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La pagina storica, ancora tutta da scrivere, del genocidio degli armeni

Ancora oggi, in diversi paesi del mondo, la fede, l’identità di alcune popolazioni, sono motore di stragi

di Antonio Tarallo
Credit Foto - www.ilmessaggero.it

Daniel Varujan, una voce divenuta storia di un’umanità che soffre, una voce che con la sua poesia – mista a terra e sangue, a pietre e fiori – ha cantato “Il pianto di Dio” (il titolo di una delle sue opere poetiche) davanti alla rovina del suo popolo, così descriveva il tragico epilogo di quello che alla Storia passerà come il genocidio del popolo armeno: “Verso sera per le strade deserte/ passa un carro cigolando. / Un cavallo sauro lo tira, dietro/ cammina un soldato ubriaco. / E’ la bara dei massacrati, che va/ al cimitero degli Armeni. / Il sole al tramonto distende/ sul carro una sindone d’oro”.  Era il 24 aprile 1915, quando 2.300 intellettuali furono massacrati dal governo ottomano, denominato dei “Giovani turchi”.  Era l’inizio di una più ampia strage di popolo. Di una vero e proprio olocausto. E questi versi, a distanza di centoquattro anni da quel tragico evento, ricordano molto le odierne immagini delle stragi che vedono coinvolti i cristiani in Sri Lanka. E’ difficile non vedere, su quei corpi dilaniati della terra del Sud indiano, la “sindone d’oro”, “dipinta” da Varujan.

La pagina storica del genocidio armeno, da troppo tempo era stata sepolta nel dimenticatoio. Troppa polvere vi era sopra. Eppure, parliamo di un genocidio che, sia per numeri di morti, che per crudeltà, può essere considerato il primo olocausto della Storia del ‘900. Questi i fatti: durante la prima guerra mondiale   (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex impero ottomano, in Turchia, il genocidio del popolo armeno  (1915 – 1923). Il governo dei Giovani Turchi, preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena, presente fin dal 7° secolo a.C. Dalla memoria del popolo armeno, ma anche nella stima degli storici, perirono i due terzi degli armeni dell’Impero Ottomano. Stiamo parlando di 1.500.000 persone.

Molti furono i bambini islamizzati, e le donne inviate negli harem, o stuprate, se non si fossero convertite all’islam. L’“obiettivo finale” (termine che ricorda molto la cosiddetta “soluzione finale”, per opera di Hitler, nel più noto olocausto ebraico) era quello di “risolvere alla radice” la questione degli armeni, popolazione cristiana che guardava all’occidente.

Il movente principale è da ricercarsi all’interno dell’ideologia panturchista, che ispirava l’azione di governo dei Giovani Turchi, determinati a riformare lo Stato su una base nazionalista: omogeneità etnica e religiosa, questi gli obiettivi principali del governo. La popolazione armena, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di autonomia, poteva costituire un ostacolo al disegno dei “Giovani Turchi”. Per questo motivo, si passò al loro sterminio. L’obiettivo degli ottomani era, de facto, la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Le comunità armene, che per secoli si erano organizzate in diversi millet (le comunità religiose e nazionali) dovevano sparire dal territorio.

Pochi riuscirono a salvarsi. Alcuni, i più combattivi, nei paesini rurali dell’area, cercarono di sottrarsi alla strage scalando il Mussa Dagh, la montagna di Mosé. Fu in questo luogo che resistettero per quaranta giorni agli assalti dell’esercito ottomano. Finché, allo stremo delle forze, elevarono alte croci per segnalare la loro presenza alle navi francesi e inglesi che incrociavano le acque del Mediterraneo. Furono salvati dall’arrivo di un incrociatore inviato dal governo di Parigi, che trasportò migliaia di persone in Egitto.

Intanto il 10 aprile scorso, la Camera dei Deputati, ha approvato una mozione bipartisan di grande rilevanza storica e culturale. Il governo, con questa mozione, si è impegnato a “riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale”.

Ancora oggi, in diversi paesi del mondo, la fede, l’identità di alcune popolazioni, sono motore di stragi, di persecuzioni, che vedono coinvolte vite umane, così come è stato centoquattro anni fa nel territorio armeno.  Il sangue delle stragi dello Sri Lanka, la preoccupante situazione in Iraq (tra l’altro documentata proprio in questa Pasqua dal direttore Padre Enzo Fortunato), sono solo alcune delle situazioni disumane che il nostro secolo sta vivendo. La Storia si ripete, purtroppo.



Antonio Tarallo

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