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L'Italia al primo posto in Europa per investimenti 'green'

Rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere: anno record di eco-investimenti

Credit Foto - Ivan Tamas - Pixabay

Non si arresta in Italia l’ascesa della «green economy»: il 2019 è l’anno dei record con il picco di eco-investimenti che hanno riguardato 300mila imprese, il 21,5 per cento di tutte quelle extra-agricole con almeno un dipendente ed esclusi gli studi professionali.

E non è solo «effetto Greta» ma la reazione con cui, anno dopo anno, le aziende italiane hanno risposto alla crisi puntando sulla sostenibilità. Lo racconta il decimo rapporto Greenitaly di Fondazione Symbola e Unioncamere, che svela un’Italia molto più competitiva di quello che si immagina. È lo spaccato di una economia tutt’altro che spenta, almeno in alcuni dei suoi ambiti, che si afferma anche sui mercati internazionali grazie alla capacità di fare di più e meglio con meno risorse e generando minor impatti sull’ambiente.

E il «green» non è un settore, ma una dimensione ormai imprescindibile dell’impresa che riguarda molti ambiti: l’agroalimentare, l’arredo-casa, l’automazione, l’abbigliamento tessile e la concia, l’edilizia, la chimica, solo per fare qualche esempio fotografato dallo studio di Symbola e Unioncamere. «In 15 anni di ricerche - spiega Domenico Sturabotti di Fondazione Symbola, uno dei curatori del rapporto - abbiamo cercato di capire qual era la risorsa italiana nel quadro economico mondiale che stava cambiando. Abbiamo registrato un dato costante, i pezzi di economia che funzionano hanno usato le stesse strategie: tenere relazioni strette col territorio creando filiere stabili, generare valore culturale immateriale grazie anche al design e alla comunicazione come nella moda e nel mobile, infine puntare sulla sostenibilità. Dimensioni intrecciate che hanno portato a questo picco green del 2019 attraverso scelte molto efficaci:ridurre i costi usando meno energia, ottimizzando la produzione e diventando più competitivi».

Valore aggiunto per addetto Il manufatturiero che funziona di più è quello che riduce i volumi, puntando sul valore della produzione: il dinamismo sui mercati esteri di chi fa ecoinvestimenti è molto superiore rispetto alle altre imprese. Più della metà (il 51 per cento) di queste aziende eco-investitrici ha segnalato un aumento dell’export nel 2018 a fronte di un 38 per cento delle altre. Ed esporta di più chi più innova: sono il 79 per cento contro 61 per cento delle non investitrici. Lo conferma l’altro curatore del rapporto, il dirigente di Si.Camera-Unioncamere Alessandro Rinaldi: «Il vantaggio di produttività è evidente. Le aziende green hanno una sorta di premio produttività in termini di valore aggiunto per addetto. Questo tipo di vantaggio è più pronunciato in alcune imprese del Mezzogiorno che investono nel green e anche nelle piccole sotto i 50 addetti. Il green non è solo etica, ma diventa una leva anche dove è importante la competitività. C’è sicuramente una circolarità di cause: le aziende sostenibili hanno più certificazioni che sono necessarie per esportare e quindi sono anche più strutturate».

Sviluppo e competenze

Anche il lavoro green non solo è migliore ma cresce di più: quelli del settore sono il 13,4 per cento (3,1 milioni) dei lavoratori totali e dal 2017 al 2018 sono cresciuti di 100mila unità, creando occasioni di lavoro soprattutto per i giovani: il 47 per cento delle aziende guidate da under 35 ha investito nella green economy, meno della metà (il 23 per cento) è il dato di quelle gestite da over 35.«I lavoratori green-spiega Sturabotti - sono in parte le nuove figure professionali che si affacciano sul mercato, come gli energy manager o quelli sull’economia circolare. Ma crescono anche figure tradizionali esterne e interne alle imprese a cui è stato richiesto lo sviluppo di competenze di sostenibilità in un processo simile alla diffusione di quelle digitali» In questo modo l’Italia ha fatto «eco-tendenza»: si posiziona bene in tutte le classifiche relative alle performance di economia circolare.

È prima in Europa per minor produzione di rifiuti e ai primi posti per energia consumata, emissioni generate e nella presenza di brevetti green. «La sostenibilità - aggiunge Sturabotti - è ormai un modello di azienda che ottiene il favore dei consumatori e attrae anche maggiori investimenti. Un’azienda che mette in campo strategie climatiche pensa al futuro e un investitore registra la sua dimensione strategica. Così il mercato finanziario si orienta su ricavi di medio e lungo periodo che sono più certi anche se meno alti. In questo modo le imprese possono muoversi in maniera strutturata sulla sostenibilità che non rimane relegata ad azioni spot, ma assume importanza strategica. La sostenibilità è prima di tutto una cultura che deve essere sempre più presente nelle imprese perché è un fattore di competitività: pensiamo al cibo, alla chimica nei prodotti, al biologico, al profilo ambientale spinto delle automobili elettriche anche se in ambiti come questi ci sono ancora forti barriere di prezzo. Rimane sicuramente in tali ambiti un problema di allineamento conicosti, ma sono fasi naturali dell’economia come è testimoniato, per esempio, dalla storia del fotovoltaico che oggi è molto più accessibile di dieci anni fa».

Corriere della Sera - Buone Notizie, Giulio Sensi



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