Il capodoglio spiaggiato a Porto Cervo muore con un feto, ucciso da chili di plastica (VIDEO)
Il gigante del mare è stato trovato in baia in Sardegna. La plastica avrebbe causato anche la morte del feto.
Se avesse avuto il senso del gusto, il capodoglio di Cala Romantica si sarebbe reso conto di aver ingerito un’enorme quantità di porcherie prodotte dall’uomo. Invece, tutta quella plastica l’ha ingoiata credendo di aver mandato giù la dose quotidiana di cibo. Nel corso delle grandi nuotate ha divorato chili e chili di plastica e nel giro di qualche anno tutta quella poltiglia gli ha intasato lo stomaco.
Una specie di polpetta avvelenata che pesava più di 22 chili e che di fatto gli ha impedito di nutrirsi e sopravvivere. Ma anche di riprodursi, perché la drammatica scoperta fatta dai veterinari dell’Università di Padova è che il gigante degli abissi trovato morto nei giorni scorsi in Sardegna aveva in pancia un feto di quasi tre metri. Mancano altri due esemplari, dunque, nella famiglia dei cetacei del Mar Mediterraneo: sono già pochi, anzi sempre di meno, e l’inquinamento rischia in pochi anni di decimare la popolazione.
La prima idea sulla morte del capodoglio, ritrovato giovedì mattina in una delle spiagge più riparate della Costa Smeralda, era sbagliata. Forse era un’illusione.
Qualcuno, infatti, credeva che quel gigante del mare si fosse scontrato con una nave o con uno dei grandi yacht che proprio in questo periodo cominciano a far rotta verso il Nord della Sardegna. Invece, la storia di questo cetaceo, una femmina di oltre 8 metri e 7 tonnellate, già in fase matura, è un monito per il rispetto dell’ambiente. Perché dimostra con chiarezza che l’allarme lanciato continuamente dagli scienziati non è infondato: la plastica ha invaso i mari, distrugge l’habitat e attraverso i pesci rischiamo di portarcela in tavola.
«È la prima volta che ci ritroviamo di fronte a un animale che aveva ingerito una quantità così grande di rifiuti - racconta Cinzia Centelleghe, componente dell’equipe dell’Università di Padova che sta svolgendo i primi studi sull’ultima vittima dell’inquinamento -. Nello stomaco abbiamo trovato piatti, lenze, un sacchetto di detersivo con la marca ancora ben leggibile, ma anche una rete da pesca, sacchetti e teli vari».
Tutta quella plastica, il capodoglio della Costa Smeralda l’ha ingoiata mentre cercava del cibo. A millecinquecento metri di profondità, probabilmente nel grande canyon di Caprera, dove i cetacei passano gran parte della loro vita: si nutrono, si riproducono e proteggono i loro figli più piccoli.
Non si rendono conto che il pericolo invisibile è arrivato fin lì, nel cuore del parco nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, al centro del santuario Pelagos, un triangolo di mare tra Francia e Italia, che dovrebbe essere l’oasi più sicura per delfini, balene, ma anche globicefali e grampi.
Nella ricerca affannosa di calamari di cui nutrirsi, spiegano i biologi, il povero capodoglio di Cala Romantica è incappato in quello che insieme all’inquinamento sonoro si può considerare il più grande pericolo per i cetacei. Ma anche per le caretta-caretta, visto che proprio nel fine settimana altre due tartarughe che non riuscivano più a reimmergersi in acqua sono state salvate dalla Guardia costiera al largo del Sud Sardegna. Nelle acque del Mediterraneo, secondo l’ultimo studio del Wwf, ci sono più di un milione di frammenti di plastica per chilometro quadrato.
E circa 10 mila sono già sedimentati. «Abbiamo usato in un modo spensierato la comodità dell’usa-e-getta in questi anni ed oggi ne stiamo pagando le conseguenze, anzi le stanno pagando soprattutto gli animali - commenta il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa - Il disegno di legge #SalvaMare che arriverà al Consiglio dei ministri nei prossimi giorni, aiuterà queste creature marine perché troveranno molta meno plastica nei mari e potranno avere l’aiuto dei pescatori che potranno portare a riva tutti i rifiuti raccolti. In attesa dello stop definitivo all’usa e getta, invito i sindaci a vietare l’uso della plastica nei loro territori».
La storia drammatica del capodoglio di Cala Romantica è in parte ancora da scrivere. I primi accertamenti hanno dimostrato che quel mix di rifiuti aveva riempito ben due terzi del suo stomaco e che la parte restante era intasata da becchi di calamari. Anche questa, spiegano i biologi, è un’anomalia: l’animale, infatti, non è riuscito a digerire neanche quello che dovrebbe essere il suo cibo abituale e questa potrebbe essere una concausa della grande presenza di plastica. Conclusi gli accertamenti, i ricercatori dell’associazione Sea Me sperano che lo scheletro del gigante di Cala Romantica finisca in un museo e che diventi il simbolo dell’emergenza ambientale del Mediterraneo: «Questa drammatica esperienza - dice la biologa Mattia Leone - ci deve essere utile per raccontare alla popolazione e anche ai turisti quanto sia importante, e urgente, adottare uno stile di vita sostenibile e avere rispetto del mare».
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Nicola Pinna - La Stampa
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