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Minorità: stile e metodo del dialogo

Solo un autentico dialogo tra culture e religioni può scongiurare il pericolo dell’autodistruzione dell’umanità

di Domenico Paoletti

Più volte, in questa rubrica che guarda all’attualità inattuale della minorità, abbiamo ripetuto che essa è codice relazionale, luogo di incontro e comunione con tutti gli uomini e le donne, con il creato, con Dio. Vogliamo sviluppare questo aspetto coniugando la minorità con le varie forme del dialogo (culturale e interreligioso in particolare), nella consapevolezza che il dialogo è oggi la più radicale delle sfide: sfida inevitabile, radicale, urgente per le ricadute che il dialogo ha in tutti gli ambiti del vivere sociale e politico. Esso gioca infatti un ruolo decisivo nei processi di integrazione culturale e di inclusione sociale e di pacificazione.


Affermava Hans Georg Gadamer: “Solo un autentico dialogo tra culture e religioni, che presuppone una vera conoscenza reciproca, può scongiurare il pericolo dell’autodistruzione dell’umanità”. Tutte le culture umane hanno intuito che si diventa umani quando ci si apre all'accoglienza dell'altro e del diverso. Ma ‘quale’ dialogo è capace di generare una comunione fraterna e rispettosa delle differenze?


Una prima risposta può essere offerta dalla scelta di Giovanni Paolo II di convocare in Assisi lo storico incontro dei responsabili delle religioni mondiali, il 27 settembre 1986. Legato a quell’evento è il termine «spirito di Assisi», coniato più di trent’anni fa. Perché Assisi è Francesco, l’uomo ‘dialogico’ per eccellenza, il fratello universale; la storia che scaturisce dalla sua testimonianza e dal suo carisma si è da subito caratterizzata per una sorprendente capacità di relazioni interculturali e di rapporti positivi con le diverse religioni.

L’esperienza cristiana di Francesco mostra ampiamente come sia proprio la “minorità” - scelta in coerenza con la sequela di Gesù Cristo “minore”, povero, umile e crocifisso - a renderlo capace di percorsi significativi di dialogo senza preclusioni. E’ la scelta radicale di Cristo a donare a Francesco la chiave ermeneutica della fraternità universale: tutti gli esseri umani sono chiamati a questa fraternità, e vi partecipano in qualche modo anche le creature inanimate.



Francesco stesso - pellegrino dell’Assoluto e messaggero di pace -, con la scelta della minorità costituisce il metodo e lo stile dello «spirito di Assisi», espresso in tanti suoi gesti e atteggiamenti, ma nel modo più significativo nello storico incontro con il sultano d’Egitto Al Malik al Kamil, di cui quest’anno ricorre l’ottavo centenario (1219-2019).


Il Poverello giunge nell’agosto del 1219 a Damietta, dove da due anni è in corso la quinta crociata. Francesco ottiene dal legato pontificio (inizialmente contrarissimo) il permesso di poter passare insieme a frate Illuminato da Rieti nel campo saraceno, per incontrare il Sultano stesso.  Un incontro inimmaginabile in quel tempo e tanto più con una guerra e un assedio in corso; e proprio per questo veramente profetico, divenuto oggi emblema del superamento di steccati tra popoli, culture, religioni. Il Sultano resta profondamente colpito dallo stile minore e “disarmato” di Francesco, dalla sua virtù e dal suo fervore di spirito, tanto che lo prega di restare presso di lui.

Come ha scritto Jean Daniélou, “si può dire che la civiltà ha compiuto un passo decisivo, e forse
il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes), cioè il giorno in cui la comunità umana è stata creata”. Francesco e il sultano sono entrambi “ospiti” l’uno dell’altro, nel duplice senso (attivo e passivo) di questa parola, che in italiano indica sia chi dà ospitalità sia chi la riceve. Il minore Francesco oltrepassa il muro tra crociati e musulmani - perché si sente fratello di tutti e servo di tutti -, e chiede ospitalità al saggio e ospitale Al-Kamil. Francesco si presenta come ospite; e il sultano lo accoglie e lo ospita, gli offre doni (l’accoglienza è sempre scambio di doni!) e, pur se non intende ‘convertirsi’ nel senso di cambiare religione, ama molto parlare di religione con lui.


