Pedofilia, Giansoldati: La Chiesa è ancora capace di auto-rigenerarsi?
di Franca Giansoldati
Il test è decisivo. Dalla buona riuscita del summit sulla pedofilia dipenderà non tanto la tenuta del pontificato in corso, piuttosto la credibilità della Chiesa nel suo insieme. Si saprà se la montagna ha partorito un topolino o se la Chiesa è ancora in grado di dare risposte globali, ferme e trasparenti ad un crimine reiteratamente condannato ma non sempre perseguito con il medesimo rigore. L’immagine attuale è decisamente un po’ appannata perché finora ha faticato a fare pulizia al suo interno. La Chiesa è ancora capace di auto-rigenerarsi?
Gli esperti che in questi decenni hanno lavorato per il cammino di avvicinamento delle vittime rilevano ancora zone grigie. Troppe. Spesso - nei fatti di cronaca, legati a processi nei tribunali civili – sono affiorate resistenze da parte delle istituzioni ecclesiastiche. Difficoltà a rovesciare un modo di fare teso a privilegiare l’istituzione nel suo complesso, proteggere il suo buon nome, rispetto alla doverosa tutela delle persone, delle vittime coinvolte. Il percorso compiuto dalla Santa Sede, a livello normativo, è iniziato faticosamente verso la fine del pontificato di Papa Wojtyla, poi ha avuto una accelerata con Benedetto XVI e con Francesco sono state inasprite molte pene.
Attualmente, in Vaticano, le leggi risultano più severe di quelle italiane. Tuttavia, la mancanza di coerenza e di omogeneità nell’affrontare il fenomeno resta ancora un problema centrale: come recuperare la credibilità messa in discussione da tanti casi insabbiati? Vi sono conferenze episcopali che in questi anni hanno avuto il coraggio di applicare codici severi, controlli rigorosi nei seminari, ascolti sistematici delle vittime attraverso un lavoro di equipe trasparente, informando l’opinione pubblica, senza alcun timore. Negli Stati Uniti, per esempio, in Germania, in Austria, in Francia, in Belgio, in Olanda. In questi paesi sono stati anche pubblicati elenchi, statistiche sul fenomeno, e gli archivi sono stati messi a disposizione delle autorità civili. In altri paesi, invece, il cammino è in salita. Il caso italiano, per esempio, mostra parecchie lacune e c’è da sperare che il summit possa aiutare i vescovi a rendere omogenea e condivisa la lotta agli abusi, lasciando da parte quella certa vecchia tendenza ad applicare la misericordia verso gli orchi.
Ci si chiede perché l’Italia non dispone ancora di numeri, di statistiche, di un elenco dei preti condannati dalla Congregazione della Dottrina della Fede? Quanti sono finora i preti che sono stati dimessi dallo stato clericale? Perché le statistiche relative ai preti pedofili riguardano solo i tribunali italiani ma non si sa nulla di quelli condannati in Vaticano? In Italia i vescovi e i preti non hanno di certo l’obbligo di collaborare con polizia e carabinieri o con i magistrati. Sul caso italiano, poi, pesa come un macigno quell’articolo dei Patti Lateranensi, recepito anche nell’accordo di revisione firmato nel 1984, che dà la possibilità ai vescovi di essere informati dalle autorità civili sulle indagini in corso riguardanti il clero. Come si vede, il cammino per la lotta agli abusi, è ancora lungo, e dovrebbe prevedere anche la fine di certi privilegi.
Naturalmente le regole dovrebbero valere per tutte le regioni del mondo, Vaticano compreso. Con una battuta monsignor Charles Scicluna – uno degli organizzatori del summit - due giorni fa, ha fatto capire che la musica dovrebbe cambiare anche al di là del Tevere quando ha detto che in Vaticano si fanno le leggi ma solo per essere applicate altrove. La credibilità della Chiesa passa anche da come verrà curato un certo strabismo.
Franca Giansoldati – Vaticanista de Il Messaggero
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