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Mons. Accrocca: Epifania, dono per gli altri

Natale e Pasqua mistero d'Amore

di Felice Accrocca

La solennità dell’Epifania istituisce un evidente collegamento con la Pasqua del Signore, non solo perché in questa giornata il diacono (o il sacerdote), dopo la lettura del Vangelo, può dare ai fedeli l’annunzio della Pasqua (un testo che ricorda a tutti la centralità del Mistero Pasquale nella vita liturgica e l’incidenza, quindi, che esso deve avere nella vita del cristiano), ma anche perché gli stessi doni che i Magi portano a Gesù inducono un tale legame. Infatti, se l’oro simboleggia – in quel misterioso divino Fanciullo – il Re e l’incenso il Dio immortale, la mirra annuncia l’Uomo deposto dalla Croce. Sì, perché quel Bambino nato per noi, morirà un giorno, per noi e per la nostra salvezza, sul legno della Croce: “dalle sue piaghe – dice san Pietro citando Isaia – siete stati guariti” (1Pt 2,24).

Non solo la liturgia, ma anche l’arte cristiana – d’oriente e d’occidente – ha voluto rendere evidente l’unità del Mistero, collegando Incarnazione e Redenzione in un unico grande atto d’Amore. Quelle culle in pietra che, in tante immagini (icone, affreschi, quadri) del presepe, somigliano più a sepolcri che non a lettini per neonati, o quel Bambinello completamente fasciato che sembra una mummia cosa vogliono dire se non che quel Fanciullo darà un giorno la vita per noi? Se ci si reca, ad esempio, a Greccio, nel luogo del Natale del 1223 (sul quale l’altro ieri si è recato a pregare anche Papa Francesco), quando Francesco fece mettere della paglia in una mangiatoia e fece procurare perfino un bue e un asino, perché fosse visibile a tutti, con “gli occhi del corpo”, in qual modo il fanciullo Gesù era nato a Betlemme, privo di tutto ciò che è necessario a un infante, si vedrà che anche lì, nella cappellina costruita sul luogo dove in quella notte fu celebrata la messa, un affresco mostra Maria che depone Gesù in una culla che è, in realtà, un sepolcro.

Francesco aveva ben chiaro tale legame, come mostra l’esordio della cosiddetta Lettera ai fedeli: l’altissimo Padre annunziò la venuta del Verbo “nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà. E, prossimo alla passione, celebrò la pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò…”. L’incarnazione, dunque, si compie nella Pasqua: “l’incarnazione insomma è la premessa, non solo temporale ma logica, della croce. La croce svela il senso profondo dell’incarnazione” (G. Miccoli). D’altronde, nel narrare gli avvenimenti del Natale del 1223 Tommaso da Celano non disse espressamente che “l’umiltà della incarnazione e la carità della passione” di Gesù Cristo tenevano tanto occupata la memoria di Francesco, che egli non voleva pensare ad altro?

Il Natale e la Pasqua, l’Incarnazione e la Redenzione: l’Epifania svela il nesso profondo di questo mistero d’Amore, che chiede a ognuno di noi di fare della nostra vita un dono per gli altri. Francesco l’aveva compreso e lo sperimentò fino in fondo. Egli chiede a noi, oggi, di fare altrettanto.

Don Felice Accrocca


Felice Accrocca

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