Francesco va per annunciare il Vangelo, forse nel cuore ha anche il desiderio del martirio per testimoniare la sequela di Gesù, forse non ha idee molto chiare sul dialogo…, di cui del resto nessuno parla ai suoi tempi, e non è sentito come un valore. Lo scopre vivendolo, lo scopre nella scoperta di un ‘infedele’ non solo colto e saggio, ma buono e di profonda spiritualità, lo scopre nella scoperta dell’accoglienza reciproca.


La novità di Francesco e la sua profezia si trovano non tanto nel dialogo fine a se stesso come spesso si intende oggi, ma nello stile. Non si tratta, dunque, di un Francesco solo pacifista - ciò significherebbe appiattirlo sul livello orizzontale -, ma di un Francesco cristiano e ‘missionario’ dello stile evangelico. Le stesse norme “circa coloro che vanno tra i saraceni” (scritte proprio al ritorno da Damietta e inserite nel capitolo XVI della Regola non bollata), possono considerarsi indicative dell'atteggiamento da lui assunto in quel frangente: «I frati poi che vanno fra gli infedeli (...) non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (2, 13)».


La minorità si presta anche a un’altra lettura: Francesco va dal Sultano non tanto e non solo per cambiare l’altro, quanto piuttosto per cambiare se stesso (G. Buffon). Il frate minore infatti è colui che non basta a se stesso e considera l’altro più importante di sé. Potrebbe essere questa la novità dell’incontro di Damietta e la cifra del vero dialogo, che scaturisce dall’accoglienza ed è capace di arricchire e cambiare nel profondo sia chi ospita sia chi viene ospitato, ammesso che sia possibile distinguerli.


L’autosufficienza del voler bastare a se stessi è di fatto negazione del dialogo, perché è fondamentalmente negazione dell’altro. Il diá-logos infatti è un parlare (logos) che si lascia attraversare (dià=attraverso) da una parola altra, è un intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture. L’estraneo, lo ‘straniero’ accolto diventa ospite e, per questa via amico, familiare. A Damietta, attraverso l’intrecciarsi di due sguardi e il dialogare di due volti, due mondi si incontrano. L’identità non è un’astratta costruzione ideologica, ma il frutto composito del riconoscersi nella profonda comunione dei ‘volti’, nel senso inteso da Emmanuel Lévinas. 



Per Francesco testimoniare Cristosignifica vivere e rendere comunicativa la sua logica: la prossimità perché l’altro, ogni altro, è mio fratello - e mai nemico, come nella logica della Crociata che si fonda sulla contrapposizione violenta all’infedele. In un tempo in cui non si concepiva altro modo di rapportarsi con l’“infedele” che la logica delle armi o lo stile apologetico (altrettanto aggressivo quantunque senza spargimento di sangue), Francesco accoglie e vive la verità del Vangelo, amore che si dona nella gratuità, verità che non ha nulla di impositivo, al contrario di quanto egli vede intorno a sé da parte delle due religioni contrapposte. La minorità è lo stile di chi, riconoscendo la verità assoluta del Cristianesimo come amore, si fa vivente contestazione di ogni violenza e soprattutto di quella più blasfema “in nome di Dio”: Francesco, avendo davanti agli occhi la Croce, al posto della violenza pone l’amore per l’altro e il soffrire con l’altro. La verità del Dio crocifisso gli dona quella capacità, anzi quell’attitudine dialogica che sorprende il Sultano - il quale, accoglie la novità cristiana senza cambiare religione.


La profezia di Francesco e la sua sfida risiedono nella relazione intrinseca tra verità, libertà e dialogo: il dialogo, che scaturisce dal nesso costitutivo di verità e libertà, diventa annuncio della bellezza dell’amore. Il dialogo con le culture e le diverse religioni è indice di autenticità cristiana ed è necessario per provocare in permanenza la fede stessa dei cristiani alla purificazione e all’approfondimento. 


Domenico Paoletti

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