COME INCARNARE, OGGI, LO SPIRITO DI SAN FRANCESCO
di Elisabetta Lo Iacono
Fra Carlos Trovarelli, argentino, 57 anni appena compiuti, è il nuovo Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e, quindi, anche Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum. Ma, soprattutto, è il 120° successore di san Francesco, alla guida di un Ordine che conta circa quattromila mila frati presenti in 68 Paesi, 608 comunità, 28 Province, 20 Custodie, 22 Delegazioni e 7 Missioni. Numeri di una spiritualità che si rinnova e che, al contempo, deve sempre far fronte alle nuove sfide, in particolare a quelle imposte dalla secolarizzazione. È in lui che il centinaio di delegati presenti al Capitolo generalehanno individuato la nuova guida per l’Ordine, il “padre della fraternità” come si è definito.
Lo abbiamo incontrato a fine del Capitolo generale, appena conclusa l’udienza con papa Francesco, un momento fortemente simbolico, di rinnovo di un cammino nella Chiesa e di benedizione da parte del pontefice che del Padre Serafico ha scelto il nome e l’impegno evangelico.
Partiamo dalla sfera delle emozioni, da quel 25 maggio nel Salone papale del Sacro Convento in Assisi.
Quali le sensazioni, i sentimenti, le aspettative, anche i timori se ci sono stati, successivi alla elezione a Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali? Cosa significa per fra Carlos Trovarelli divenire il successore di san Francesco? Quel giorno ho vissuto certamente tante emozioni, a parte il fatto che non potevo credere a quello che stava succedendo. Ma, soprattutto, ho provato assieme sia l’emozione sia l’onore per essere chiamato come guida e padre di tutta la fraternità. E poi questo aspetto di essere il successore di san Francesco! In realtà non mi ero mai reso conto di cosa potesse significare sino in fondo ma l’ho sentito d’improvviso con tanta forza e, soprattutto, con quell’insieme di intense emozioni nel profondo del cuore. Al momento dell’elezione è prevalsa sicuramente la gioia, poi in un secondo tempo si è affacciata anche la paura. Comunque la sensazione davvero emozionante è che, in quel momento, ho avvertito attorno il grande affetto dei frati.
All’interno dell’Ordine ha maturato una significativa esperienza come Ministro provinciale in Argentina, poi Assistente generale della FALC, la Federazione dei frati minori conventuali dell’America Latina. Quindi ha un’ampia visione d’insieme sullo stato dell’Ordine, sui diversi contesti, su limiti e potenzialità. Quali saranno le priorità del suo governo? Prima di tutto realizzare quello che il Capitolo generale ha deciso: è stato un mese di grande discernimento, di presentazione e discussione di mozioni, di assunzione di decisioni, quindi innanzitutto il mio dovere è di dare seguito a quanto ha chiesto e votato il Capitolo. Questa è senza dubbio una delle priorità. E poi accompagnare i frati, soprattutto Provinciali e Custodi che, a loro volta, sono chiamati ad accompagnare le rispettive comunità, in tutto il mondo. Altro aspetto cui tengo davvero tanto è quello della fraternità: come dicevo ai frati anche in questi giorni, fraternità significa non solo volerci bene e abitare insieme ma far sì che questo sia un criterio fondamentale in ogni decisione, da prendere sempre in modo fraterno e comunitario.
Queste sono le priorità e il metodo di lavoro poi, ovviamente, ci sono tante altre cose da fare… E a proposito di indicazioni sollevate durante il Capitolo, tra i numerosi temi affrontati è emersa una diffusa e trasversale sensibilità missionaria. Cosa sta a significare? Uno degli aspetti più belli è stato proprio quello inerente il tema delle missioni, oggetto di alcune mozioni ma, soprattutto, di un comune sentire. Il Capitolo, non per la strategia di qualcuno ma per una evidente ispirazione dello Spirito, ha ripetutamente portato al centro dell’attenzione il tema della missione e questo è stato molto, molto bello. Per questo motivo, abbiamo parlato tantissimo della missione non soltanto di quella ad gentes, ma di come rinnovarla con creatività in ogni ambito che ci vede impegnati, oltre che per aprirci alla nuova evangelizzazione, anche con iniziative innovative. Si avvertiva chiaramente un grande spirito in tutti i frati su questo tema e ciò è segno evidente di una ampia volontà di rinnovamento e di apertura verso nuove strade.
