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Enrico Magrelli: 'Il cinema per contribuire a migliorare il tessuto sociale'

Il cinema come specchio della società

di Domenico Marcella

Al di là dei generi narrativi e delle differenti sensibilità autoriali, spesso nel cinema si riscontra un filo rosso trasversale, in cui traspare la sensazione di uno spirito del tempo. Ne parliamo con il critico cinematografico Enrico Magrelli, raggiunto alla Festa del Cinema di Roma.

Il cinema viene spesso utilizzato come specchio sociale e culturale per riflettere tutto ciò che è in atto nella società.

«Riprodurre e portare sullo schermo frammenti di vita reale è sempre stata una delle priorità del cinema, già dalla cosiddetta “Linea Lumière” delle origini. Il cinema non è soltanto specchio che riflette, ma anche spugna che assorbe, e buco nero che risucchia. Sono d’accordo con Francesco Casetti – critico cinematografico e docente di Media Studies presso l’Università di Yale – che in un saggio di qualche anno fa ha definito il cinema “L’occhio del Novecento”, e in parte anche di questo Millennio. Il cinema ha da sempre provato a raccontare tutto ciò che poteva accaderci all’esterno o – nei casi più interessanti – all’interno delle nostre emozioni, delle nostre paure e delle nostre credenze. Sicuramente, così come evolve il cinema evolvono gli esseri umani e la società».

Uno dei casi più eclatanti è la produzione a cavallo del 1968, ‘ché ha posto l’accento sull’elemento contestatario e sull’antimilitarismo, ispirando profondamente i giovani.

«Il cinema ha proprio questo di straordinario; molto spesso riesce a condizionare alcune cose che poi accadono sulla società, grazie alla sensibilità di alcuni registi e di alcuni autori che riescono a captare. Pensiamo a Marco Ferreri. Tutti i suoi film hanno giocato d’anticipo. Alcune pellicole statunitensi sulla contestazione del Sessantotto sono divenute momenti di conferma dell’inquietudine in cui poi si è avvalorata la voglia di ribellione, creando anche delle piccole mitologie».

A proposito di inquietudine. “Joker”, Leone d’oro a Venezia e campione di incassi, è un ritratto a tratti grotteschi del malessere contemporaneo.

«In questo momento non prevale una new-deal che comporti un cambiamento culturale-economico-sociale, ma una profonda insoddisfazione. La realtà nella quale ci muoviamo è molto più ingrata e molto meno patinata di quanto si voglia far credere. “Joker” racconta prima di tutto la storia di un disagio mentale, scandito da un’infanzia devastata da dolori, perdite e mancanze; non è soltanto l’apologia di un antieroe dei fumetti, che diventerà una figura pericolosa. Guardando alla realtà contemporanea, si ha la sensazione della fatica collettiva a ritrovare – giorno dopo giorno – l’equilibrio. Abbiamo così difficoltà a rispondere a una serie di domande esistenziali. Questo spiega il successo così ribadito di “Joker”. Ci sono molti film, che vincono Palme e Leoni, ignorati dal pubblico. Questa pellicola è riuscita a entrare in sintonia con il disagio sociale contemporaneo. Va detto, inoltre, che intorno a “Joker” sono nate moltissime preoccupazioni, sopratutto negli Stati Uniti, in cui accadono fatti di violenza inaccettabile. Purtroppo il mondo è molto più pericoloso di quanto possa esserlo un film».

Sono le stesse preoccupazioni che accompagnano la messa in onda di alcune serie televisive. Perché si fatica a identificare l’origine del malessere?

«Perché, banalmente, se aumentano le aggressioni, è più facile dare la colpa a un film o a una serie televisiva. Se così realmente fosse, dovremmo cancellare il 40% della storia del cinema, dove al centro dei film ci sono delle figure negative, malefiche, pericolose che non vincono quasi mai perché vengono uccise o finiscono in carcere o vivono una condizione di paura profonda. Bisognerebbe identificare l’origine del malessere, fornendo alle persone che rischiano di finire in una zona d’ombra degli aiuti concreti: scuola, lavoro, stipendi adeguati e garanzie sociali. Non è facile per alcun progetto di Governo, ma bisogna concentrarsi su questo, e non – di volta in volta – dare la colpa a un film o a una serie televisiva, così come è accaduto qualche anno fa, dopo l’ondata dei Kun-fu movie. Sicuramente, va detto, possono avere delle influenze negative su persone che sono già destabilizzate per ben altri motivi».

Enrico, un film che possa influenzarci tutti, come un balsamo guaritore?

«Tantissimi… Mi però sento di consigliare “C’eravamo tanto amati “ di Ettore Scola, perché contiene un pezzo importante della storia del nostro Paese, fatto da persone, idee e politica. Non è un film consolatorio, non accarezza col guanto di velluto, ma spinge a guardare il mondo con occhi diversi, per contribuire a migliorare il tessuto sociale presente fuori dalla sala cinematografica».


Domenico Marcella

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