Il Segretario generale dell’Onu: Francesco ci aiuta a promuovere la pace
L'intervista di La Stampa e Vatican News ad Antonio Guterres, alla vigilia della sua visita alla Santa Sede
Riportiamo l'intervista realizzata da La Stampa e Vatican News ad Antonio Guterres, alla vigilia della sua visita alla Santa Sede.
di Paolo Mastrolilli
Segretario Generale Antonio Guterres, a Roma incontrerà Papa Francesco, che è sempre stato una voce forte a sostegno del multilateralismo e degli sforzi umanitari. Ha detto spesso che dobbiamo costruire ponti, anziché muri. Di cosa ha intenzione di discutere con lui e come potrebbe aiutare gli obiettivi delle Nazioni Unite?
«Volevo incontrare il Santo Padre per esprimere il mio apprezzamento per il suo lavoro. È una voce forte sulla crisi climatica, sulla povertà e sulla disuguaglianza, sul multilateralismo, sulla protezione di rifugiati e migranti, sul disarmo e su molte altre questioni importanti. Attraverso il suo lavoro, il Papa sta contribuendo al raggiungimento di molti dei nostri obiettivi, inclusi quelli per lo sviluppo sostenibile, la lotta ai cambiamenti climatici e la promozione di una cultura di pace. Costruire ponti è una buona analogia e, mentre discutiamo dei problemi che ho appena menzionato, spero di esplorare come possiamo aumentare la nostra collaborazione per fare proprio questo: costruire ponti per ottenere più risultati per le persone che ne hanno più bisogno».
La libertà di religione è minacciata in tutto il mondo: quali sono gli impatti negativi di questa minaccia e come dovrebbe essere affrontata?
«La libertà di religione è un altro argomento che spero di discutere con Papa Francesco. Sono profondamente preoccupato per un aumento dell'intolleranza che include attacchi diretti alle persone basati su nient'altro che le loro fedi religiose o affiliazioni. Gli attacchi mortali contro le moschee in Nuova Zelanda, le sinagoghe negli Stati Uniti e i bombardamenti a Pasqua delle chiese in Sri Lanka dimostrano l'urgenza di agire affinché tutti, indipendentemente dalle loro fedi religiose, possano godere appieno dei propri diritti umani. La diversità è una ricchezza, non una minaccia. Mi si spezza il cuore a vedere un numero crescente di individui umiliati, molestati e attaccati pubblicamente semplicemente a causa della loro religione o fede. Gli ebrei sono stati assassinati nelle sinagoghe, le loro lapidi deturpate da svastiche; i musulmani vengono uccisi nelle moschee, i loro siti religiosi vandalizzati; i cristiani uccisi in preghiera, le loro chiese bruciate. Negli ultimi mesi ho lanciato due iniziative: un piano d'azione per sostenere gli sforzi per salvaguardare i siti religiosi e difendere il diritto alla libertà religiosa; e una strategia a livello di sistema delle Nazioni Unite per affrontare la questione dell'odio. In collaborazione con il mio Alto rappresentante per l'Alleanza delle civiltà, il piano d'azione mira a sostenere gli Stati membri nel garantire che i fedeli possano osservare i loro riti in pace. Le case di culto in tutto il mondo devono essere paradisi sicuri per la riflessione e la pace, non luoghi di spargimento di sangue e terrore. Abbiamo anche bisogno di forti investimenti nella coesione sociale per garantire che le diverse comunità sentano rispettate le loro identità, che facciano lo stesso per gli altri in cambio, e che abbiano un interesse nella società nel suo insieme. La recente dichiarazione di Sua Santità Papa Francesco e il Grande Imam di al-Azhar, il professor Dr. Ahmed Mohamed Ahmed el-Tayeb, è stata un contributo estremamente importante per la coesistenza pacifica, il rispetto reciproco e la comprensione tra le diverse comunità religiose nel mondo. L'istruzione deve essere una parte fondamentale dei nostri sforzi per combattere la diffusione dell'odio. Intendo convocare una conferenza sul ruolo dell'educazione nell'affrontare e costruire la resilienza contro questo fenomeno».
Le migrazioni globali sono una questione rilevante nel Mar Mediterraneo e in tutto il mondo. Lei conosce molto bene il problema, dal momento che è stato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Che cosa dovrebbe fare l'Unione europea per aiutare i Paesi in prima linea ad affrontare la questione delle migrazioni?
«Mentre parliamo, oltre 70 milioni di persone sono costrette a sfollare, il doppio rispetto a 20 anni fa, e 2,3 milioni in più rispetto a un anno fa. È un numero scioccante e straziante. I conflitti sono diventati più complessi e combinati con tendenze come i cambiamenti climatici, la crescita della popolazione, la rapida urbanizzazione e l'insicurezza alimentare, possiamo purtroppo prevedere che lo sfollamento forzato e le esigenze umanitarie continueranno ad aumentare. Il numero di sfollati è cresciuto più rapidamente della nostra capacità di trovare soluzioni durature. Il 17 dicembre a Ginevra, i leader mondiali si riuniscono per il primo Global Refugee Forum, ospitato dall'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, per discutere i modi per affrontare meglio le realtà attuali e prepararsi alle sfide future.
