clemente IV a vantaggio di tutta la Cristianità. La scienza per lui doveva procedere di concerto con la morale; nella sua opera forse per la prima volta, per quanto in termini diversi da come poi l’intenderà Galileo, si parla chiaramente di scienza sperimentale.
Procedendo oltre il Medioevo, il pensiero non può non andare al frate matematico Luca Pacioli, unanimemente riconosciuto come uno dei padri della ragioneria.
Ancorando le conoscenze teoriche all’ideale francescano di totale ed amorosa apertura al mondo, si persuase ad usare il volgare nella stesura dei suoi volumi. I principi teorici della matematica e le molte possibilità pratiche di applicazione venivano ora proposti anche a coloro i quali, privi di una solida formazione accademica, ignoravano il latino: “in materna et vernacula lingua – egli dice – mi so messo a disponerla in modo che litterati e vulgari oltra utile ne haranno grandissimo piacere in essa exercitandose”.
L’ideale di una ‘scienza al servizio’ trova poi uno straordinario esempio nell’opera del geografo ed enciclopedista francescano Vincenzo Coronelli autore, oltre che di molte opere di carattere geografico ed astronomico, anche di un grandioso progetto enciclopedico.
La sua enciclopedia, la Biblioteca universale sacro-profana, antico-moderna, è un meraviglioso prototipo delle moderne enciclopedie, il primo volume fu stampato nel 1701, una cinquantina d’anni prima della più celebre Encyclopédie. Con queste parole il Coronelli mostra meravigliosamente la sua idea francescana di ‘scienza a servizio’: “in questa con facilissimo metodo, ogni arte, ogni scienza potrà ritrovare i suo’ termini, e farà comodo a ciascheduna condizion di persone…”.
Paolo Capitanucci
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