NOTIZIE > attualita

'Noi detenuti sulla Francigena'. La lunga marcia diventa un reality

A dei carcerati è stato concesso di andare da Roma a S. Maria di Leuca a piedi

Credit Foto - corriere.it

«Il giudice mi ha tolto la patria potestà e non ha sbagliato, perché la legge dice che con la vita che facevo io non potevo crescere i figli — racconta Francesco, boss figlio di boss, condannato per estorsioni, rapina e sequestro di persona —. Questo viaggio serve per dimostrare anzitutto a me stesso che sono migliore di quello che ero, che ce la posso fare anche con una vita diversa da quella che ho fatto». E Maria, origini nomadi, arrestata prima di compiere 16 anni per furto, un matrimonio imposto e vissuto «come uno stupro», un’incurabile fobia per i serpenti: «Da noi i maschi sono viziati e considerati migliori, qui invece siamo tutti uguali».

Il traguardo è l’inizio

Francesco e Maria parlano mentre camminano insieme ad Alessandro, Kekko, Matteo e Omar, altri giovani detenuti dall’aspetto già adulto; un viaggio a piedi lungo e faticoso, da Roma a Santa Maria di Leuca, la punta estrema dello stivale: 800 chilometri in 60 giorni attraverso l’antica via francigena, che un tempo conduceva i pellegrini in Terrasanta e adesso consente a sei carcerati di riavvicinarsi al mondo che s’erano lasciati alle spalle entrando in prigione. Un presente senza sbarre e muri che può trasformarsi in futuro; un cammino verso la liberazione definitiva che passa dal recupero di se stessi. «Arrivare in fondo sarà un traguardo, ma anche un nuovo inizio», confida Kekko, la pelle coperta di tatuaggi a testimonianza della vita vissuta finora — manette, pistole, il leone che credeva di essere — ma con uno spazio ancora intonso su una gamba: «Qui ci andrà la Statua della libertà, accompagnata dalla scritta “libero da tutto”».

Tra tensioni e speranze

Il raggiungimento della meta diventerà il punto di ripartenza per un’esistenza diversa che comincia a prendere forma lungo il cammino: tappe da 15 o 20 chilometri, notti in tenda o in ricoveri che dipendono dall’ospitalità degli altri, 15 euro al giorno che devono bastare per tutto, l’aiuto e l’ascolto reciproco accompagnati da una guida di lunghe distanze, Marco, e un’educatrice con esperienza di dinamiche di gruppo, Ilaria. Un’esperienza resa possibile dal ministero della Giustizia che ora è narrata da «Boez-Andiamo via», una serie tv di 10 episodi prodotta da Rai fiction trasmessa da Raitre a partire dal 2 settembre. Un reality innovativo e un po’ «rivoluzionario» come il progetto di base, scandito dai passi dei sei protagonisti che a volte s’interrompono per via di tensioni e contrasti che qualcuno vorrebbe risolvere secondo le vecchie abitudini; ma la logica del gruppo impone il confronto e la necessità di comprendere le ragioni degli altri.

Pratiche sconosciute a chi rispettava solo la legge del più forte ma adesso, attraverso il dialogo, scopre una nuova dimensione delle regole e dell’amicizia: «Sulla strada non c’è amicizia ma solo interesse. Qui è diverso». Da fuorilegge pensavano di essere liberi, sbagliando : «Sulla strada non sei mai libero; forse lo sei per la giustizia, finché non ti prendono, ma dentro di te no. Ora invece mi sento libero perché non devo dimostrare niente a nessuno».

Orgoglio e pregiudizio

La strada non è più terreno di conquista, ma diventa uno spazio dove incontrare persone che offrono ospitalità e svelano esperienze diverse, usi e costumi sconosciuti. È il mondo di fuori che aiuta a guardarsi dentro, a rivalutare il valore dei soldi guadagnati con fatica e difficoltà, che fanno svanire il fascino della malavita. «A me piaceva incutere il terrore nelle persone, e adesso se ci ripenso mi faccio schifo da solo», confessa Alessandro, che però sceglie di sottrarsi a una serata con una comunità di profughi: «Sento un attrito verso di loro che non riesco a superare, e siccome è meglio prevenire che curare preferisco non vederli proprio». Si apre un dibattito, Marco — la guida — spiega che se avesse seguito lo stesso pregiudizio nei confronti suoi e degli altri detenuti non avrebbe vissuto l’esperienza più importante della sua vita. Finché Alessandro ammette: «Devo ampliare le mie vedute…». E il cammino prosegue.

Giovanni Bianconi - Corriere.it



Commenti dei lettori



NON CI SONO COMMENTI PER QUESTO ARTICOLO

Lascia tu il primo commento

Lascia il tuo commento

Nome (richiesto):
Email (richiesta, non verrà mostrata ai visitatori):
Il tuo commento(Max. 300 caratteri):
ACCONSENTO NON ACCONSENTO
al trattamento dei miei Dati personali per le finalità riportate nell'informativa, al fine esclusivo di contattare l'utente per sole ragioni di servizio, legate all'evasione delle sue richieste (pubblicazione commenti)
Organo ufficiale di Stampa della Basilica di San Francesco d'Assisi
Custodia Generale Sacro Convento
© 2014 - tutti i diritti riservati
Contatti | Credits