Il futuro sostenibile che vogliamo: non abbiamo paura di essere buoni
di Redazione online
La comunità scientifica ha compreso che, per la prima volta nella storia, le attività umane stanno trasformando la terra: capire il profondo significato di un simile fenomeno è sentito dalla quasi maggioranza come la sfida più urgente, viste le sue implicazioni scientifiche, sociali e politiche. E vorrei sottolineare che nel problema è implicito un aspetto etico fondamentale.
Sebbene gli uomini, già otto mila anni fa, fin dalla nascita dell’agricoltura, abbiano modificato l’ambiente, non è mai avvenuto un cambiamento nella composizione chimica dell’atomosfera terrestre, questo almeno fino all’avvento della rivoluzione industriale (200 anni fa) che ha posto fine al tempo della agricoltura come predominate.
Da allora, l’umanità sta eseguendo una di esperimento globale: la combustione di carburante fossile (una grande riserva di energia solare proveniente dal passato) per produrre abbondante energia, la cui disponibilità è una della cause dell’incremento della popolazione umana.
Il risultato dell’esperimento globale è stato di immettere nell’atmosfera della terra gas come il diossido di carbonio che tende a surriscaldare il pianeta.
Per avere un’idea concreta della dimensione del fenomeno, è sufficiente dire che oggi la quantità di questi gas è maggiore di quella degli ultimi tre milioni di anni.
Fra le conseguenze di questo atropogenico incremento riscaldamento globale, studiato dalla comunità scientifica i cui risultati sono reperibili in una serie di documenti ONU, ricordiamo l’innalzamento dei livelli del mare, l’acidificazione dell’oceano, lo scioglimento dei ghiacci e la siccità.
Ci sono stati, ad esempio 56 miliardi di anni fa, episodi di un naturale riscaldamento della terra (mai artificiale); ci sono voluti tuttavia 20 mila anni per raggiungere un livello di surriscaldamento delle dimensioni che temiamo potremmo raggiungere nei prossimi 100 anni, con un processo venti volte più veloce.
Poiché circa 600 milioni di persone vivono in zone costiere meno di un metro al di sopra del livello del mare, un innalzamento può colpire decine di milioni di persone. Le nazioni più povere sono le più vulnerabili a causa della mancanza di strumenti tecnici e mezzi finanziari per far fronte ad eventi di dimensioni senza precedenti nella storia dell’umanità.
Questo ulteriore effetto serra artificiale è irreversibile nel tempo, accade su scala planetaria, transnazionale e transgenerazionale. Ciò significa che le azioni delle precedenti generazioni hanno già compromesso il futuro delle nuove generazioni, in violazione del principio della “equità intergenerazionale”: abbiamo ricevuto il nostro pianeta perché ne fossimo custodi responsabili. L’ambiente che abbiamo ricevuto dovrebbe essere trasmesso alla future generazioni, se non migliorato, almeno non deteriorato e ora abbiamo tutte le evidenze che ciò non accadrà.
Disperdere nell’atmosfera i fumi delle miniere di carbone e dei pozzi petroliferi non è il modo migliore per soddisfare la nostra giusta sete di energia. Un uso incontrollato delle risorse naturali può spingere la civiltà ad avvelenarsi con carburanti fossili.
Ma poiché una tendenza non è un destino, sta a noi smettere di bruciare carburanti fossili, sta a noi sviluppare conoscenze per agire come custodi responsabili; rischiamo di diventare giganti tecnologici ma nani dal punto di vista morale, perché in effetti stiamo affrontando un problema con un profondo contenuto etico, opportunamente descritto come un “perfetta tempesta morale”. Non agendo potremmo creare una sindrome disincentivante; le future generazioni poterebbero non sentirsi obbligate a comportarsi con moderazione se le precedenti non lo hanno fatto, rischiando una allarmante serie di ripercussioni destinate ad aggravare seriamente il problema.
Se falliamo nel limitare il problema, non solo lasciamo il problema alla future generazioni, ma incrementiamo considerevolmente il futuro costo per fronteggiare il cambiamento climatico, un peso ingiusto addossato alle future generazioni.
