Frati Assisi: Basilica San Francesco a 20 anni dalla riapertura l'ultima utopia di Assisi
Ricomporre gli 80mila frammenti del Cimabue crollati con il terremoto del '97
di Roberto PacilioFrati Assisi: L’operazione di restauro, fu definita dal New York Times: «Modello di velocità e cooperazione quasi superumana».
Di quell'impensabile “cantiere dell'utopia” - allestito per curare e mettere in sicurezza la Basilica di San Francesco di Assisi, colpita dal terremoto del 26 settembre 1997 - resta da completare l'ultimo tassello, il più difficile e complesso degli interventi: ricostruire la vela di San Matteo di Cimabue, un affresco di 50 metri quadrati, con i suoi autentici frammenti, migliaia di minuscoli pezzi nei quali si è sbriciolata dopo essersi schiantata da un'altezza di una ventina di metri sopra l'altare Papale della Basilica superiore. Si tratta di un'impresa molto difficile, ma non impossibile, secondo Sergio Fusetti, capo restauratore della Basilica: «Ci sono 80mila frammenti, quasi microscopici, da 0,5 a due centimetri, e c'è l'immagine precisa di quella vela, che venne fotografata proprio qualche giorno prima del sisma del '97, in una mappatura dei circa 10.000 metri quadrati di affreschi dell'intero complesso monumentale. Ora ci vorrebbe un software 'ad hoc', un algoritmo speciale per mettere ogni frammento al posto giusto, in un puzzle avvincente ed emozionante».
I frammenti, scannerizzati e catalogati, sono custoditi da 22 anni, divisi in 800 cassette numerate, in un caveau segreto del Sacro Convento di Assisi in attesa di tornare al loro posto. Quel terribile terremoto delle 11.40, di magnitudo 5.8, fece crollare e frantumare due volte dipinte da Giotto e Cimabue. Ci vollero 502 volontari, 50 restauratori e sei anni di lavoro per rimettere al loro posto 220mila dei 300mila pezzi di affresco ritrovati e recuperati sotto tonnellate di macerie e detriti della Basilica superiore.
Sergio Fusetti nel caveau della Basilica di San Francesco d’Assisi
IL CANTIERE DELL’UTOPIA E LA RIAPERTURA
La prima missione di quel “cantiere dell'utopia” - guidato da Antonio Paolucci, storico dell'arte, già Ministro dei beni culturali nel governo Dini, nominato commissario straordinario per la Basilica di San Francesco dal governo Prodi, il giorno dopo il terremoto - fu di mettere in sicurezza l'intero complesso monumentale, formato dalla Basilica e dall'annesso Sacro Convento, che era stato fortemente lesionato in più punti dal sisma e che continuò ad essere bersaglio di uno sciame sismico che durò fino al maggio del '98, con circa 13mila scosse di varia intensità. L’operazione di restauro, durata solo due anni, fu definita dal New York Times: «Modello di velocità e cooperazione quasi superumana». Il 28 novembre del ’99, il cardinale Angelo Sodano e l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, “riaprirono” le porte della Basilica.
Di quel terremoto del 26 settembre restano indelebili le immagini del crollo delle volte, riprese da una tv privata: due squarci di un centinaio di metri quadrati ciascuno, uno sopra l'altare Papale e uno vicino all'ingresso della chiesa superiore. Nel crollo vennero travolti e uccisi due frati e due tecnici della Sovrintendenza ai beni culturali dell'Umbria che partecipavano ad un sopralluogo organizzato per verificare i danni provocati dalla scossa avvenuta qualche ora prima, nella notte, alle 2.33.
La Basilica Superiore di San Francesco e le macerie delle vele di Giotto e Cimabue
OPERAZIONE ALLA JAMES BOND PER SALVARE TIMPANO E BASILICA INFERIORE
Il sisma lesionò in modo profondo diversi luoghi del Convento - fra i quali l'appartamento Papale, il refettorio, le celle dei frati - mettendone a rischio la stabilità e quasi staccando dai muri maestri il timpano di sinistra della Basilica superiore: una muraglia alta otto metri, larga diciassette, dello spessore di un metro, per un peso complessivo di mille quintali. Per bloccarne la caduta sopra il transetto di sinistra della Basilica inferiore, venti metri più sotto - che ospita vetrate gotiche e i dipinti di Lorenzetti - e che sarebbe stata devastante per l'intera struttura, fu messa in piedi una operazione "alla James Bond", come la chiamò il professor Paolucci: una gru calò un’altra gru di 42 tonnellate nel piazzale del Sacro Convento, quest’ultima con il suo braccio di una cinquantina di metri bloccò il timpano pericolante con una controforma metallica. L'intervento avvenne alle 12.20 del 14 ottobre davanti agli occhi e alle telecamere di un centinaio di giornalisti, giunti ad Assisi da tutto il mondo, che seguiva da giorni, con il fiato sospeso, la lotta della Basilica per sopravvivere al terremoto. Quello stesso giorno, alle 17.25, un'altra forte scossa colpì Foligno - facendo crollare il cupolino in cima alla torre campanaria del Palazzo comunale - e Assisi: senza quella gabbia metallica, posta cinque ore prima, il timpano della Basilica sarebbe crollato. «Il dispiacere per la morte del cupolino - ha ricordato Paolucci nel libro del 2007 'Restauri in San Francesco ad Assisi' - fu mitigato dal sollievo, perché quella micidiale scossa non aveva potuto fare nulla contro il timpano della Basilica».
Posizionamento della gru e della gabbia metallica nel chiostro del Sacro Convento
IL VOLONTARIO E LA RICOMPOSIZIONE DEL PUZZLE
Contemporaneamente agli interventi di messa in sicurezza delle volte della Basilica superiore e dell'intero complesso monumentale stava andando avanti il lavoro di raccolta e selezione dei circa 300mila frammenti delle vele crollate. Vi erano impegnati centinaia di giovani volontari, guidati dai tecnici dell'Istituto Centrale per il Restauro, attenti a recuperare fra i detriti anche i più piccoli frammenti di intonaco colorato. «Facevamo un lavoro di primo vaglio dei materiali posti nelle cassette. Tonnellate di detriti da dividere e separare tra calcinacci e affreschi. C’è stato un momento – racconta Lorenzo Dell’Aquila, volontario romano - che ci ha dato la forza di andare avanti ed è stato quando abbiamo ritrovato un occhio perfettamente integro. Era quello di San Rufino, il patrono di Assisi. Questo ci spinse a non mollare e a continuare il nostro puzzle».
Restauratori ricompongono frammenti degli affreschi della Basilica Superiore
FAR DIVENTARE REALE IL VIRTUALE
Alla fine è stato possibile ricomporre l’80 per cento della vela di Giotto e delle figure dei santi che si trovavano sulla volta crollata all'ingresso della Basilica. Resta il San Matteo di Cimabue, ora disperso in 80mila frammenti reali, archiviati e numerati anche digitalmente, che costituiscono un archivio virtuale. È l'ultima scommessa del “cantiere dell'utopia”: far diventare reale il virtuale, ricomporre l'affresco nella volta sopra l'altare Papale, dove Cimabue lo dipinse alla fine del '200.
Roberto Pacilio
Redazione online
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