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I santi francescani nel mondo

Breve viaggio

di Antonio Tarallo

E non c’è solo Francesco. San Francesco. Questo, è il primo pensiero che viene in mente, scorrendo la lunghissima “lista” dei Santi francescani. Un corollario di biografie, di episodi, di miracoli,  di tutte quelle donne e uomini “di buona volontà” che hanno deciso di condurre le proprie esistenze, nel solco dell’esempio del Serafico padre, e – prima ancora –di vivere, incarnare, imitare, l’esempio dell’unico Maestro, Gesù Cristo. La famiglia francescana è ampia, e le “aureole” di santità sopra i grezzi sai, sono davvero tante. Se volessimo intraprendere un viaggio fra queste figure, ponendo la nostra attenzione sui luoghi dove sono nati, da dove sono venuti, o suoi luoghi dove hanno operato maggiormente, le parole manzoniane della poesia del cinque maggio, potrebbero divenire un “simpatico” e facile riassunto geografico: “Dalle alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno…”. Questo, per riflettere, che oltre ad Assisi, l’Umbria tutta, il Francescanesimo, e in particolar modo, la “santità francescana” (definiamola così) è germogliata in tutto il globo, dalle remote terre della Cina o dell’Ecuador, a quelle più vicine della Gran Bretagna o della Germania. Semi di santità, disseminati in vaste pianure europee e transoceaniche, che hanno fatto germogliare fiori, alberi…enormi ulivi (credo proprio i più adeguati, visto il “tema”) di santità e pace.

E, allora, percorriamo queste valli, a cominciare da quelle più lontane, alla scoperta di sante e santi che – molte volte – non hanno “grande risonanza” come tanti altri, diciamo pure più “famosi”,  ma che – bisogna ricordarlo – hanno fatto della loro vita, preziosi frutti di santità, al pari dei “colleghi” dall’aureola francescana.

“A Quito, in Ecuador, santa Marianna di Gesù de Paredes, vergine, che nel Terz'Ordine di San Francesco consacrò la propria vita a Cristo e dedicò le proprie forze ai bisogni degli indigeni poveri e dei neri”, così il “Martilogio romano”, al giorno del 26 maggio, sintetizza la storia di Santa Marianna di Gesù de Paredes. Beatificata nel 1853, fu proclamata santa da papa Pio XII, nel 1950. Prima santa della repubblica dell'Ecuador. Lì, è conosciuta con l'appellativo di “Azucena de Quito”,  giglio di Quito.Pur essendo diretta spiritualmente dai Gesuiti, aveva voluto iscriversi al Terz'Ordine Francescano, senza però mai indossarne l'abito. Marianna viveva in un piccolo appartamento di tre stanze, ammobiliato francescanamente: un letto di legno, una croce guarnita di spine, un altarino adorno delle statue di Gesù Bambino e della Madonna. Vestita di nero, trascorreva nel suo ritiro la maggior parte della giornata. Usciva dalla sua abitazione, solo per andare alla Messa, e per occuparsi dei poveri. Morì il 26 maggio, giovedì dell’Ascensione. Ai solenni funerali seguirono molti miracoli ottenuti per sua intercessione.

“Nella città di Taiyuan nella provincia dello Shanxi, in Cina, passione dei santi Gregorio Grassi e Francesco Fogolla, vescovi dell'Oridine dei Frati Minori, e ventiquattro compagni, martiri, che durante la persecuzione dei seguiaci della setta dei Boxer furono uccisi in odio al nome di Cristo”, così si legge, sempre nel Martiologio Romano, alla data del 9 luglio. San Francesco Fogolla, nacque a Montereggio nella Lunigiana, il 4 ottobre 1839. San Francesco era già nel suo destino.  Ma fu a Parma, dove la famiglia si trasferì nel 1852, che maturò la propria vocazione. Poi il viaggio in Oriente, nel 1866, a Shanxi. Visse in quella regione, popolata solamente da 1.500 cristiani, per ben sette anni. Nel 1877, diviene Vicario generale dello Shanxi. Nel 1900, scoppiò “la rivolta dei Boxer”, una ribellione sollevata in Cina da un grande numero di organizzazioni cinesi popolari, contro l'influenza straniera colonialista. Un funzionario di Pechino cercò di far abiurare Fogolla, che si oppose a tale insensato invito. Fu così che conobbe il martirio con la decapitazione che4 avvenne il 9 luglio 1900. Il sangue versato, divenuto sorgente di santità.

