Rapporto Amnesty: non lasciamo campo libero alle parole di odio della rete
Sono varie le iniziative portate avanti da Amnesty International Italia per contrastare l'ondata di odio
di Elisabetta ReguittiSe non vogliamo essere sommersi dalle palate di parole di odio dobbiamo reagire. Subito, prontamente e con coraggio. Nel nostro quotidiano. Ancora una volta la sveglia la danno i numeri.
Ancora una volta ognuno di noi è chiamato oltre che a svegliarsi a rimanere vigile e attivo sulla nuova frontiera del potere: la parola nella rete. Più che frontiera una prateria che nessuno, per comodità o superficialità, ha il coraggio di attraversare, illuminare cercando di fare qualcosa per renderla meno paludosa per tutte le persone, prima ancora che cittadini. Ancora una volta, quindi, sono i numeri a fotografare la realtà, questa volta si tratta del lavoro svolto da Amnesty International Italia: “Barometro dell’odio, Elezioni europee 2019”.
Nulla di nuovo, si dirà. Così non è perché quando leggi alcuni passaggi di questo articolato e quasi scientifico lavoro di indagine ti rendi conto di quello che siamo. Già perché se è vero che i simili cercano i propri simili, alla luce del risultato elettorale gli Italiani, nella maggior parte dei casi sono coloro che hanno votato. Fino a prova contraria.
Un esempio concreto attinto dal documento nel quale si legge: “Rispetto all’ampia rilevazione, per “attacchi" nel dibattito vengono indicati sia i contenuti offensivi e/o discriminatori, hate speech che comprendono sia i contenuti dei politici che le risposte degli utenti”. Tradotto: le parole della politica condizionano le parole e soprattutto i pensieri e la mentalità dei cittadini (nel senso etimologico del termine) e viceversa. Nel dettaglio questa considerazione riguardava la situazione dell’universo femminile rispetto alla guerra continua di insulti e parole contro il genere.
Perché un dato sembra certo e viene messo nero su bianco nel documento presentato a Roma in collaborazione con il Consiglio Nazionale Forense: “Nell’incidenza degli attacchi nel dibattito del web sui singoli temi una donna che commenta o esprime un suo punto di vista è percentualmente più colpita dai frequentatori della rete rispetto a un uomo”.
Dal commento all’illustrazione delle metodologia utilizzata per la realizzazione del report: una rilevazione durata 23 giorni durante i quali sono stati monitorati 1.419 candidati e raccolte 787 tra dichiarazioni, commenti offensivi, razzisti e discriminatori provenienti da 129 candidati unici, di cui 77 risultati poi eletti.
Di questi 787 commenti e dichiarazioni, il 91% ha avuto come oggetto migranti e immigrati (inclusi i temi della sicurezza e dell’accoglienza), mentre l’11% delle dichiarazioni ha riguardato minoranze religiose (soprattutto quella islamica), il 6% la comunità lgbti, il 4,8% i rom e l’1,8% le donne; sul piano lessicale è stato confermato – per migranti e immigrati – l’utilizzo di metafore militari e guerresche (“bomba sociale”, “scontro sociale”, “guerra in casa”), di analogie disumanizzanti (“bestie”, “vermi”) e di una terminologia imprecisa e generica (“clandestini”, “irregolari”, “profughi”, “stranieri”).
L’antefatto è stato il primo Barometro dell’odio del 2018 dove era stato individuato un focus specifico - la produzione di discorsi d’odio da parte di soggetti precisi, come i candidati alle elezioni politiche i loro follower –, con l’obiettivo non di individuare le tendenze della rete, ma gli usi strumentali e le loro ricadute da parte di una categoria di influencer.
Gianni Rufini ha detto bene: “Nel vortiginoso degrado del dibattito pubblico italiano, con un numero crescente di cittadini che, sui social media, danno sfogo a un’aggressività esasperata e razionalmente inspiegabile, con l’impossibilità di avviare un dialogo con le tante persone che fanno proprie e diffondono notizie platealmente false, abbiamo scelto di lavorare sull’ingrediente che genera paura e violenza verbale, anche nelle persone più miti e apparentemente ragionevoli”. Ha poi continuato:”Che sia frutto di una 'istintiva' paura dell’altro, o di una società che offre sempre meno sicurezze e speranze, l’odio è la tossina che rende impossibile il dialogo, il confronto civile, lo scambio d’idee”.
Le tossine però generano 'ascolti' mediatici e non. Le tossine sono quelle che quotidianamente vengono rincorse nelle redazioni perché generano 'movimento' di accessi alla rete, di contatti e like. Le tossine creano dibattito non tanto confronto ma scontro. Sconto che in questa società genera anche 'personaggi' che tanto sembrano piacere al pubblico. Molti volti noti lo sono grazie alle parole di odio. Una verità sicuramente scomoda. Ma questa è. Serve quindi coraggio per cercare di andare contro corrente.
Amnesty parla della necessità di fare contro-narrazione: una sorta vaccino per fare fronte alla tentazione di essere parte della tragica commedia dell’hate speech. Ognuno di noi può essere tentato di ritagliarsi uno spicchio di notorietà non sulle parole positive con le quali possiamo esprimerci verbalmente o con la scrittura ma piuttosto con le pietre di una narrazione pruriginosa e di odio.
Amnesty Italia svolge attività nelle scuole con progetti internazionali ( come SilenceHate) che ha permesso di avviare una continua riflessione input-feedback rispetto all’utilizzo di strumenti e dati che richiedono un costante aggiornamento.
È stato peraltro costituito un Tavolo per il contrasto ai discorsi d’odio: non un generico coordinamento antirazzista o antidiscriminazione, ma un gruppo di lavoro nazionale che per la prima volta potesse far operare insieme centri di ricerca accademici quali: Università di Bologna, Firenze, Milano, Università di Reading, Università di Trento, Università di Verona, osservatori accreditati come Associazione Carta di Roma, Osservatorio di Pavia, Unar, Fondazione Bruno Kessler, progettualità innovative (Associazione “Vox Diritti”, associazioni giuridiche quali ASGI, Consiglio Nazionale Forense, Rete Lenford, movimenti nazionali e trasnazionali (No Hate Speech Movement, organizzazioni non governative con grande esperienza di intervento sul territorio come Action Aid, Cospe, Lunaria.
Nell’ottobre 2018 Papa Francesco disse: “L’odio seminato, propagato, diffuso attraverso le piattaforme del web, attraverso la politica, i talk show non porterà a nulla di buono. È importante che i giovani conoscano come nasce un populismo. Penso ad Hitler nel secolo scorso, che aveva promesso lo sviluppo della Germania. Perché sappiamo come cominciano i populismi: iniziano con il seminare odio. Non si può vivere seminando odio”.
Elisabetta Reguitti
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