Ecco quali sono i maggiori sistemi economici nella storia
Abbiamo bisogno di un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude
di Antonio Tarallo
“Abbiamo bisogno di un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”, così Papa Francesco presenta l’evento sull’Economia che si terrà ad Assisi, nel marzo del prossimo anno. Intanto è tutto pronto per accogliere i laboratori degli studenti universitari di Economia, all’interno del pre-evento “Percorsi di Assisi”, che prenderà il via dal 31 agosto all’8 settembre.
Economia, termine vasto, importante che condiziona la vita dell’intera società del Pianeta. Dall’enciclopedia Treccani: “Complesso delle risorse (terre, materie prime, energie naturali, impianti, denaro, capacità produttiva) e delle attività rivolte alla loro utilizzazione, di una regione, uno Stato, un continente, il mondo intero. Anche uso razionale del denaro e di qualsiasi mezzo limitato, che mira a ottenere il massimo vantaggio a parità di sacrificio o lo stesso risultato con il minimo dispendio”. Questa, la definizione. Semplice e chiara di una “complessa” – appunto per citare l’enciclopedia nostrana – macchina che fa andare avanti il Mondo.
Proveremo a fare un po’ di ordine mentale, diciamo così, su alcune terminologie in cui – inevitabilmente – si rincorre parlando proprio di economia. Dobbiamo premettere che la Storia ci ha presentato diverse “tipologie”, concezioni di intendere l’economia. Queste diverse visioni hanno segnato, nel corso dei secoli, la vita “quotidiana” di uomini e donne. E’ necessario dover ricordare ciò perché – il più delle volte – si corre il rischio di pensare a queste concezioni come un qualcosa di astratto, lontano dalla vita di tutti i giorni. Nulla di più errato.
Pensiero economico liberale (o liberista)
La teoria liberale, o liberista, nasce nel XVIII secolo. Teoria nata dalla mente di Adam Smith, filosofo ed economista scozzese, nato a Kirkcaldy, il 5 giugno 1723 e morta a Edimburgo, il 17 luglio 1790. All’inizio del secolo scorso il sistema è stato adottato in quasi tutta l’Europa, per poi essere abbandonato, tra il 1860 e il 1870, dai paesi continentali che, affacciandosi sulla scena dell’economia mondiale, rischiavano di essere danneggiati dal principio. A rendersi promotori di tale abbandono sono stati principalmente i protezionisti ovvero coloro i quali sostenevano che il libero scambio tra un paese ricco e uno povero avrebbe inevitabilmente condotto il secondo alla rovina. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le spese belliche condussero ad un intervento pubblico, sempre più esteso, nell’economia dei paesi coinvolti.
Il commercio internazionale fu sottoposto a vincoli e controlli per cui tutti i tentativi di ripristinare il liberismo, alla fine del conflitto, naufragarono. Ma la visione liberista si riaffacciò nella Storia dell’Economia, dopo la fine del secondo conflitto mondiale. E’ il neo-liberismo. Ovvero, un sistema impostato su una nuova matrice che sosteneva l’intervento dello Stato soltanto nei casi di evidente ed estrema difficoltà del mercato. Il neoliberismo si impose soprattutto nell’ambito dei rapporti commerciali internazionali, nello specifico, favorendo accordi multilaterali basati sul libero scambio e sull’eliminazione dei dazi doganali.
Ma cosa prevedeva la teoria economica liberale di Smith? Partiamo dall’asserzione che un ordine economico può realizzarsi soltanto attraverso il libero svolgimento di attività individuali. Alla base della teoria si pone l’inalienabile diritto di libertà dell’uomo, che dalla sfera individuale si estende progressivamente anche agli altri campi, tra cui quello economico. Tre sono i principi fondamentali della filosofia liberista: 1) Libera iniziativa privata; 2) Equilibrio del mercato; 3) Esclusione dello Stato. Il primo punto si basa sul presupposto che ogni individuo è libero di intraprendere iniziative di tipo economico.
Da un lato si pone la libertà dell’imprenditore di decidere autonomamente cosa, quanto e come produrre mentre dall’altro si pone la libertà dei consumatori di scegliere quali prodotti acquistare tra quelli presenti sul mercato. Rientra nella libertà di iniziativa anche la proprietà dei mezzi di produzione. Il punto secondo sostiene che l’equilibrio del mercato si determina in maniera spontanea dal momento che la domanda assorbe sempre l’offerta. L’ultimo, concentra l’attenzione sull’esclusione dell’intervento dello Stato dalla vita economica del paese; la presenza statale rappresenta un limite concreto all’iniziativa privata, e di conseguenza anche un freno allo sviluppo economico.