Credo che dobbiamo rispettare le promesse di condivisione delle responsabilità stabilite nel Global Compact on Refugees. Dobbiamo ristabilire l'integrità del regime internazionale di protezione dei rifugiati. E dobbiamo collaborare per contrastare i trafficanti e i criminali che si arricchiscono sulle spalle di persone vulnerabili. I naufragi mortali non possono diventare la nuova normalità. Le soluzioni dovrebbero anche affrontare le cause profonde che portano a questi viaggi pericolosi. Finché permarranno conflitti e sfide sullo sviluppo, le persone continueranno a cercare un futuro più sicuro e più luminoso per se stessi e le loro famiglie. La cooperazione e la solidarietà internazionale sono fondamentali per offrire soluzioni sostenibili a uomini, donne e bambini colpiti. Abbiamo anche bisogno di un reale impegno a condividere le responsabilità tra gli Stati membri. In questo contesto, accolgo con favore le nuove politiche del governo italiano e ribadisco ciò che ho detto tante volte nella mia passata capacità di Alto Commissario per i rifugiati: deve esserci un'efficace solidarietà europea con i paesi in prima linea come l'Italia e la Grecia».
Alla vigilia della COP25 a Madrid, lei ha detto che siamo vicini al «punto di non ritorno» sulla questione dei cambiamenti climatici, eppure importanti attori globali come gli Stati Uniti non riconoscono nemmeno l'emergenza e la conferenza si è conclusa senza un accordo. Qual è il suo piano per superare questa opposizione e convincere tutti i paesi a fare di più di quanto concordato a Parigi nel 2015?
«Siamo chiari. Sono deluso dai risultati della 25a Conferenza delle Parti che si è appena conclusa a Madrid. La comunità internazionale ha perso un’occasione importante per affermare un’ambizione più decisa sulla mitigazione, l’adattamento ed il finanziamento per lottare contro la crisi climatica. Ma non dobbiamo arrenderci - ed io non mi arrendo. Sono più determinato che mai a lavorare perché il 2020 sia l’anno in cui tutti i paesi si impegnino a fare quello che la scienza reputa necessario per raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050 e per non aumentare la temperatura di più di 1,5 gradi. La crisi climatica è una corsa contro il tempo per la sopravvivenza della nostra civiltà. Purtroppo è una gara che stiamo perdendo. Mentre molti già affrontano le terribili conseguenze della crisi climatica, la realtà di un ambiente che sta diventando inabitabile non è ancora ovvia per tutti. Ma possiamo ancora invertire la tendenza. Le soluzioni esistono. Abbiamo la scienza dalla nostra parte, abbiamo nuovi modelli di cooperazione, ed abbiamo anche un crescente slancio per il cambiamento. Il prossimo anno dobbiamo fornire ciò che la comunità scientifica ha definito un must, un obbligo. Tutti i paesi devono impegnarsi a ridurre, entro il 2030, le emissioni di gas a effetto serra del 45% rispetto ai livelli del 2010, ed a raggiungere il livello zero di emissioni nette di CO2 entro il 2050. A questo proposito, accolgo con favore l'impegno dell'Unione europea per la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050 ed esorto tutti i paesi a seguire questo esempio di azione per il clima. Pertanto, nei cruciali dodici mesi a venire, sarà essenziale garantire impegni più ambiziosi a livello nazionale, in particolare da parte dei principali inquinatori, per iniziare immediatamente a ridurre le emissioni di gas a effetto serra a un ritmo compatibile col raggiungimento della neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050».
Dopo l’abbandono del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio e di altre misure internazionali per il controllo degli armamenti, sembra che stia prendendo forma una nuova corsa agli armamenti. Vede il rischio di una nuova corsa agli armamenti e come potrebbe essere prevenuta?