L’Ordine non è un corpo a sé ma parte integrante della Chiesa, è Chiesa.
Quale contributo può venire dal mondo francescano in generale e, in particolare, dai frati minori conventuali in questa fase storica della Chiesa? Quello che io vorrei e che possiamo fare è di mettere al primo posto la trasparenza di vita. Abbiamo parlato di essere sempre più aderenti al carisma, di essere veramente autentici. Credo che proprio questa autenticità, l’essere quello che dobbiamo essere, sia luce per tutta la Chiesa. Penso anche che all’Ordine accada la stessa cosa che a san Francesco al quale un giorno, mentre stava camminando, un uomo disse: “Tu sei Francesco d’Assisi? Mi auguro che tu sia tale come la gente dice che sei”. Ecco, io spero vivamente che noi possiamo offrire alla Chiesa quello che siamo, autenticamente. Parlo della trasparenza che per noi è seguire la via del Vangelo e, appunto, anche della fraternità. Essere quello che siamo è il nostro più grande contributo che possiamo dare alla Chiesa, in ogni tempo.
“Ho chiesto a san Francesco il suo spirito”: è una delle prime cose che ha detto dopo l’elezione. Come si può incarnare, oggi, lo spirito di san Francesco in un mondo sempre più distratto, sempre più incline al proprio tornaconto e profitto, forse anche sempre meno spirituale, perlomeno nella accezione tradizionale? È vero, infatti ho chiesto a san Francesco il suo spirito, nel senso del suo cuore di frate minore. Credo che lo spirito di san Francesco possa essere incarnato anche in questa nostra società e lo dico per conoscenza diretta di persone che ci riescono e lo fanno quotidianamente. Di fatto c’è tantissima gente che vive proprio questo e non si tratta solo di frati e suore ma anche di laiche e laici, appartenenti al mondo francescano, al Terzo Ordine delle quali posso dire che sono davvero i “successori di san Francesco”. Tutte queste testimonianze stanno a significare che il carisma può essere veramente incarnato e che ognuno di noi può farlo, innanzitutto vivendo con trasparenza e semplicità, servendo con umiltà, non cedendo alle logiche di potere o alle tentazioni di centrarci solo su noi stessi. Può apparire un comportamento in controtendenza rispetto alla cultura e al sistema che dominano la nostra società, di certo in questo modo potremo rappresentare una alternativa a un certo tipo di mentalità tanto diffusa. Un modo, anche qui, per essere autenticamente se stessi e per non adattarsi alle regole imposte da altre dinamiche.
Una spiritualità che risuona in modo marcato anche nelle nuove Costituzioni (l’attualizzazione della Regola, ndr) dell’Ordine approvate la scorsa estate nel corso di un Capitolo generale straordinario, dove ogni parte è aperta da una introduzione spirituale, evidente richiamo a una costante aderenza al carisma… Sì, questo delle Costituzioni è un buon criterio - peraltro già presente prima della revisione - in quanto significa che, innanzitutto, siamo chiamati a vivere la nostra spiritualità, il nostro carisma, nel modo più letterale possibile e poi, chiaramente, c’è la normativa che vuole rispecchiarlo. Grazie a Dio le nuove Costituzioni, anche se si tratta di un testo legislativo, presentano una narrativa molto bella del carisma.