E ora, passiamo a un Paese più vicino alla nostra Italia, la Polonia. Una terra che ha visto il proliferarsi di immense figure che hanno segnato il cammino della Chiesa, la storia del Francescanesimo. Tutti possono ben ricordare San Massimiliano Maria Kolbe, frate conventuale polacco, morto ad Auschwitz, il 14 agosto 1941, per offrire la sua vita al posto del padre di famiglia, Franciszek Gajowniczek. Noto, San Massimiliano, per la fondazione della Milizia dell’Immacolata, per il fervente amore per la Vergine Maria, per il suo spiccato fermento intellettuale, rappresenta – come dirà San Giovanni Paolo II, a cui dobbiamo la sua canonizzazione – la figura del martire “per eccellenza” del XX secolo, vittima del sistema totalitario nazista.  Il secolo trascorso, infatti, ha visto diverse biografie di santi, confrontarsi con il martirio per via dei regimi sovietici o nazisti. Ma, facciamo un passo un bel po’ indietro nel tempo, è arriviamo addirittura al 1400, ben seicento anni prima del frate santo Massimiliano. Parliamo di San Simone da Lipnica, che viene festeggiato il 18 luglio. Leggiamo: “A Cracovia in Polonia, beato Simone da Lipnica, sacerdote dell'Ordine dei Minori, che fu insigne per la predicazione e la devozione verso il nome di Gesù e, mosso dalla carità a provvedere alla cura dei malati di peste moribondi, trovò egli stesso fra loro la morte”. Così, il Martilogio romano – che è divenuto una sorta di “linea guida” che ci sta accompagnando in questo nostro viaggio tra le “aureole francescane” – descrive il frate minore che diffuse la devozione al Nome di Gesù, ottenendo la conversione di innumerevoli peccatori. Nel 1463, primo tra i Frati Minori, occupò l'ufficio di predicatore nella cattedrale del Wawel. Per questo suo ardore per la predicazione, le fonti antiche gli conferirono il titolo di “predicator ferventissimus”. L’amore verso gli ultimi, in perfetta imitazione di San Francesco, lo vide accanto agli ammalati dell’epidemia di peste che sconvolse la città di Cracovia per ben sei mesi, nel luglio 1482. Fra Simone non si risparmiava, e instancabilmente, assieme ai suoi confratelli, si prendeva cura degli ammalati. Ovunque passò confortando, recando soccorso, amministrando i sacramenti, e annunciando la Parola di Dio. Morì, colpito dal terribile morbo, il 18 luglio 1482.

Italia, Viterbo. A pochi passi dalla culla del Cristianesimo. Sembrava alquanto opportuno, concludere questa breve panoramica sui santi legati all’Ordine francescano, con un nome italiano. E, questa volta, la sua fama è assai diffusa e popolare. Parliamo di Santa Rosa da Viterbo che nel calendario viene festeggiata il 6 marzo. Ma non possiamo non annoverare anche la data del   3 settembre, data in cui l’intera città laziale di Viterbo, è impegnata nella famosissima manifestazione popolare della cosiddetta “Macchina di Santa Rosa”, un campanile illuminato (altezza di 28 metri e del peso di circa 50 quintali), sormontato dalla statua della santa per rievocare la traslazione del suo corpo. Santa Rosa, respinta dal convento di clarisse, per via delle sue cagionevoli condizioni di salute, si fece terziaria francescana.  Sui 16-17 anni, chiese di entrare nel convento delle Clarisse, ma fu respinta a causa della sua salute precaria. Si fece allora terziaria francescana, seguendo la regola in famiglia. Dopo una miracolosa guarigione, si mise a percorrere Viterbo, annunciando il Vangelo. Al suo nome viene legata l’estenuante resistenza cattolica della città, che era stata sottomessa dall’imperatore Federico II. Viterbo ritornerà alla Chiesa, nel 1250.



Antonio Tarallo

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