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Cernuzio, Papa: questa economia uccide

Credit Foto - La Stampa

«Questa economia uccide», perché mette al centro di tutto il «dio denaro», schiaccia l’uomo e ubbidisce solamente alle sue logiche. Era il 2013, primi respiri di un pontificato giunto ora al suo sesto anno, e nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium, road map del suo magistero, Papa Francesco non esitava a stigmatizzare uno dei mali di questo tempo: l’economia che uccide.

Una metafora d’impatto, riproposta in altri scritti e interventi, che nel 2015 ha dato il titolo ad un libro-intervista dei due noti vaticanisti Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi, divenuto il manifesto della “pastorale economica” di Jorge Mario Bergoglio.

Una pastorale che si fonda su un punto saldo «il Nuovo Testamento che non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza», che punta il dito contro l’attuale sistema che «si mantiene con la cultura dello scarto» facendo crescere «disparità e povertà», che stigmatizza quella concezione «malata» per cui «i mercati contano più delle persone».

Dunque una pastorale, quella economica di Francesco, che non si basa su freddi calcoli e ragionamenti sugli andamenti dei mercati, ma punta l’attenzione sull’umano e su drammi come la mancanza di lavoro, le ingiuste diseguaglianze sociali, la mancanza di carità.

Fulcro e guida del pensiero economico del Pontefice è la «povertà» intesa come beatitudine evangelica; la povertà che Francesco d’Assisi, il santo di cui Bergoglio ha voluto prendere il nome ed ereditarne lo spirito, indicava come incapacità di difendersi di fronte alla violenza, alla aggressività del potere, in primo luogo quello della ricchezza. Per il Papa «venuto dalla fine del mondo», cresciuto nelle villas miserias di Buenos Aires, la povertà è virtù ma solo quando opzione preferenziale dei credenti.

Non quando essa è frutto di disuguaglianze e di meccanismi per cui «pochi hanno troppo e troppi hanno poco», come ha affermato nel discorso del febbraio scorso alla Fao.

«Non è più possibile che gli operatori economici non ascoltino il grido dei poveri», sembrava quasi urlare Papa Francesco dalle pagine del Sole24Ore nell’intervista - la prima ad un giornale economico e finanziario – al direttore Guido Gentili del 7 settembre 2018. E non è più possibile restare a guardare impassibili il «rallentamento della riduzione della povertà estrema» e il contemporaneo «aumento della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi».

È una «perversa corrente di disuguaglianza» che «è disastrosa per il futuro dell’umanità», ha denunciato il Pontefice nei vari discorsi rivolti in questi anni a membri di organismi economici internazionali.

Parole brucianti che di fatto demoliscono decenni di “teorie giuste”, quelle per cui più i ricchi si arricchiscono meglio va la vita dei poveri. Non hanno tardato ad arrivare, infatti, le critiche feroci: «Papa marxista», «Papa pauperista», Papa che «demonizza il capitalismo».

Ad avanzarle editorialisti di quotidiani finanziari, vertici delle multinazionali, esponenti dei “Tea party” americani e anche, paradossalmente, ampie fette del mondo cattolico che guardano nostalgiche alle scelte di campo di Wojtyla e Ratzinger.

Forse è vero che con Bergoglio qualcosa è cambiato ma ad essere cambiato è anche il contesto. Sotto Benedetto XVI il mondo assisteva alla deflagrazione e successivo sviluppo della crisi finanziaria ed economica: già nel 2008 il «Papa teologo» aveva pensato infatti di dare alle stampe un documento, ma attese il 2009 per dare alle stampe la celebre enciclica Caritas in Veritate dove affrontò di petto i temi della disuguaglianza e delle speculazioni finanziarie.

In questa lunga storia del magistero economico dei Papi – avviata dalla Rerum Novarum di Leone XIII, pietra miliare della Dottrina Sociale pubblicata nel bel mezzo della rivoluzione industriale, in cui non si possono non citare la Centesimus Annus di Wojtyla, la Populorum Progressio di Paolo VIe la profetica Quadragesimo Anno di Pio XI, pubblicata a meno di due anni dal crollo di Wall Street – manca ancora un documento Jorge Mario Bergoglio tutto dedicato a economia e finanza.

Le sue riflessioni in materia sono tuttavia coagulate nel documento del 2018 Oeconomicae et pecuniaria quaestiones. Un testo, curato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e dal giovane Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, in cui non si registra alcun contributo diretto del Papa ma se ne sintetizza il pensiero proponendo «considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico finanziario».

Si individuano pertanto rischi, storture e immoralità dell’attuale sistema finanziario, ma si suggeriscono vie d’uscita come, ad esempio, una tassa mondiale sulle transazioni off-shore (che potrebbe guarire il mondo dalla piaga della fame) o alcuni cambi strutturali che porterebbero ad una soluzione in diversi Paesi al problema del debito pubblico.

Il tutto per alleggerire di un macigno un’umanità già divisa da guerre e violenze estremiste. In gioco c’è il futuro della società: «Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro – sono parole ricorrenti del Pontefice -, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si “scarta” quello che non serve a questa logica: è quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani».

Quanta «crudeltà» si nasconde dietro a questi meccanismi, ha esclamato il Papa. Lo aveva fatto già sei anni fa nel suo storico viaggio a Lampedusa, puntando l’indice contro tutti «coloro che, nell’anonimato, prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada alle tragedie delle migrazioni».

Sì, perché a fare le spese di questo capitalismo incontrollato e globalizzato sono sempre gli ultimi, quelli senza diritti né dignità né tutele. Per questo Francesco ha chiamato in causa anche la politica, anzi la «buona politica», per riprendersi il primato nella scena pubblica e non lasciare campo libero solo alla religione dell’individualità e agli interessi corporativi.

Torna alla mente, in tal senso, l’accorato appello del Santo Padre nell’udienza del 2016 a Confindustria: «Al centro di ogni impresa – diceva in Aula Paolo VI - vi sia l’uomo: non quello astratto, ideale, teorico, ma quello concreto, con i suoi sogni, le sue necessità, le sue speranze e le sue fatiche».

Salvatore Cernuzio - Vatican Insider



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