SONO CONFUSO E NON VOGLIO DELUDERE IL SIGNORE
di Enzo Fortunato
Mi chiamo Severino,
sono felicemente sposato e ho due
figlie. Sono un cristiano cattolico praticante
e cerco di trasmettere l’insegnamento
anche ai miei figli. Ultimamente
sto riflettendo sul VI comandamento e
in particolare sui rapporti sessuali tra
marito e moglie. Il catechismo della
Chiesa cattolica cita al 2363 “l’amore
coniugale dell’uomo e della donna è
così posto sotto la duplice esigenza
della fedeltà e della fecondità”. È quindi
considerato peccato ogni rapporto
sessuale privo del requisito della trasmissione
della vita seppur trattasi di
rapporti tra marito e moglie che si vogliono
bene e fatti con moderazione e
nessun eccesso? Sono confuso e non
voglio deludere il Signore. Mi scuso per
l’argomento. Grazie e pace e bene,
Severino (FE)
Carissimo Severino,
il numero del CCC a cui fai riferimento,
nella linea indicata dalla Gaudium
et Spes del Concilio Vaticano II, richiama
il duplice fine del matrimonio:
il bene dei coniugi e la trasmissione
della vita, nella sequenza qui descritta.
Infatti il bene dei coniugi esprime
la comunione d’amore – e di crescita
nell’amore – che la grazia “innesca” in
modo tutto particolare, rendendo tutta
la vita degli sposi sacramento (segno
che indica e che realizza) dell’amore di
Cristo e della Chiesa. Amore che dura
nel tempo (amore fedele) e dona vita
alla Chiesa, animandola e donandole
nuovi figli, nella potenza dello Spirito
Santo (amore fecondo). È questo amore, così connotato, che i coniugi
si scambiano. Capace di alimentare
novità di vita: sia in termini di crescita
nell’amore fra i coniugi (fedeltà feconda),
sia in termini di espressione
“concreta” di tale amore nella persona
dei figli (fecondità fedele). Pensare
che l’uno possa esistere senza l’altro
è impossibile. Direi che, in ordine alla
sessualità, questo connubio è strutturale,
si esprime in ogni tipo di rapporto
marito/moglie e, in modo, peculiare
nel rapporto di per sé atto a generare
la vita di un figlio, espressione “sacramentale”
della fedeltà feconda e partecipazione
alla creazione e paternità
divina. In questo senso va compresa
l’inaccettabilità, da parte della Chiesa,
sia di rapporti che si precludono la
vita, sia la generazione della vita staccata
dall’atto coniugale (procreazione
artificiale). In quest’ottica gli stessi
metodi anticoncezionali (dunque, nella
linea della natura delle cose e non
mezzi “artificiali”) possono diventare
un’espressione del rifiuto alla pienezza
dell’amore, perché espressione di
una mentalità rinnegatrice della vita.
Ma questo aiuta anche a comprendere
che ciò che sta a cuore alla Madre
Chiesa è che la relazione coniugale sia
espressione di un bene che esprime
la “sacramentalità” della relazione Cristo/
Chiesa, costruisca la famiglia (nella
mutua relazione dei coniugi e dei figli
da essa generati) e, dunque, la Chiesa
(già la famiglia è Chiesa domestica) e
l’intera società. Un caso particolare, in
questo dinamismo di relazione ternaria
(coppia - Cristo), è quello relativo
alla paternità/maternità responsabile
di cui parla lo stesso CCC n. 2368,
riprendendo l’Humanae Vitae di Paolo
VI: sono gli sposi, alla luce di criteri
oggettivi e non arbitrari, in ascolto
della Parola di Dio, del Magistero della
Chiesa e della propria coscienza formata
– “legge scritta da Dio dentro il
suo cuore (dell’uomo): obbedire è la
dignità stessa dell’uomo, e secondo
questa egli sarà giudicato” (GS 16), a
decidere cosa fare (HV 10). Spero di
essere riuscito a comprendere i tuoi
interrogativi.
Un caro saluto di pace e bene
Enzo Fortunato
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