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Bouba, il primo laureato “rifugiato” in Italia

La tesi affronta il tema della migrazione recente dei giovani delle città del Mali

di Antonio Tarallo
Credit Foto - Web

Bakari Coulibaly, per tutti è semplicemente Bouba. Viene dal Mali. È arrivato in Sardegna, ad Alghero, nel 2015, dopo aver lasciato il suo Paese. E’ venuto nel nostro paese, attraverso uno di quei gommoni che tante volte occupano le prime pagine dei giornali, da un po’ di tempo. E’ il primo laureato con protezione internazionale in Italia. Il 17 luglio scorso, ha conseguito all’Università di Sassari, il titolo magistrale in “Pianificazione e politiche per la città, l’ambiente e il paesaggio”, con una tesi dal titolo “La cultura Maliana e gli effetti urbani delle migrazioni”, raggiungendo il massimo dei voti: 110 con lode. Al suo fianco, ha avuto il sostegno, forte, caloroso, di docenti impegnati per i valori del multiculturalismo.

Prima fra tutti, la relatrice della tesi, la professoressa Silvia Serreli, delegata rettorale per le politiche d’integrazione dei migranti e rifugiati. La storia del dottor Bakari Coulibaly (il titolo è d’obbligo, anche perché Bouba era già laureato, nel suo paese, in Antropologia), possiamo ben dirlo, è una specie di favola a lieto fine, quando invece, molte, sono le storie, le speranze di tanti immigrati, che finiscono in tragedia, negli abissi dei mari. E’ lo stesso Coulibaly, a dichiararlo:

“Io, in fondo, sono stato fortunato. Ho incontrato le persone giuste, tutte con una sensibilità stupenda. Ma tanti come me non hanno la stessa opportunità. E tanti non l’avranno. Ed è questo che mi preoccupa molto. Anche se io sto bene, pensando alle persone che invece non riescono a farcela, non posso dire di stare bene veramente”.



Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per porgli alcune domande. L’intervista, alla fine, si è tradotta in un dialogo dove la parola “umanità” è stata al centro di tutta la conversazione. Bouba, un po’ triste, rammaricato, denuncia: “Il mondo non sta andando bene, e questo mi rattrista molto. Se non c’è più solidarietà fra le persone, è segno della fine. Eppure, mi sembra naturale salvare le vite umane. È semplicemente umano, non trovo altro termine. Umano. Prima di tutto è necessario salvarle, poi capire cosa fare. I politici devono comprendere quale è il problema all’origine di queste migrazioni. Dovrebbero andare all’origine, capire da dove partono quelle persone”.

Poi, entriamo, un po’ più in dettaglio sulla sua tesi.



“Cultura Maliana e gli effetti delle migrazioni”, questo il titolo della tesi. Qualche parola su questo argomento…

“La tesi affronta il tema della migrazione recente dei giovani delle città del Mali con un particolare sguardo: capire la cultura abitativa e sociale del Mali, per aiutarci a capire cosa succede nelle città dell’Europa. La mia tesi vuole proporre, infatti, una interpretazione della cultura abitativa dei villaggi e della capitale del Mali, Bamako (dove è importante la figura della concessione ossia lo spazio circoscritto della famiglia allargata), per spiegare come vivono i migranti maliani in Europa e in particolare in Francia (dove sono presenti tre generazioni di migranti a partire dagli anni ‘60) e in Italia (dove la presenza maliana dei migranti è molto più recente)”.



Pensi che questo tuo traguardo possa diventare il seme in alcuni per comprendere meglio il valore della multietnicità?

“Penso e spero che la mia esperienza possa essere di esempio per i giovani migranti che arrivano in Italia disorientati e senza un progetto. In Italia ho capito che la realizzazione dei propri sogni non è solo il risultato di una “integrazione istituzionale”, come – ad esempio – propone la Francia ai miei connazionali, ma la vera integrazione passa attraverso le persone e le loro reti di solidarietà che apprendono reciprocamente i loro mondi culturali”.



Quali sono stati i tuoi sentimenti durante il viaggio per la salvezza, in Italia?

Durante la traversata in mare non ho provato quella che può definirsi “paura”, piuttosto un sentimento forte, predominava durante il viaggio: l’idea di finire in mare il mio percorso di vita, o quello di continuare a sognare. Non ci sono altri pensieri. La paura è arrivata quando sono arrivato nella terraferma, a Cagliari. Quando si è consapevoli dei rischi affrontati.



Tu sei di fede musulmana, conosci la figura di San Francesco che tanto ha operato per il dialogo interreligioso?

No, sinceramente non lo conoscevo. Ma dopo questa intervista sono molto curioso di approfondire questa figura religiosa che rappresenta l’Italia, un Paese che spesso dimostra di essere davvero interculturale. Una figura davvero bella. Ce ne vorrebbero tanti di uomini così, oggi.  In merito, alla fede, in generale, quello che posso dire è che ognuno prende la propria strada. Ma, crediamo tutti nello stesso Dio. Ognuno ha la sua strada che porterà a Lui.



Antonio Tarallo

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