Economia Marxista, Il Capitale
Un nome, un libro. Questi, gli elementi per spiegare il concetto comunista di economia. Il nome è Karl Marx, sociologo storico ed economista tedesco (1818-1883). Il libro? “Il capitale”, il cui sottotitolo “Critica dell'economia politica”, evidenzia chiaramente la contrapposizione esplicita di Marx all'economia politica di stampo liberista all'epoca dominante. A questo importante nome della Storia, è necessario – però – aggiungere un altro altrettanto importante: Friedrich Engels (1820-1895), altro filosofo socialista e rivoluzionario, con cui collaborò per quasi 40 anni. Arriviamo così, al famigerato “Manifesto del partito comunista” (1848), scritto dai due filosofi. Il testo immagina un futuro in cui i mezzi di produzione industriale (miniere, fabbriche, ferrovie, etc.) sono di proprietà pubblica e collettiva, e vengono utilizzati a vantaggio di tutti. Il materialismo storico di Marx è la prima base teorica dell’economia comunista, o meglio, dell’intero comunismo stesso. Si tratta di un modo particolare di vedere non soltanto il passato, ma anche il futuro.
Secondo Marx, alla base di qualunque attività umana vi sono i mezzi materiali di sussistenza: cibo, acqua, vestiti, case. Per produrre questi, occorrono – in primo luogo – materiali e strumenti, e poi persone in grado di trasformare questi materiali e strumenti. Sono i “lavoratori”. Per Marx, i tempi erano maturi per una nuova rivoluzione del proletariato, che avrebbe rimpiazzato il capitalismo con il comunismo. Questo perché, come osservavano Marx ed Engels, la ricchezza non era distribuita in modo equo. La teoria parte “da lontano”, prendendo in esame tre momenti storici che – secondo il pensatore tedesco – si sono susseguiti (con evidente “lotta di classi”: l’età antica (schiavismo), il Medioevo (feudalesimo) e l’età moderna (capitalismo). Per Marx ed Engels, i capitalisti pagavano i lavoratori in modo non appropriato in base alla loro prestazione di lavoro, acquisendone, così, tutti i profitti. In questo modo, i capitalisti accumulavano ricchezze che gli permettevano di controllare i governi, mentre il proletariato si impoveriva, accecato dalle ideologie proposte dalla classe dominante, e condannato all’alienazione.
Questa – era per Marx – la “molla” scatenante per una futura rivoluzione di classe. I proletari si sarebbero appropriati dei mezzi di produzione e delle istituzioni statali, avviando una fase intermedia che Marx chiamava “la dittatura del proletariato”. Dopo questa fase, il proletariato avrebbe difeso la rivoluzione dai tentativi controrivoluzionari dei borghesi. Il risultato? Niente stato, ma soltanto una società veramente comunista, priva dello stato stesso e di classi. In sintesi, economia comunista: sistema economico basato essenzialmente sull'abolizione della proprietà privata e della libera concorrenza, sostituita dalla proprietà statale o collettiva dei mezzi di produzione e dalla pianificazione economica.
Sistema di economia mista
Il sistema di economia mista è basato sull'iniziativa privata e sul contemporaneo intervento dello Stato nella vita economica. Allo Stato spetta il ruolo di coordinare l'economia nazionale. Un sistema di economia mista è caratterizzato dalla presenza di un vasto settore pubblico che ha come obiettivi la riduzione della disoccupazione, l'offerta sul mercato di prodotti di particolare importanza a prezzi contenuti, la lotta ai privilegi spettanti ad alcuni gruppi privati. Lo Stato interviene in modo da risolvere i problemi della produzione e del consumo. I rapporti tra imprenditori e lavoratori sono disciplinati da una normativa che tutela i lavoratori poiché essi rappresentano la classe dotata di minore potere contrattuale.Dopo la seconda guerra mondiale, la maggior parte dei paesi occidentali, soprattutto quelli industrializzati, hanno accolto principi interventisti e si sono creati dei presupposti per un nuovo sistema economico.
I Tempi di oggi ci stanno indicando nuove risorse, sempre più in via di espansione e di influenza nella nostra vita. Quella di tutti i giorni. Stiamo parlando soprattutto delle nuove tecnologie che se da una parte – ovviamente – contribuiscono a uno sviluppo dell’economia (soprattutto a livello globale, o “globalizzato”) verso nuovi orizzonti, dall’altro pone delle questioni preoccupanti per le “forze lavoro”.
Antonio Tarallo
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