Crediamo che dovremmo appellarci al nostro senso della moralità, a qualcosa di universalmente condiviso, al di sopra ma coerente con tutti i credo religiosi e di cui ogni essere umano, ad ogni latitudine, ha una scorta inesauribile. Così facendo, poteremmo forse risvegliare il senso sopito di un necessario comportamento etico.
Come Papa Bendetto XVI ci ha ricordato, sono i giovani che hanno compreso che “nella nostra relazioni con la natura c’è qualcosa che non va; che la natura non è solo una questione che riguarda la nostra disposizione verso di essa, ma che essa ha una sua dignità e che dobbiamo seguire i suoi consigli”.
Alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, verrà lanciato l’appello alle nazioni del mondo, ai loro governanti e all’opinione pubblica, nella speranza che la nostra implorazione sia finalmente ascoltata e che siano intraprese azioni concrete per evitare di raggiungere un punto di non ritorno, oltre il quale la terra potrebbe diventare fondamentalmente inospitale per gli uomini.
In effetti, la Crezione ci ricorda il suo Creatore che ha investito l’uomo della responsabilità di Custode e Papa Francesco ha invitato tutti gli uomini e le donne ad alimentare “la vocazione ad essere custodi”.
San Francesco di Assisi ci ha invitato a rispettare tutte le creature di Dio e l’ambiente nel quale esse vivono; già molti indicatori associati ai cambiamenti della biodiversità negli anni 1970-2010 non nostrano una riduzione nel tasso della stessa, come si nota ad esempio nella barriere coralline, nell’estensione delle foreste, nella popolazione dei vertebrati.
Se Dio ha donato all’uomo la libera volontà, bisogna comprendere che, nella sua accezione più ampia, la libertà implica una responsabilità che si concretizza nel dovere di rispettare ogni creatura del pianeta. Solo facendo questo, la “libertà” è compiuta. Accanto a sorella libertà è necessaria sorella responsabilità.
All’incirca nel 1870 l’Abate A. Stoppani ha coniato il termine “Antropozoico” per caratterizzare l’era attuale, termine che ora è diventato Antropocene, una vivida espressione che intende definire la fine di un’era geologica (l’Olocene, gli ultimi diecimila anni) e l’inizio di una nuova era nella quale l’umanità è divenuta una parte attiva capace di controllare alcune delle forze che un tempo governavano il funzionamento del sistema terra.
Gli essere umano sono diventati una forza geologica globale con dei diritti propri e l’Homo Sapiens è diventato un Homo Sapiens Faber che ci costringe ad una domanda cruciale: gli umani si comportano come parte della natura, come San Francesco pensava, o ci siamo separati dalla natura?
Noi i giovani abbiamo un appello e una promessa da fare. L’appello è di non vedere i possibili rimedi come una specie di oneroso costo, ma come un saggio, lungimirante investimento per un pianeta migliore per le generazioni che verranno.
La promessa è di cambiare il nostro stile di vita e di diffondere il contenuto di questo messaggio al numero massimo di persone.
A tutti i decision makers nel mondo dell’economia, ai politici, a tutti gli uomini e donne di buona volontà chiediamo di essere custodi responsabili della creazione, del disegno di Dio, dell’ambiente che ci circonda e di non permettere distruzioni e devastazioni di bellezze e risorse naturali incontaminate. La terra vorremmo che per tutti fosse madre come ci ricorda san Francesco nel celebre Cantico della Creature: "Sorella Madre Terra".
Ma queste azioni devono essere collocate su un solido e non cedevole fondamento: dobbiamo prima prenderci cura l’uno dell’altro, perché in caso contrario l’odio e l’invidia corromperanno e oscureranno le nostre vite. Dobbiamo essere custodi dei nostri sentimenti e dei nostri cuori da cui tutte le nostre azioni, buone e cattive, in definitiva, nascono. Come Papa Francesco ha recentemente sottolineato: “Non abbiate paura di essere buoni”.
In conclusione, vogliamo sottolineare che l’umanità non è semplicemente la somma delle sua genti, ma la somma delle sue necessità. Soluzioni a breve scadenza non sono reali soluzioni, perché escludono le future generazioni che costituiscono il nocciolo della tempesta morale che stiamo affrontando.
VMCanuto, New York, 11 Maggio, 2011
Redazione online
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