Giornata mondiale disturbi alimentari
Queste patologie riguardano ormai più di 60 milioni di persone nel mondo
di Claudia Valenti
Una giornata organizzata per lottare insieme contro i Disturbi del Comportamento Alimentare (Dca). Una comunità mondiale, che si raccoglie virtualmente, per portare all’attenzione di tutti, delle persone, così come dei governi, un problema che si sta diffondendo come un’epidemia e che sta diventando gravissimo. “Queste patologie riguardano ormai più di 60 milioni di persone nel mondo – spiega a Vatican News Stefano Tavilla, presidente dell’associazione “Mi Nutro di Vita” e membro per l’Italia del Comitato direttivo della Giornata – e interessano fasce di età sempre più basse”.
La Giornata mondiale contro i Dca
“Non possiamo più aspettare – afferma Tavilla, richiamando lo slogan della Giornata 2019 – perché queste malattie hanno un tasso di mortalità altissimo”. Numerose le iniziative sparse per il mondo, finalizzate a diffondere una più ampia e corretta informazione sul tema dei disturbi alimentari, a sfatarne i miti e a proporre ricerche cliniche e politiche di governo, che possano agevolare i percorsi di cura. Per l’occasione di quest’anno, l’appuntamento italiano è stato gestito dalla Società Italiana di Educazione Terapeutica (Siet) e dalla Società Italiana per lo Studio dei disturbi del comportamento alimentare (Sisdca), che hanno organizzato un incontro di approfondimento sul tema “alimentazione e social network” presso la Sala del Parlamentino a Roma.
I Dca come ossessione per l’aspetto estetico
In questa fase storica l’alimentazione è diventata un tema estremamente importante: si parla continuamente di cibo, di ricette, ma anche di diete, sport e altre modalità per perdere peso. C’è un’offerta di cibo esagerata e una diffusa ossessione per la magrezza, che è diventata un valore assoluto di bellezza. Per questo molti dei disagi psicologi trovano sfogo in questo genere di patologie. “C’è sicuramente un contributo legato alle mode e agli stereotipi estetici che ci siamo dati - sostiene Tavilla - ma questo non basta per sviluppare un disturbo del comportamento alimentare”. I social network, ad esempio, possono rappresentare un’influenza fortissima e possono prolungare il tempo di permanenza nella malattia. Ma sicuramente non sono la causa che scatena la malattia.
Cosa sono i Dca
I disturbi del comportamento alimentare infatti non sono legati solamente all’aspetto estetico: quello che succede fuori è solo il sintomo di qualcosa che succede dentro. I Dca sono delle gravi patologie psichiatriche, causate da un’alterazione mentale dello schema corporeo: le persone che ne soffrono, si percepiscono diverse da quello che sono realmente, in una sorta di allucinazione perenne, e questo le porta a mangiare in modo sbagliato. Anoressia, bulimia, obesità, binge eating, sono le differenti forme che assume il disturbo. C’è chi mangia troppo, chi per nulla e chi invece mangia male. “Queste malattie nascono da disagi profondi e sofferenze interiori” spiega Tavilla. Eppure in molti pensano ancora che siano mode, capricci o atteggiamenti. “Questi sono retaggi del passato, che andrebbero scardinati”, aggiunge. L’alimentazione infatti è il primo rapporto che l’essere umano ha con il mondo: un rapporto fondamentale, che lo porta a comprendere l’esistenza delle emozioni. E avere un problema con il cibo non significa quindi essere soltanto ossessionati dalla propria immagine o dalla propria forma fisica, ma significa avere un grave problema con le proprie emozioni.
La cura di un Dca
Quando si soffre di un disturbo del comportamento alimentare bisognerebbe subito chiedere aiuto. “Questa è la prima cosa da fare – sostiene Tavilla - e dovrebbe farla sia chi soffre di un Dca, sia la famiglia che è intorno al malato. Perché la famiglia è malata e soffre allo stesso modo”. Ne è consapevole lui, che si è trovato ad affrontare la malattia di sua figlia Giulia, che purtroppo è scomparsa a un passo dal ricovero. In suo nome, Stefano Tavilla ha fondato l’associazione “Mi Nutro di Vita”, che si occupa di fare informazione e di creare reti di collaborazione e confronto sui disturbi dell’alimentazione. Di associazioni come la sua ce ne sono molte in Italia, che affiancano quotidianamente il lavoro svolto da ospedali e ambulatori, pubblici e privati, per aiutare i pazienti nel loro percorso di guarigione.
La disuguaglianza regionale nell’assistenza sanitaria
“Il Servizio Sanitario Nazionale offre servizi adeguati, ma in modo davvero disomogeneo sul territorio italiano” afferma Tavilla. Ci sono infatti alcune regioni in cui il Servizio Sanitario funziona e offre la giusta assistenza; ma ce ne sono altre che risultano addirittura prive di strutture. I livelli di assistenza per un disturbo del comportamento alimentare sarebbero cinque: vanno dal medico di base, all’ambulatorio, al day hospital, alla residenza, fino all’ospedale, quando vi è il bisogno di un ricovero salva-vita. Ogni livello di assistenza risulta fondamentale in un percorso di guarigione e sarebbe importante che ogni regione li avesse tutti a disposizione. Questo però in Italia non succede e regioni come la Calabria, la Puglia, la Sardegna, la Sicilia si trovano prive di un servizio sanitario adeguato. Lì chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare è costretto a mettersi in lista d’attesa per essere curato altrove, in un’altra regione, e in seguito è obbligato a spostarsi, con i costi e tutte le conseguenze che un trasferimento comporta. Una situazione del genere crea numerosi disagi sia ai pazienti che alle loro famiglie, che non dispongono dell’aiuto necessario.
Il Codice Lilla
Il Ministero della Salute si sta adoperando per trovare delle soluzioni. E, fra le altre cose, ha recentemente ha ideato il cosiddetto Codice Lilla, un nuovo percorso di cura e accoglienza, dedicato ai pazienti affetti da Dca, per aprire nel pronto soccorso un canale di accesso preferenziale ad una terapia corretta e mirata. Si tratterebbe di un iter specifico per aiutare gli operatori sanitari innanzitutto a riconoscere, e quindi diagnosticare, e in seguito ad affrontare i disturbi legati all’alimentazione. “Nelle intenzioni il Codice Lilla potrebbe rappresentare una giusta iniziativa – dice Tavilla - perché chi ha questo tipo di malattia deve poter incontrare delle persone che siano formate a riconoscerla”. “Il problema – aggiunge - è che tutto questo purtroppo rimane ancora solo nelle intenzioni”. VATICAN NEWS
Claudia Valenti
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