Francesco e l’incontro con l’imam oppositore del terrorismo
di Andrea Riccardi
Il viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti ha destato attenzione e qualche perplessità. Taluni hanno obiettato, anche nell’ambiente vaticano, che sarebbe stato più opportuno includere nel viaggio il Qatar (vicino all’Iran e ostile all’Arabia Saudita) o l’Oman (che ha aiutato la Santa Sede nel proteggere il personale religioso nello Yemen).
Il Papa invece ha scelto una visita mirata: il motivo è la ricerca d’interlocutori musulmani rappresentativi e soprattutto il rapporto con il grande imam di Al Azhar, l’egiziano Al Tayyib, organizzatore del meeting interreligioso di Abu Dhabi. E poi la visita del Papa negli Emirati sostiene i 900 mila cattolici, tutti emigrati, e dà loro una forte visibilità, negata nella vita quotidiana.
Qualcosa sta avvenendo tra i musulmani. Nel mondo sunnita, traumatizzato dall’estremismo, è in corso un processo di ricompattamento, che ruota attorno alla figura di Tayyib.
Nominato alla testa di AlAzhar nel 2010 dal presidente Mubarak, che si era avvalso del controllo politico sulla carica stabilito da Nasser, il grande imam ha lavorato per liberare la nomina del suo successore dall’influenza dello Stato e rafforzare l’autorità internazionale dell’istituzione. Negli ultimi anni, Al Azhar ha ritrovato la preminenza nel mondo sunnita che, dopo l’abolizione del califfato nel 1924 da parte di Atatürk, non ha più un centro o una figura di riferimento, mentre pullulano gli autoproclamatisi leader religiosi, come il «califfo» Al Baghdadi e altri. Tayyib gode d’autorità tra i musulmani, come capo della più prestigiosa università islamica, mentre conduce una cauta linea riformista. Sul versante esterno, guida il dialogo con l’Occidente e il cristianesimo.
Nel 2017, ha accolto papa Francesco al Cairo e ha stretto con lui un dialogo personale e spirituale.
Al Azhar è uno dei pilastri della strategia di Tayyib. L’altro è il Muslim Council of Elders, fondato nel 2014 e presieduto dall’imam, che raccoglie varie personalità islamiche del mondo. Questa istituzione promuove negli Emirati la Global Conference of Human Fraternity, cui partecipa il Papa. Non ci sono solo musulmani e cristiani, ma anche ebrei (come il rabbino Skorka, amico del Papa) e esponenti delle religioni orientali. Sono presenze che vanno al di là dell’esclusivo riconoscimento musulmano dei monoteismi. La frequentazione degli incontri nello «spirito di Assisi» — dall’incontro interreligioso voluto da Giovanni Paolo II nel 1986 — ha fatto penetrare, almeno un po’, anche nel mondo islamico l’apertura alle religioni. Ma il cuore del meeting negli Emirati è l’incontro tra il Papa e Tayyib con il suo Muslim Council of Elders.
La personalità di quest’ultimo è complessa. La sua posizione su Israele è dura. Ma è anche un fermo oppositore dei Fratelli Musulmani, come si è visto durante la presidenza Morsi ed emerge dalla linea teologico-politica di Al Azhar. Oppositore del terrorismo, è andato a inchinarsi alle vittime dell’attentato al Bataclan a Parigi. In realtà l’imam ha un retroterra spirituale particolare: viene da una famiglia sufi di tradizione mistica, che guida una confraternita a Luxor. Il mondo sufi, con la sua devozione popolare, è un argine al radicalismo. Il viaggio del Papa ad Abu Dhabi e l’incontro con il grande imam rafforzano il ruolo «universale» di quest’ultimo. La Chiesa, dal Vaticano II, cerca figure rappresentative tra i musulmani faticando a trovarle. Tayyib è un leader attraverso cui il Papa vuole stabilire un dialogo (non formale) con l’islam o parte di esso. Il tutto s’inquadra nel disegno di contribuire alla pace e alla convivenza in Medio Oriente, tanto che, proprio nella Penisola arabica, Francesco ha invitato a «bandire ogni approvazione della parola guerra». (Andrea Riccardi – Corriere)
Andrea Riccardi
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