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IL 'PERICOLO' MIGRANTI, ANCHE COLPA NOSTRA

Caro Padre Enzo,

ho letto sulla rivista di Febbraio l'articolo di Padre Zanotelli dal titolo “Un esodo inarrestabile” e benché mi professi cattolico caritatevole, aiutando economicamente i bisognosi, mi sono trovato profondamente in disaccordo con i contenuti del testo. In Europa e in Italia abbiamo gravi problemi economici che non permettono di trovare un lavoro e inserirsi nella collettività, comprarsi casa e televisore. Nella mia cittadina ci sono 2 strutture che ospitano 300 profughi da oltre 1 anno. Nessuno di questi ragazzi si è inserito nella collettività. Nessuno lavora. Passano la giornata affacciati alla finestra delle strutture ricettive o vagando in giro in gruppi di 8-10 persone. Un supermercato e una palestra attigui ad una di queste strutture hanno chiuso: questi migranti elemosinavano o fissavano le donne all'uscita della palestra. Non possiamo accogliere tutti i disperati del mondo, i cosiddetti migranti economici! In passato noi italiani si migrava per migliorasi economicamente, per inserirsi al meglio nella nuova società. Cose precluse a questi poveretti che trattiamo come pecore ricoverate nell'ovile! La legge Fini-Bossi razzista? Ma non credo proprio! Allora come definire l'operato di stati come l'Ungheria o Austria? Non dimentichiamo che l'Europa tra 100 anni rischia di diventare un continente islamico!!! Con il loro radicalismo, con il nostro permissivismo, con una chiesa Cattolica “in uscita” che va verso l'estinzione e le nostre disattenzioni e defezioni di cattolici, il rischio è davvero concreto!!!

Marco


Carissimo Marco,

la migrazione è una questione molto complessa. Come giustamente sostieni ci sono diversi tipi di persone costrette a questa scelta. Ci sono i migranti di guerra, alla ricerca di una terra di pace. Quelli economici, alla ricerca di una terra fertile per il loro futuro e quelli di povertà, che cercano un pezzo di pane. Hai ragione a dire che le politiche sociali adottate fino ad oggi sono all’osso. Mancano spesso anche i requisiti minimi che possono garantire a queste persone la dignità che ogni essere umano dovrebbe avere. Per non parlare dell’integrazione di cui, però, dobbiamo prenderci anche noi la responsabilità. Il nostro atteggiamento verso il nuovo è di accoglienza, di indifferenza o di fastidio? Siamo sicuri di non essere strumentalizzati trattando tutti i migranti come approfittatori? I giornali parlano spesso delle malefatte di queste persone, ma pensiamo mai alle migliaia di famiglie che qui si sono stanziate? Che hanno fatto amicizia con i nostri figli e nipoti? Persone che hanno un lavoro e pagano le tasse, ma di loro non si parla mai. A volte il rischio è di vedere nero, ma dovremmo vedere il tutto in maniera positiva. È vero, la nostra terra subisce una crisi sia culturale che religiosa ed economica, ma mi piace pensare che è anche una questione di prospettiva: il pessimista vede ‘stranieri’, ma l’ottimista vede dei ‘concittadini del mondo’. Il pessimista una cultura contraria, l’ottimista vede possibilità; il pessimista vede un’invasione, l’ottimista un’occasione di condivisione. Caro Marco, ma non c’è solo questo. E’ anche una questione di coscienza. Di responsabilità. Siamo noi, io, tu, noi tutti, pronti? pronti ad accettare la visione del piccolo Aylan di tre anni morto sulla spiaggia? pronti a voltarci di fronte alle lacrime dei padri di famiglia costretti a lasciare andare tra i flutti i corpi dei figli morti per salvare il resto della famiglia? siamo pronti a rifiutare aiuto alle donne che cercano di salvare i piccoli che portano in grembo? o a coloro che scappano da immagini come questa che, nonostante possa urtare la sensibilità di molti, ho scelto di pubblicare? Davvero quello che abbiamo (la pace, una terra fertile, cibo, lavoro, case) non è abbastanza per essere condiviso con altri? Oppure semplicemente non siamo in grado di rinunciare a una piccola parte di benessere a cui siamo abituati per cederlo a chi ha perso tutto? Ecco Marco, dovremmo pensare in positivo. Non dire che “il migrante mi toglie”, ma che il migrante “mi dona”. Pensare che, avendo molto, possiamo rinunciare a poco per il sorriso di qualcuno. Anche se questo sorriso dura solo un giorno.


Un caro saluto di pace e bene.




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