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San Francesco, la grandezza della normalità

Un santo può veramente parlare agli uomini solo quando questi avvertono che anch’egli è stato toccato dai loro stessi drammi

di Felice Accrocca
Credit Foto - Domenico Ghirlandaio Cappella Sassetti

«Quando sono debole – scrisse san Paolo – è allora che sono forte» (2Cor 12,11)! E tuttavia la realtà mostra spesso il contrario, vale a dire che nei momenti di debolezza anche gli uomini grandi rivelano le loro crepe. Francesco non fa eccezione. Sappiamo che per lungo tempo egli soffrì «malattie di fegato, di milza e di stomaco»; inoltre, al ritorno dal suo viaggio nelle terre d’Oltremare, dovette fare i conti con una gravissima patologia «agli occhi».

All’inizio del 1225, rimase a San Damiano per cinquanta giorni e più, sempre in preda ad atroci sofferenze, quindi si trasferì a Fontecolombo, vicino Rieti, perché in quella città poteva far tesoro delle cure di un rinomato oculista: così riferiscono – e non c’è motivo di dubitarne – i compagni del Santo; peraltro, le fonti documentarie che ci sono rimaste comprovano la memoria agiografica.

Un ricordo particolare, riferito da coloro che si dedicarono all’assistenza del malato, merita di essere sottolineato: «una notte, non riuscendo a dormire per i dolori che gli provenivano dalle sue infermità, [Francesco] provò compassione di se stesso e disse ai suoi compagni: “Carissimi fratelli e figlioli miei, non stancatevi e non vi sia gravoso assistermi in questa malattia, poiché il Signore vi renderà, per me suo servo, in questo mondo e nell’altro, tutto il frutto delle vostre fatiche, che voi non potete fare per attendere alla mia infermità”».

Il Santo, che fino a quel momento aveva avuto un atteggiamento di costante durezza verso se stesso, ora invece ne provava compassione; ma appare evidente anche come fosse conscio della stanchezza cui, pur contro la sua volontà, finiva di fatto per sottoporre coloro che l’assistevano. È difficile dubitare della storicità del fatto, perché i racconti agiografici – per loro natura – tendono generalmente a mostrare che le insidie, le tentazioni, vengono dal di fuori, che sono insinuate nell’animo dell’uomo di Dio dal demonio.

Questo racconto invece non ha nulla di straordinario: mostra Francesco mentre veste i panni di un malato che sperimenta il peso e la difficoltà di dover dipendere da altri, unitamente al timore che costoro si stanchino di assisterlo nella sua malattia. Ed è una testimonianza che ci permette di penetrare nell’intimo di un rapporto che poteva avere, umanamente, anche i suoi momenti di stanchezza e di tensione.

Quanta grandezza in questa normalità ordinaria… Perché un santo può veramente parlare agli uomini solo quando questi avvertono che anch’egli è stato toccato dai loro stessi drammi, dai loro stessi dubbi e tormenti, prima di superarli attraverso un’adesione libera e convinta, anche se sofferta, a Cristo e alla sua croce!


Felice Accrocca

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