«Durante la Guerra Fredda, furono creati meccanismi per limitare il rischio di scontro nucleare e fu istituito un quadro di disarmo. Questi meccanismi hanno funzionato, portando a una notevole riduzione degli arsenali nucleari e prevenendo la diffusione di armi nucleari. Sono molto preoccupato perché questo quadro, essenziale per la nostra sicurezza collettiva, sta facendo passi all'indietro. Alcuni degli accordi molto importanti stabiliti durante la Guerra fredda sono stati erosi. La dimensione nucleare delle tensioni regionali sta diventando più pericolosa, come possiamo vedere nel Nord-est asiatico e nel Medio Oriente. È assolutamente essenziale riportare il disarmo nucleare nel cuore dell'agenda internazionale. È inoltre essenziale assicurarsi che il trattato di non proliferazione nucleare, o TNP, mantenga il suo status di pilastro fondamentale dell'ordine globale. Come ho indicato nella mia visione per il disarmo, intensificherò i miei sforzi per aiutare gli Stati membri a tornare a una visione e un percorso comuni che conducano all'eliminazione totale delle armi nucleari. Anche gli sviluppi tecnologici sono preoccupanti. La crescente frequenza e gravità degli attacchi informatici stanno minando la fiducia e incoraggiando gli Stati ad adottare posture offensive per l'uso ostile del cyberspazio. Temo che gli attacchi informatici possano innescare nuovi conflitti. Le armi autonome, che potrebbero avere il potere di uccidere senza l'intervento umano, sono politicamente inaccettabili e moralmente spregevoli. Credo fermamente che dovrebbero essere vietate, ma al momento non esiste un consenso al mondo su come regolare questi nuovi sviluppi tecnologici. È una sfida che dobbiamo affrontare con urgenza».
Le tensioni tra Cina e Stati Uniti non si limitano al commercio, molti analisti temono una Seconda Guerra Fredda. Condivide questa preoccupazione e cosa potrebbero fare le Nazioni Unite per prevenire una Seconda Guerra Fredda?
«Da un lato, vediamo un mondo sempre più interconnesso con benefici positivi per milioni di persone. E d'altra parte, vediamo maggiori rischi di fratture: sociali, politiche, economiche e tecnologiche. Sono anche preoccupato per la possibilità di quella che chiamo "la grande frattura". Se le due maggiori economie del mondo si dividono su settori come il commercio e la tecnologia, ad esempio, ci troviamo davanti al rischio di creare due sotto mondi separati. Ognuno con le proprie regole commerciali e finanziarie, la propria Internet, la propria strategia di intelligenza artificiale e i propri sviluppi geostrategici e militari. Ciò è qualcosa che dobbiamo evitare. Per garantire pace e sicurezza, dobbiamo lavorare verso un mondo con un unico insieme di regole globali, che tutti accettano e garantiscono. Abbiamo bisogno di un forte mondo multipolare con forti istituzioni multilaterali».
Il prossimo anno segnerà il 75° anniversario delle Nazioni Unite. Alcuni paesi non pagano le loro quote alle Nazioni Unite. Qual è la sua risposta ai critici del multilateralismo?
«Le Nazioni Unite sono state fondate nel 1945 per sostenere l'azione collettiva volta a realizzare la pace, lo sviluppo e i diritti umani per tutti. Mentre alcune sfide persistono, altre, come la crisi climatica, stanno peggiorando e sorgono nuovi problemi, come il modo in cui sfruttiamo la tecnologia come forza per il bene. Contrassegneremo il 75° anniversario delle Nazioni Unite con una serie di conversazioni globali. Voglio che le Nazioni Unite ascoltino le preoccupazioni, le aspirazioni e le idee delle persone di ogni estrazione sociale, provenienti da tutto il mondo, su come dovrebbero apparire le Nazioni Unite in occasione del nostro centesimo anniversario. Questa iniziativa raggiungerà tutti i segmenti della società - dalle aule delle scuole alle sale dei consigli di amministrazione delle aziende, dai Parlamenti alle sale dei villaggi - e porrà particolare enfasi sui giovani e su coloro le cui voci sono troppo spesso emarginate o non ascoltate negli affari globali. Come vedono il loro mondo evolversi? In che modo le Nazioni Unite possono supportarli meglio per costruire il futuro che vogliamo? Spero che il popolo italiano si unisca a questa conversazione. Contrariamente a quanto si dice spesso, abbiamo bisogno di maggiore solidarietà internazionale e più multilateralismo. Dobbiamo lavorare insieme per affrontare le questioni della pace e la sicurezza, promuovere lo sviluppo sostenibile, promuovere i diritti umani, ridurre le disuguaglianze ed evitare una catastrofe climatica. Abbiamo bisogno di un sistema universale che rispetti il diritto internazionale e sia organizzato attorno a forti istituzioni multilaterali. Ma questo multilateralismo deve adattarsi alle sfide di oggi e di domani. Questa visione sarà al centro della riflessione che avrà luogo il prossimo anno, in occasione del 75° anniversario delle Nazioni Unite. I risultati saranno presentati ai leader mondiali durante la settantacinquesima sessione dell'Assemblea Generale e non vedo l'ora di costruire sui risultati di questa conversazione».
Ritiene che il Consiglio di sicurezza debba essere riformato, per rappresentare meglio il mondo e come?
«Concordo pienamente con Kofi Annan quando aveva affermato che non ci sarà una riforma completa delle Nazioni Unite senza una riforma del Consiglio di sicurezza. Il presente Consiglio riflette ancora il mondo del 1945. Detto questo, la Carta delle Nazioni Unite è chiara: spetta agli Stati membri determinare in che modo verrà riformato il Consiglio di sicurezza e spero che lo facciano».
Paolo Mastrolilli - La Stampa / Vatican News
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