Bagnasco: nessuno si appropri dei valori cristiani, Ma adesso serve un’Europa meno invasiva
Angelo Bagnasco. Il presidente dei vescovi europei: essere cittadini del mondo è uno slogan superficiale
La Chiesa spesso preferisce tacere su imminenti tornate elettorali. Ma non questa volta. A pochi giorni dalle elezioni il presidente dei vescovi europei non si tira indietro e dice la sua su presente e futuro del «vecchio continente». Angelo Bagnasco, cardinale arcivescovo di Genova, presidente della Conferenza episcopale italiana per dieci anni, ha le idee chiare su ciò che sta funzionando e quello che si è inceppato a Bruxelles e Strasburgo, su urgenze, emergenze e sui pericoli che corrono i cittadini dell’Unione giunta a un punto di svolta. E sulla vicenda di Salvini che ha sventolato il Rosario sul palco di Milano, sottoscrive le parole del segretario di Stato vaticano Parolin - «Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso» - e sottolinea che nessuno può appropriarsi dei valori cristiani.
Eminenza, per la Chiesa europea quale significato assume il voto del 26 maggio?
«I vescovi credono fermamente nell’Unione europea, in un cammino di unità. Questa è la strada indicata anche dalle parole e degli appelli di papa Francesco per il bene dell’Europa unita, che il Santo Padre reputa decisiva per il bene dell’umanità. Ma riteniamo anche che l’Europa debba ripensare se stessa».
In che senso?
«È un soggetto necessario, ma dovrebbe essere anche un soggetto più leggero, meno invasivo, meno “pesante”. E poi, più facilmente comprensibile alla gente, con linguaggi e azioni più efficaci».
Che cosa si aspetta dopo il voto?
«Più umiltà e più intelligenza». Perché? «Si presume che ci sarà un cambiamento negli organismi europei. Ecco, da lì bisogna ripartire e fare in modo che la politica svolga i suoi compiti attraverso l’ascolto e il dialogo. E per riuscirci servono intelligenza e umiltà: così si potrà fare sintesi a un livello alto, che non azzeri le diversità».
Quale riforma ritiene necessaria?
«Quella per una maggiore democrazia. Gli organismi attuali richiedono un aumento di partecipazione democratica da parte dei cittadini europei. Il Parlamento ha meno prerogative della Commissione europea: ma il parlamento è eletto, mentre la Commissione no».
Tre parole chiave vengono usate per parlare di Europa: anima, identità e comunità. Come le lega?
«L’anima è una visione alta dei valori che non mutano. E oggi c’è un’allergia rispetto a tali valori, si tende a non dire che ci siano valori universali, per ogni uomo di ogni tempo, per cui valga la pena anche soffrire. Atene e, inizialmente, anche l’impero romano si basarono su una missione che ha accomunato i cuori, creando ideali che hanno formato un’identità».
Ecco, che cosa pensa dell’identità?
«È fatta di un’anima comune e poi di storie particolari, di tradizioni, di territori. In queste identità particolari ognuno, popoli e singoli, trova la propria casa. Oggi ci sono molti alloggi, ma ci sono poche case: l’alloggio ha un tetto, ma la casa è di più, è un ambiente di vita, in cui ci si trova bene e ci si vuole bene, dove ci si ritrova veramente umani».
Non bisogna essere cittadini del mondo?
«Secondo me è uno slogan un po’ superficiale: se essere “cittadini del mondo” vuol dire non avere casa, allora significa essere dei vagabondi».
Se si esagera con la difesa delle identità non si rischia qualcosa?
«Sì, l’identità può essere malintesa, usata come una clava. Invece deve esser utilizzata bene; bisogna recuperare il concetto di identità, nel senso giusto, senza “ismi” patologici».
Quanto conta la «comunità?
«È il volto storico di un’identità e di un’anima non mercantile, non finanziaria. “Comunità” è parola più appropriata rispetto a “unione”. Può, infatti, esistere un’unione forzata, ma non una comunità forzata, altrimenti non sarebbe tale».
Sovranismi e populismi, da cui recentemente anche il Papa ha messo in guardia: quali pericoli corriamo?
«Uno su tutti: la divisione. E dividersi vuol dire ridursi a essere un mercato a basso prezzo, un mercato esposto ai desideri dei più forti».
Questione migranti: che cosa occorre?
«Mettere a punto una vera politica per le migrazioni, che oggi non esiste. Perché i contributi che l’Europa qua e là attribuisce – penso all’Italia e a qualche altro paese – come anche le quote assegnate a diversi Stati non rappresentano una vera politica migratoria, una politica frutto di un pensiero. C’è, invece, urgenza di una visione molto più ampia e a lungo raggio. Mentre vediamo solo qualche tattica “immediata” per tamponare alcuni fastidi o paure».
Sabato il ministro Salvini ha fatto riferimento agli appelli di papa Francesco all’apertura delle porte e dei porti ai migranti, sostenendo che grazie ai «porti chiusi» i morti in mare sono diminuiti: che cosa pensa di questo e dei fischi della piazza al Papa?
«Mi auguro che il prossimo Parlamento d’Europa affronti il fenomeno migratorio con maggiore prospettiva ed efficacia; a questo proposito il numero di morti in mare è certamente importante, ma tale aspetto deve essere integrato con la considerazione anche di altri fattori. È necessario, infatti, maturare una visione geopolitica umana e condivisa, alla luce dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Il Papa è il successore di San Pietro. Suo compito è confermare la fede e guidare la Chiesa: ricordare che l’accoglienza e l’integrazione sono valori irrinunciabili del Vangelo fa parte del Magistero. Non hanno nessun colore. Io, insieme a tutti i Vescovi e alle comunità cristiane, ringrazio il Santo Padre Francesco per le sue indicazioni umane e pastorali. Siamo tutti con lui».
Domenico Agasso Jr - La Stampa
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