Caritas italiana: i corridoi umanitari sono l'alternativa al traffico di persone
In Italia sono attivi dal 2015 con il contributo decisivo delle strutture ecclesiali.
I corridoi umanitari, in funzione in Italia dal 2015 e ulteriormente accresciuti dall’accordo sottoscritto nel 2017 fra il governo italiano e la Conferenza episcopale, costituiscono la risposta praticabile e legale all’immigrazione irregolare gestita dai trafficanti di esseri umani, garantiscono la protezione dei migranti più vulnerabili in fuga da fame e persecuzioni (migranti forzati) e rendono possibili percorsi di integrazione basati sulla collaborazione fra istituzioni e pezzi di società civile. È questo il dato generale che emerge dal primo «Rapporto» sui corridoi umanitari in Italia dal titolo «Oltre il mare» presentato a Milano all’Università Cattolica.
Lo studio di Caritas italiana passa in rassegna varie altre esperienze internazionali simili a quella italiana e analizza la situazione dei diversi paesi di provenienza e transito di profughi e migranti. Alla promozione e istituzione dei corridoi umanitari in Italia, vie regolate e legali di accesso per i migranti – appunto alternative alle pericolosissime traversate in mare – hanno contribuito, in modo determinante, la Chiesa italiana attraverso la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas, la Fondazione Migrantes e, sul fronte evangelico, la Tavola Valdese. Sul versante politico invece l’intesa del 2017 fu sottoscritta dal governo Gentiloni.
In due anni 500 visti umanitari
Nell’ambito dunque del protocollo sui corridoi umanitari firmato dalla Cei e dalla Comunità di Sant’Egidio, «dal novembre 2017 a gennaio 2019 – si afferma nel Rapporto - sono entrate in Italia con un visto umanitario un totale di 498 persone. Di tutte le persone accolte sono 15 quelle uscite dal progetto prima della sua conclusione, meno del 3%». II programma ha consentito dunque l'arrivo in sicurezza in Italia di quasi 500 richiedenti protezione internazionale, fra cui 106 nuclei familiari, che vivevano nei campi profughi dell'Etiopia, Giordania e in Turchia. Nell’individuazione delle persone che maggiormente hanno bisogno di aiuto e protezione, decisiva è la collaborazione con l’Unhcr, l’Alto Commissariato per i i Rifugiati delle Nazioni Unite.
Ancora, si spiega nella ricerca, i nuovi arrivati, una volta giunti in Italia, hanno trovato accoglienza in 47 Caritas diocesane (fra cui la Caritas ambrosiana, che ha accolto circa 30 persone) e 17 Regioni e 87 Comuni.
Integrazione per combattere l’illegalità
Si è trattato di un'accoglienza impostata secondo un modello che punta a coinvolgere «le diocesi, le famiglie, singoli cittadini, le comunità locali, attraverso la messa a disposizione di vitto, alloggio, corsi di lingua, iscrizione scolastica, dei minori, assistenza sanitaria e psicologica nei casi di vulnerabilità rilevati, assistenza legale amministrativa, avviamento all'inserimento lavorativo». Un complesso e articolato percorso di integrazione che mira a scongiurare la creazione di sacche di irregolarità o di lasciare in un limbo normativo i migranti in attesa che venga definita la loro posizione; è proprio in questo tipo di incertezza infatti che spesso si aprono situazione di illegalità.
Nel complesso, il 97% delle persone arrivate con i corridoi umanitari ha ottenuto lo status di rifugiato e il 3% la protezione sussidiaria, tutti i minori in età scolare sono stati inseriti a scuola e il 30% dei beneficiari ha potuto usufruire di corsi di formazione professionale, 24 migranti hanno già trovato un impiego; non va dimenticato, infine, che «l'esperienza ha coinvolto direttamente, oltre ai beneficiari, 58 famiglie tutor, 574 volontari, 101 operatori». I principali Paesi d’origine dei rifugiati sono Eritrea, Sud Sudan, Somalia, Siria, Iraq. «Fratelli e sorelle di culture diverse» «Oltre al soccorso immediato dei migranti – ha detto nel corso della presentazione del Rapporto l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini - dobbiamo chiederci che tipo di società vogliamo costruire con loro in Italia e in Europa. La Chiesa ambrosiana, con il sinodo Chiesa dalle genti, ha riconosciuto di essere fatta di fratelli e sorelle di culture diverse. Ma sento anche il bisogno che tutti insieme costruiamo un “nuovo noi insieme con loro”».
Sulla stessa lunghezza d’onda Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana, per il quale bisogna domandarsi se vogliamo dare vita a «una comunità che si basa sui muri e i porti chiusi o una che costruisce le condizioni affinché gli altri, i migranti, gli stranieri, non diventino come noi, ma parte di noi. Questa è la sfida culturale che abbiamo voluto cogliere aderendo alla proposta dei corridoi umanitari fattaci dalla Caritas Italiana». Evacuazioni umanitarie dalla Libia Diverso è il caso delle evacuazioni umanitarie, pure descritte dal Rapporto, ovvero degli interventi di emergenza per mettere in salvo migranti che rischiano la vita o si trovano in centri di detenzione dove subiscono trattamenti inumani, come nel caso della Libia.
Si tratta di azioni umanitarie, certamente opportune ma che non consentono di costruire percorsi efficaci di migrazione legale e di integrazione. Dalla fine del 2017, si rileva nella ricerca, dopo la firma degli accordi di partenariato fra Italia e Libia, finalizzati al contenimento dei flussi migratori verso il nostro paese e l‘Europa, l’Unhcr «in accordo con le autorità libiche e nigerine e con quelle dei paesi di destinazione, ha avviato delle operazioni di evacuazione umanitaria dalla Libia di rifugiati e richiedenti asilo vulnerabili, tra cui madri sole con bambini e minori non accompagnati». «Dall’inizio delle operazioni al mese di marzo 2019 – si legge ancora nel Rapporto - su un totale di oltre 57.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati dall’Unhcr in Libia, sono state evacuate dal paese 3.303 persone (inclusi minori non accompagnati), di cui 2.619 in Niger, 415 in Italia e 269 in Romania».
Il rapporto si conclude con una serie di raccomandazioni rivolte all’Ue e con un appello di carattere più generale: «L’esperienza dei corridoi umanitari, del resettlement (reinsediamento, ndr) e delle altre vie legali e sicure di ingresso – si legge - dimostrano come sia possibile accedere alla Protezione Internazionale senza essere costretti a rivolgersi ai trafficanti di esseri umani ed intraprendere così viaggi pericolosi, talvolta mortali».
«Si tratta di programmi umanitari - prosegue il testo - che garantiscono ulteriori opportunità di protezione ai beneficiari e al contempo incentivano le migrazioni legali». Tuttavia «si ravvisa la necessità di incrementarne il numero, e di uniformare le numerose esperienze implementate in vari paesi al fine di evitare confusione tra status e diritti a livello europeo e nei confronti dei beneficiari stessi».
Francesco Peloso - La Stampa
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