Si parla tanto di crisi delle vocazioni, una situazione che vive – perlomeno in certe aree – anche l’Ordine, come un po’ tutte le realtà religiose. Ma se guardiamo con più attenzione, vediamo che si tratta di una crisi che investe anche altre realtà, come quella del volontariato. Quindi non siamo di fronte a una crisi solo religiosa ma, forse, anche antropologica. Cosa sta avvenendo, a che mutazioni stiamo assistendo? Senza voler essere semplicista, penso che almeno in Occidente - non conosco così bene l’Asia – e un po’ anche in Africa, si assista a una “strage” provocata dall’individualismo, per un sistema economico che ha posto al centro non la persona ma il profitto, generando pesanti diseguaglianze. Appena una ventina di anni fa, tutto aveva un carattere maggiormente comunitario. E questo è, purtroppo, uno degli aspetti che va a influire su tutte le realtà, non solo sulla Chiesa. Per quanto riguarda il calo delle vocazioni, possiamo anche preoccuparci ma non dobbiamo dimenticare che la nostra maggiore preoccupazione deve essere rivolta all’impegno di essere quello che dobbiamo essere, poi le vocazioni arriveranno, non scordiamo che sono sempre un dono di Dio. È vero, serve anche qualche strategia per incrementarle ma senza che questo diventi una ossessione, non dobbiamo riempire i conventi per forza ma, piuttosto, lavorare e migliorarci per essere quello che dobbiamo essere e che dobbiamo testimoniare.
Possiamo pensare che sia venuto a mancare un anello fondamentale nella catena delle relazioni, ovvero quello dell’incontro reale, personale, fiducioso con l’altro? Quest’anno ricorre l’VIII centenario dell’incontro di Francesco d’Assisi con il Sultano d’Egitto ma anche del monaco agostiniano Fernando – poi Antonio di Padova – con cinque missionari francescani in seguito martirizzati in Marocco. Nella sua omelia, il 13 giugno nella Basilica del Santo a Padova, ha sottolineato come “il Vangelo non è solo annuncio ma innanzitutto incontro”. Eppure in questo tempo sembra tanto difficile ripartire da lì, da un incontro aperto e fiducioso. La strada maestra è sempre quella della testimonianza che si fa prossimità? Sono totalmente convinto di questo, ovvero che l’incontro e l’accoglienza siano fondamentali. Una volta si viveva in un ambiente maggiormente caratterizzato dalla cristianità – parlo dell’Occidente –, forse in un tempo anche di scontata comodità, dove tutto era ritenuto normale come aprire le porte delle chiese e vederle riempirsi di fedeli. Allora ecco che oggi l’incontro è fondamentale, non solo come strategia ma anche come gesto di apertura: andare verso l’altro in tutti i sensi ma, come dicevo in quell’omelia, portando soprattutto il messaggio di salvezza, perché questo è basilare. Noi abbiamo una buona notizia, una buona novella da offrire e quello dobbiamo fare, così come san Francesco andò dal Sultano ad annunciare Cristo, non per chissà quali altri motivi. Quello è l’atteggiamento che dobbiamo avere: favorire l’incontro per portare agli altri una buona notizia, non per imporla. Tanto più che oggi l’accoglienza è una questione molto avvertita e dibattuta, per questo credo che dovremmo essere aperti all’altro, all’incontro, ricordando sempre che Cristo è venuto tra noi per salvare tutti indistintamente, anche i peccatori e anzi quasi prima degli altri. Questo secondo me è un segno grande del quale dobbiamo dare sempre testimonianza.
L’Ordine ha un carattere internazionale come, ovviamente, lo è la Chiesa ma - diciamolo - adesso con un marcato DNA argentino! Poco fa è stato ricevuto in udienza da papa Francesco, assieme a un centinaio di frati partecipanti al Capitolo generale. Cosa vi siete detti? Papa Francesco mi ha detto parole di incoraggiamento, che sicuramente sarà un cammino impegnativo ma di andare sempre avanti con fiducia. Queste sono state le sue parole. Poi mi ha parlato della minorità, ribadendo e rafforzando quanto aveva detto nel discorso durante l’udienza e, quindi, di essere sempre quelli che dobbiamo essere.
E lei, invece, cosa gli ha detto? Io l’ho ringraziato per la sua attenzione e per le parole che ci ha rivolto, gli ho detto che prego per lui e che Dio lo benedica… Ah, gli ho detto anche che ero molto emozionato! SAN BONAVENTURA INFORMA
Elisabetta Lo Iacono
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