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Kolbe e il teatro di Italo Chiusano, un ponte fatto di luce

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«Hanno chiesto a un bambino: / "Da una bolgia dell'inferno / cementata dagli urli / ghiacciata dal silenzio / pareti verticali invalicabili / come faresti a uscire?" / Il bambino rispose: / "Camminando su un arcobaleno ". / Massimiliano Kolbe / ha costruito un ponte fatto d'iride / e su quel nulla colorato che amore / temprava in durissimo acciaio, / camminando a passi soavi / è uscito dalla gola degli inferi. / Quel ponte è ancora lì, splendente, intatto, / un invito ai nostri timidi piedi». Sono versi tratti dall'ultimo coro di Kolbe di Italo Alighiero Chiusano.

L'8 gennaio 1894, centoventicinque anni fa, nasceva padre Kolbe. Il 29 aprile scorso nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte è stato commemorato il centenario della sua prima messa celebrata presso l'altare della Madonna del Miracolo. A pochi metri di distanza da quella chiesa è la colonna mariana di piazza Rondanini dove chi scrive era solito congedarsi da Chiusano.

Proclamato beato il 17 ottobre 1971 da Paolo VI e poi santo il 10 ottobre 1982 da Giovanni Paolo II , padre Massimiliano, al secolo Raimondo Kolbe, ha ricevuto di recente anche la visita di Papa Francesco che, in viaggio ad Auschwitz il 29 luglio 2016, ha sostato in preghiera presso la cella del martirio. Riproposto quest'anno dalla televisione, il memorabile film di Krzysztof Zanussi Vita per vita. Maksymilian Kolbe (1991) indica fin dal titolo il motivo tratto dal vangelo di Giovanni: non c'è amore più grande che dare la vita per chi si ama.

Già in Tre notturni teatrali (1983), insieme a Le notti della Verna e Il sacrilegio , Chiusano, che era nato a Breslavia - allora tedesca ma ora polacca - propone un suo Kolbe. Un testo poi ripubblicato assieme alla piéce teatrale su Kafka, il san Francesco di Praga (così lo ha soprannominato Primo Levi), in Consideratemi un sogno (1997). Definito dallo stesso autore come un oratorio, Kolbe consiste in una serie di interrogatori crudi e realistici che si alternano a cori di natura lirica e favolistica. Alla Madonna di Oropa è accostata fin dall'inizio quella di Czstochowa.

Nel primo interrogatorio la madre di Raimondo ricorda l'apparizione della Madonna che offre al giovane le due corone, rossa e bianca, e la scoperta, avvenuta a Roma, dell'Immacolata Concezione: «Fu a Roma che quella qualità di Maria Santissima lo prese tutto. L'acqua benedetta di Lourdes gli salvò anche un dito andato in cancrena, che si doveva amputare. Da quel giorno volle che tutti, nel mondo intero e fino alla fine dei tempi, diventassero figli, devoti, innamorati, schiavi dell'Immacolata».

Nel secondo interrogatorio frate Zeno ricorda con entusiasmo la fondazione della rivista «Il Cavaliere dell'Immacolata» e poi quella di Niepocalanòw, la «Città dell'Immacolata», portata fino in Giappone. Vengono alla mente le considerazioni di Mario Pomilio sul paradosso di san Francesco nei suoi Scritti cristiani : «Sarebbe stato il recupero della lettera dei Vangeli la vera restituzione dello spirito dei Vangeli».

Nel terzo interrogatorio lo Scharführer affronta il motivo centrale del dramma, quello della Verità. Nel suo ultimo editoriale, apparso a dicembre del 1940 col titolo Nessuno al mondo può cambiare la verità , Kolbe scrive: «La verità è unica. Lo sappiamo bene, tuttavia nella vita concreta ci si comporta talvolta come se in uno stesso problema il no e il sì potessero essere entrambi la verità». E così anche nel dramma di Chiusano il santo appare per dire: «Nessuno al mondo può cambiare la verità.

Tutto ciò che possiamo, che dobbiamo fare, è cercarla, trovarla, servirla. Ora la verità, cioè il bene, consiste nell'amore di Dio e in tutto ciò che deriva da tale amore. Il male nella sua essenza è la negazione dell'amore». Vengono alla mente le parole di Francesco d'Assisi in Le notti della Verna : «Non cerco incanto né conforto, cerco la verità per amara che sia». È il tema della povertà, della nudità assoluta di fronte a Dio, di quella che i mistici chiamano blorheit . Non a caso lo Scharführer si scaglia contro il povero fraticello «vestito come nel medioevo».

È la prova, l'ordalia, il medievale giudizio di Dio che trova riscontro per Chiusano nell'odierno silenzio di Dio. Compare Gajowniczc, nel quarto interrogatorio, vestito in pigiama a strisce coi piedi nudi negli zoccoli da detenuto, per introdurre Kolbe. Che ricorda a tutti di non aver paura dell'odio perché «solo l'a m o re crea».

Dopo la ricostruzione del dialogo tra Kolbe e il Lagerführer Fritsch e lo scambio dei prigionieri, il dramma si conclude con il ricordo delle parole testuali dette da Kolbe molti anni prima che il suo corpo morto fosse portato al crematorio e bruciato: «Vorrei consumarmi al servizio dell'Immacolata e scomparire senza traccia, lasciando che il vento disperda le mie ceneri ai quattro angoli della terra». (Sabino Caronia - Osservatore Romano)



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