Il Cinema che racconta il dramma della Shoah
Questa, l’origine di quella che conosciamo, da tempo, come “Giornata della memoria”
di Antonio TaralloEra il 27 gennaio del 1945, quando vennero abbattuti i cancelli del tragico campo di sterminio nazista di Auschwitz. Questa, l’origine di quella che conosciamo, da tempo, come “Giornata della memoria”. E la memoria, si sa, ha bisogno sempre di testimonianze, di ricordi, di immagini. Di immagini, appunto. E se parliamo di queste, il “salto” nel mondo del cinema, è assai veloce e naturale. Dai fratelli Lumiere, inventori della settima arte, il Cinema vive di immagini, di storie, di racconti. E, nel corso della sua storia, più volte, ha concentrato l’attenzione sul genocidio ebraico. Autori, registi, attori, da quando l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata sulla Shoah, si sono più volte cimentati nel racconto dell’immensa tragedia vissuta dal popolo ebraico. Così facendo, appunto, sono riusciti – chi in una maniera, chi in un’altra; chi bene, chi male – a perpetuare una memoria che non deve essere mai dimenticata.
I “racconti filmici” – in questo caso è necessario alquanto indicare il termine “racconto” – sono stati tanti, anzi tantissimi. In una certa maniera, seppur con le necessarie e rispettose differenze, forse, potremmo iniziare questo viaggio, da una sorta di film-documentario che ha aperto il “filone cinematografico sulla Shoah”: il processo di Norimberga. E non parliamo di finzione, in questo caso. La pellicola del processo fu girata proprio durante la famosa sessione giudiziaria che vedeva imputati ventidue carnefici nazisti del regime di Hitler. Da questo avvenimento saranno, in seguito, e veniamo ai giorni d’oggi, prodotti ben tre film.
Il primo, “Vincitori e vinti” (Judgment at Nuremberg) è un film del 1961 diretto e prodotto da Stanley Kramer. La pellicola tratta del terzo processo di Norimberga. Il secondo “movie”, una miniserie televisiva del 2000, del regista Yves Simoneau, tratta dal libro “Nuremberg: Infamy on Trial” scritto da Joseph E. Persico nel 1994. Tra gli interpreti figurano Alec Baldwin, Jill Hennessy, Michael Ironside e Brian Cox nel ruolo del comandante nazista Hermann Göring, ruolo che valse all'attore un premio Emmy come miglior attore non protagonista. E, in ultimo, il terzo film, “Eichmann show”, del 2007 diretto da Robert Young. La storia tratta dell'interrogatorio ufficiale del gerarca nazista Adolf Eichmann, tenutosi in Israele tra la seconda metà del 1960 e l'inizio del 1961.
Non poteva mancare come oggetto di sceneggiatura un libro come “Il diario di Anne Frank”. La storia della giovane ragazza non poteva non ispirare la cinematografia. E così nel 1959, abbiamo “Il diario di Anna Frank”, diretto da George Stevens, basato sull'adattamento teatrale del diario omonimo. Anna Frank morì nel 1945 nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. La pellicola del 1959, prodotta a soli 14 anni di distanza dalla morte della protagonista, fu presentato in concorso al 12° Festival di Cannes e vinse tre premi Oscar.
Capolavoro indiscusso, e film d’eccezione, “Train de vie - Un treno per vivere”, rilettura quasi ironica della Shoah. Il film del 1998, diretto da Radu Mihaleanu, è stato presentato al Festival di Venezia. Racconta di un giovane che, nel 1941, torna al suo villaggio ebraico in una città dell'Europa dell'Est e annuncia l'arrivo dei tedeschi. Con la sua comunità decide di inscenare la partenza di un finto treno di deportati per sfuggire ai nazisti. Un treno che, in realtà, sarà diretto in Palestina. Ironia, drammaticità, composizione scenica e musicale di prestigio, leggerezza e profondità: questi, gli ingredienti del film.
“Schindler's List”, uno dei più celebri film sulla Shoah. Uscito nel 1993 con la regia di Steven Spielberg, con un cast d’eccezione: Liam Neeson e Ralph Fiennes. Ispirato dal romanzo omonimo di Thomas Keneally, la storia è basata sulla vita di Oskar Schindler, un imprenditore tedesco che salvò circa 1.100 ebrei durante la seconda guerra mondiale. Film che vanta ben 12 nomination all'Oscar, e un totale di 7 statuette guadagnate, tra cui miglior film e miglior regia.
Opera polacca, del regista Roman Polański, “Il pianista” è un film tratto dall'omonimo romanzo autobiografico di Wladyslaw Szpilman. Vincitore, nel 2002, della palma d'oro al Festival di Cannes. Narra le vicende di un pianista ebreo che assiste alla creazione del ghetto di Varsavia, a tempo di “notturni” e “valzer” di Chopin. Vibrante, commovente, descrittivo.
“La vita è bella”, uscito nel 1997, diretto e interpretato dall'attore italiano Roberto Benigni. Il film è stato premiato con tre Oscar – su sette nomination – come miglior film straniero, migliore attore protagonista e migliore colonna sonora di Nicola Piovani. La vicenda raccontata è quella di una famiglia ebrea italiana che viene deportata in un campo di concentramento. Il protagonista, Guido Orefice, interpretato da Roberto Benigni, farà credere al figlio, durante la reclusione, che la loro famiglia ha preso parte a uno strano gioco, per cui c'è in ballo un premio finale. La storia di un padre che cerca di dare speranza, nel buio della disumanità, al proprio figlio. Ironico e struggente allo stesso tempo.
Ma c’è un film, nella storia del cinema, che non ha raccontato il dramma del regime nazista, ma che – addirittura – ha contribuito alla salvezza di molti ebrei, a Roma. E’ “La porta del cielo”, del 1944, del regista neorealista Vittorio De Sica. Racconta il lungo viaggio in treno di un gruppo di pellegrini verso il Santuario di Loreto dove sperano di ricevere un miracolo che non avverrà. Il film fu appoggiato e commissionato dal Centro Cattolico Cinematografico, grazie all’allora segretario di papa Pacelli, un certo Monsignor Giovan Battista Montini.
Una “mossa politica” da parte del Vaticano, per salvare, durante l’occupazione di Roma post-8 settembre, molte vite di ebrei, senza doversi “esporre”. In poche parole: l’importante era arrivare al traguardo della salvezza di uomini e donne, e bambini che avrebbero potuto essere oggetto di ritorsioni da parte delle truppe naziste. Il film, infatti, fu girato all'interno della Basilica extraterritoriale di San Paolo fuori le Mura, dove fu ricostruito il Santuario di Loreto. I membri della troupe, erano ottocento tra comparse e tecnici vari. La lavorazione del film, si protrasse intenzionalmente per oltre un anno per permettere, appunto alla troupe di attori e tecnici, di essere “a riparo” nella zona extraterritoriale della Santa Sede.
Antonio Tarallo
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