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Dalle catacombe alla luce


di Luciano Marini(Luglio 2009)

Aveva insegnato catechismo e preparato alla Prima Comunione un gruppo di bambini di Bucarest. La polizia segreta di Ceausescu, la terribile Securitate, lo arrestò. Negli interrogatori a cui lo sottoposero, volevano che rivelasse i nomi di altri frati che svolgevano segretamente il ministero sacerdotale; lo torturarono, lo bastonarono fino a spezzargli il filo della schiena, poi lo buttarono in carcere. P. Anton Demeter, un francescano conventuale, rimase paralizzato su una sedia a rotelle per tutta la vita. Quando lo vidi per la prima volta nella sua stanzetta a Roman, dopo la caduta del regime, mi disse: «Padre, è finito l’inverno, è spuntata la primavera» e mi indicava, fuori della finestra, le decine di giovani frati romeni incamminati verso il sacerdozio. Il regime comunista, come un rullo compressore, aveva cercato di soffocare la Chiesa in molti paesi dell’Europa orientale; soppressi gli Ordini religiosi, incarcerati preti, frati e suore, chiuse le chiese. Molti di loro morirono per le violenze subite. Fu chiamata “la Chiesa del silenzio”, perché non poteva far sentire la sua voce. Ma la sua testimonianza di fede e di martirio fu più eloquente di tante parole.

USCITI DALLE CATACOMBE

Caduto il regime comunista i pochi frati sopravvissuti, per lo più malati ed anziani, si riunirono in comunità, accolsero molti giovani che, nonostante la persecuzione, avevano mantenuta la fede e il desiderio di consacrarsi al Signore per il servizio ai fratelli. Oggi in Romania ci sono più di 200 frati, un’ottantina sono in altri paesi d’Europa dove scarseggia il clero (Italia, Francia, Germania, Austria) o in missione (Turchia, Libano, Ghana). I francescani conventuali sono ritornati in tanti paesi da cui erano stati cacciati: Lituania, Bielorussia, Ucraina, Albania, Bulgaria. I frati di Polonia, unico paese comunista in cui la Chiesa e l’Ordine avevano potuto conservare la loro organizzazione, son partiti per rifondare la Chiesa e riunire i pochi cattolici sopravvissuti alla persecuzione. Così oggi i francescani conventuali sono presenti in Russia, in Uzbekistan, Kazakistan, Calmucchia. «Non siamo qui per fare concorrenza alla Chiesa ortodossa», mi dice p. Nicolai Dubinin, giovane frate russo di Rostov sul Don, superiore della Custodia di Russia. «Nel Paese ci sono sempre stati dei cattolici, anche durante il periodo comunista. E noi vogliamo portare loro il nostro servizio pastorale, ma sentiamo anche che il carisma di San Francesco e lo “Spirito di Assisi” possono essere un grande dono a tutto il popolo russo e alla Chiesa ortodossa stessa».

ACCANTO AGLI ULTIMI

In Russia come in Romania, in Uzbekistan come in Kazakistan i frati francescani sono portatori del Vangelo e rendono credibile il loro annuncio attraverso la carità e la solidarietà. A Fergana in Uzbekistan, stato musulmano, è la polizia stessa che consegna ai frati i ragazzi in situazioni difficili, a S. Pietroburgo c’è presso il convento una mensa per i poveri. In Romania il centro Caritas dei frati raccoglie i ragazzi di strada ed è impegnato nella ricostruzione del villaggio di Buruinesti dove lo scorso anno un’inondazione ha portato via duecento case. Vangelo e carità è un binomio inscindibile per ogni missione che voglia essere evangelica e francescana.

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